1. Nello scorso mese di aprile la Cassazione - a un decennio di distanza dalla celebre sentenza con la quale la Suprema Corte aveva assegnato una funzione paranormativa alle tabelle milanesi di misurazione del danno alla persona (Cass. civ. 7 giugno 2011, n. 12408) – ha statuito il superamento del metodo meneghino di misurazione del danno non patrimoniale conseguente alla perdita del rapporto parentale (Cass. civ. 21 aprile 2021, n. 10579: per il relativo commento v. Ziviz, Misura per misura (del danno da perdita del rapporto parentale), in Resp. civ. prev., 2021, 815 ss.). A tale conclusione i giudici di legittimità pervengono osservando che l’applicazione delle tabelle di quantificazione del danno non patrimoniale trova fondamento nell’art. 1226 c.c. Il potere equitativo attribuito al giudice da tale norma va esercitato – secondo la S.C. - garantendo l’uniformità di trattamento: la quale risulterebbe senz’altro assicurata, per quanto riguarda il danno da lesione alla salute, da una tabella basata sul “sistema del punto variabile”, che consente un elevato grado di prevedibilità. Diversamente accade nel caso di una tabella – come quella applicata per il danno da perdita del rapporto parentale - che si limiti a stabilire tetti minimi e massimi, individuando un differenziale estremamente ampio in corrispondenza a ciascun tipo di relazione familiare. Un metodo del genere continuerebbe a incarnare “una sorta di clausola generale, di cui si è soltanto ridotto, sia pure in modo relativamente significativo, il margine di generalità”, per cui non sarebbe in grado di garantire uniformità e prevedibilità delle decisioni. Di qui la necessità di approdare a un diverso metodo, fondato su una tabella rispondente ai seguenti requisiti: “1) adozione del criterio “a punto variabile”; 2) estrazione del valore medio del punto dai precedenti; 3) modularità; 4) elencazione delle circostanze di fatto rilevanti (tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza) e dei relativi punteggi”.
2. Attraverso una simile indicazione la Cassazione parrebbe avallare – ancorché non esplicitamente - il metodo applicato, a partire dal 2007, dal Tribunale di Roma, il quale è approdato a un sistema fondato sull’identificazione di un’unità di misura, definita punto di “sofferenza”, per la quale risulta stabilito un valore monetario fisso. Il numero di punti attribuiti varia all’interno di una scala base, correlata al tipo di relazione di parentela con il defunto; a tale punteggio vanno poi sommati i punti aggiuntivi, distintamente attribuiti in funzione dell’età della vittima, dell’età del congiunto, dell’eventuale condizione di convivenza e della composizione del nucleo familiare. La liquidazione del danno spettante al congiunto viene determinata dal giudice moltiplicando il valore monetario del punto di sofferenza per il numero dei punti totalizzati attraverso tale conteggio.
Ma un metodo del genere, a ben vedere, non presenta alcuna analogia con il modello – che la S.C. prende a riferimento - applicato nel settore della lesione alla salute: i due sistemi non hanno nulla in comune, se non il nome.
Anzitutto, la scelta del tribunale romano di pesare la sofferenza attraverso una misurazione a punti non viene fondata su alcuna evidenza di carattere scientifico, ben diversamente da quanto accade nel campo della salute, dove il metodo calibrato sul punto di invalidità permanente prende a riferimento una nozione elaborata dalla medicina legale. L’idea è quella che, presa in considerazione una persona perfettamente in salute, debba essere misurata in punti percentuali l’incidenza di ogni tipo di lesione alla salute sulla sua complessiva funzionalità. Si tratta, dunque, di un’unità di misura strettamene legata a quel tipo di lesione, che non appare trasferibile in un settore diverso del torto. Nessuna evidenza di carattere scientifico viene, inoltre, posta dal tribunale capitolino alla base dell’attribuzione di un certo numero di punti a ciascuno dei parametri presi in considerazione; né appare esplicitato il modo in cui risulta determinato il valore monetario del punto (che, in ogni caso, corrisponde a un importo fisso, e non già variabile come nel caso di lesione alla salute).
Discutibile risulta, altresì, la separata considerazione dei diversi parametri che influenzano l’entità del danno: quasi che il pregiudizio potesse essere parcellizzato attraverso distinti moduli, ciascuno dei quali originato da una diversa variabile. Una logica del genere non riflette per alcun verso quella applicata nel campo della salute; e appare, del resto, ben lontana dal rispecchiare quanto accade sul piano concreto, visto che l’entità del pregiudizio patito dal familiare viene influenzata in maniera congiunta dalle varie circostanze.
Un ulteriore elemento di differenziazione del metodo “a punti” capitolino, rispetto a quello applicato per il danno da lesione dell’integrità psico-fisica, riguarda la mancata distinzione tra la componente morale e quella dinamico-relazionale del pregiudizio; nella tabella romana il punto rappresenta, infatti, un’unità di misura riferita esclusivamente alla sofferenza.
Alla luce di tali considerazioni, non appare dunque praticabile l’idea che – in sostituzione alla tabella di Milano – si debba oggi ricorrere a quella romana quale incarnazione del metodo tratteggiato dalla Cassazione; perché quest’ultima possa trovare concreta realizzazione si tratta ancora di attendere.
3.Che la rivoluzione in questo settore sia, al momento, rinviata è ben chiarito da una recente sentenza del tribunale milanese (Trib. Milano 7 luglio 2021), il quale osserva come la S.C. non abbia in realtà chiarito quale sia il regime transitorio da adottare, in attesa di approdare a un sistema effettivamente rispondente alle caratteristiche dalla stessa individuate. Posto che la Cassazione ritiene equa una valutazione che non risulti “sproporzionata” rispetto a quella ottenibile attraverso una tabella basata sul sistema a punti analogo a quello applicato nel campo della salute, enuncia in realtà una regola che viene a individuare un termine di confronto puramente astratto, dal momento che non trova concretizzazione in alcun modello attualmente applicato dalla giurisprudenza.
Il tribunale milanese, constatato che la soluzione proposta dalla Cassazione non risulta appagante “in quanto presuppone l’esistenza di una tabella a punto variabile, allo stato inesistente”, ritiene di dover individuare una disciplina transitoria “nel rispetto del portato innovativo della pronuncia della Corte di Cassazione n. 10579 del 2021, nella more della predisposizione di una Tabella che risponda ai parametri individuati nella citata sentenza e i cui lavori sono già stati avviati presso l’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano”. Il giudice meneghino riconosce che “i valori minimi e massimi indicati nella Tabella milanese, nella sua attuale formulazione, sono frutto della combinazione di parametri che includono quelli indicati dalla Cassazione”. Pertanto “all’interno di questa cornice, delimitata dai valori minimi e massimi della Tabella milanese, dovrà procedersi nella fattispecie concreta all’individuazione del quantum risarcitorio in conformità ai citati parametri, della cui applicazione e comparazione dovrà darsi adeguatamente ed analiticamente conto nella motivazione della decisione del giudice di merito, così da consentire un sindacato sull’esercizio della discrezionalità rimessa al giudice in sede di liquidazione del danno”.