Abstract.
L’autore introduce delle considerazioni contenute nelle relazioni finali delle autorità economiche internazionali, che indicano nella cosiddetta “globalizzazione” la causa dei più recenti fenomeni socioeconomici e migratori. E la base per l’applicazione di un nuovo diritto patrimoniale. Ciò per il fatto che le amministrazioni degli Stati tendono a preservare sia la propria autorità sui beni, sia la struttura del welfare, ma non tenendo conto delle Leggi degli Stati poveri e delle condizioni di povertà che affliggono. Ciascuno Stato, infatti, ritiene di essere indipendente, autonomo ed ambisce ad esercitare la propria influenza all’estero tramite le mobilitazioni delle genti. Nonché ritengono di potersi avvalere degli atti amministrativi interni e perfino degli usi presenti nelle rispettive realtà civili, presso gli ordinamenti esteri e le comunità straniere. Ciò ha un fondamento. Certo, se considerassimo che in tali fenomeni potremmo intravedere i fermenti di una contaminazione, di un nuovo auto-determinismo, che intenda assurgere al ruolo di neo-colonizzazione socio-culturale. Tali orientamenti hanno trovate sensibilità politiche crescenti presso le istituzioni europee (in particolare, in forza dei principi comunitari) e compiute attuazioni in Italia. Tanto nella Legge che ha introdotto il Codice della immigrazione quanto nelle costanti pronunce giurisprudenziali. I quali orientamenti hanno fissato dei criteri interpretativi ed applicativi conformi alla lettura della Costituzione e non distante dalle realtà esistenziali dei migranti. Per cui, seppur fosse certo che nessuno operatore si ponga il problema di ostacolare il soggiorno di un migrante in Italia è altrettanto evidente che ogni Comune applichi i regolamenti con assoluta discrezionalità. Discrezionalità riconducibile, sovente, alle diversità delle risorse umane, organizzative ed economiche; tal altra alle volontà degli amministratori. Da un punto di vista sistematico ciò deprime non solo il principio di certezza del diritto ma gli altri principi cardine dell’ordinamento amministrativo, quali la imparzialità, la trasparenza, la pubblicità, la efficacia, la economicità. Per cui, ad avviso dell’autore sarebbe meglio, anzi necessario, che le attività amministrative tengano in considerazione, come fonte primaria, la Costituzione. Ciò per il fatto che le leggi civili ed amministrative devono trarre linfa, per coerenza storica, da quelle fondamenta e ribadire la portata fondamentale dei diritti enunciati. Ma soprattutto perché siano tracciate le linee entro le quali debbano svolgersi correttamente le medesime attività di amministrazione e di gestione. Come tutti comprendono, gli orientamenti della giurisprudenza confermano tali tutele e dischiudono, nel contempo, nuove opportunità esistenziali; ma ad alcuna amministrazione dovrebbe essere consentito di revisionare “ipso facto” la Costituzione, mediante degli accordi interni e delle relazioni tra le parti (anche migranti), che deprimano i rapporti tra gli Stati e la portata della globalizzazione economica. Ciò significa che se presso le amministrazioni pubbliche vi fosse il sentore (o la consapevolezza) di poter partecipare alle dinamiche finanziarie del Fondo Monetario Internazionali, o della Banca Mondiale, parimenti non dovrebbe essere consentito ad esse di discostarsi dai suddetti principi costituzionali. Poiché ne andrebbe della stabilità amministrativa e della solidità monetaria dello Stato. A questo punto, risulta evidente che il fenomeno della mobilitazione migratoria sia stato recepito nell’ordinamento italiano con diverse leggi, alle quali deve essere data applicazione incondizionata; così come è necessario che siano ri-prese in considerazione quelle leggi regolatorie dell’amministrazione, che per sedimentazioni culturali riterremmo riservate alle cittadinanze autoctone. Di tutti gli articoli contenuti nei testi legislativi e nei recenti codici, l’autore ha ritenuto indispensabile porre in evidenza la eticità dispositiva di quella norma interna (l’art. 38 del D.P.R. 396/2000), che, riconoscendo il diritto alla identità anagrafica per il minore abbandonato, gli conferisce “ex officio” il diritto alla iscrizione anagrafica presso il municipio del domicilio. Diritto che si ritiene debba trovare applicazione anche nei confronti del minorenne straniero non accompagnato e di ogni individuo abbandonato, migrante o meno. Il quale non debba, perciò, subire le discriminazioni o le disfunzioni applicative della amministrazione pubblica. Trattandosi, nella fattispecie “de quo”, di una fonte normativa che, derivando la sua matrice giuridica da un sistema costituzionale che nulla lascia al caso, ribadisce quanto le tutele, tutte le tutele, incidano a favore della dimensione giuridica dei diritti dell’individuo e per il pieno godimento dei medesimi. Così come ribadisce che la più autentica potestà di governo si manifesta attraverso la applicazione eticamente rilevante della norma, nei contesti amministrativi e degli atti pubblici, in conformità con i principi della imparzialità, della trasparenza, della pubblicità, della efficacia e della economicità.
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