Il Tribunale di Torino ebbe a respingere, non più tardi dei primi di gennaio, un ricorso per l’accertamento tecnico preventivo promosso da una lavoratrice del comparto sanità che temeva per la propria salute.
Dicemmo, in allora, che ritenevamo necessario che, nell’ambito giudiziario si potesse discutere serenamente di questioni tecniche, discussioni alle quali, peraltro, siamo abituati. Quasi ogni giorno un avvocato deve affrontare questioni astruse e del tutto sconosciute alla scienza giuridica. Ricordo con una certa trepidazione il primo processo che sostenni tutelando la difesa di due imputati accusati di omicidio colposo per la morte del proprio collega, operaio, anch’egli, deceduto a causa dell’esplosione di un’autoclave. Si trattava di molto tempo fa e il rito penale prevedeva ancora il regime inquisitorio e, che dir se ne voglia, le indagini erano state fatte davvero, approfondite e serie anche in assenza della difesa e, udite udite, sul banco degli imputati oltre ai due operai e il datore di lavoro, tradotti a giudizio anche i progettisti e l’azienda tedesca che aveva realizzato il macchinario. Trascorsi un’intera domenica a casa di un amico ingegnere meccanico per capire l’esatto funzionamento di quell’autoclave. Non mi pentii del tempo impegnato a comprendere questioni tecniche perché i miei assistiti vennero assolti. Condannati viceversa il costruttore e l’ingegnere progettista.
E la magistratura, inquirente e giudicante, è usa verificare questioni tecniche a mezzo consulenti e periti scelti ad hoc. Perché se è vero che il giudice rimane peritus peritorum è anche vero che le nozioni tecniche debbono essere comprese e accertate a mezzo esperti dei vari settori.
Nessuno scandalo se nelle aule di giustizia, in un momento così delicato e pericoloso per l’intero sistema democratico, entri la scienza illustrando e spiegando al giudice cosa mai stia accadendo, controllando dati e chiarendoli, verificando le fonti e rendendole palesi.
In questo contesto, interviene la decisione del Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia che, con ordinanza del 17 gennaio 2022 38/22 nel procedimento n. 1272/2021 RR, ha ordinato la costituzione di un Organo incaricato di reperire dati e depositare entro il 28 febbraio una relazione.
Il caso è stato sollevato da un allievo del corso universitario di infermieristica di Palermo che contestava la sua impossibilità a sottoporsi alla somministrazione del farmaco, impropriamente chiamato vaccino Covid, perché potenzialmente a rischio della vita in quanto soggetto a ADE (Antibody Dependent Enhancement) perché aveva contratto la malattia e, quindi, acquisito l’immunità naturale perenne.
Il Collegio dispone istruttoria al fine di chiarire i seguenti punti:
1) le modalità di valutazione di rischi e benefici operata, a livello generale, nel piano vaccinale e, a livello individuale, da parte del medico vaccinatore, anche sulla basa dell'anamnesi pre-vaccinale; se vengano consigliati all’utenza test pre-vaccinali, anche di carattere genetico (considerato che il corredo genetico individuale può influire sulla risposta immunitaria indotta dalla somministrazione del vaccino); chiarimenti sugli studi ed evidenze scientifiche (anche eventualmente emerse nel corso della campagna vaccinale) sulla base dei quali venga disposta la vaccinazione a soggetti già contagiati dal virus;
2) le modalità di raccolta del consenso informato;
3) l’articolazione del sistema di monitoraggio, che dovrebbe consentire alle istituzioni sanitarie nazionali, in casi di pericolo per la salute pubblica a causa di effetti avversi, la sospensione dell'applicazione dell’obbligo vaccinale; chiarimenti sui dati relativi ai rischi ed eventi avversi raccolti nel corso dell’attuale campagna di somministrazione e sulla elaborazione statistica degli stessi (in particolare, quali criteri siano stati fissati, e ad opera di quali soggetti/istituzioni, per raccogliere i dati su efficacia dei vaccini ed eventi avversi; chiarimenti circa i criteri di raccolta ed elaborazione dei dati e la dimensione territoriale, se nazionale o sovranazionale; chi sono i soggetti ai quali confluiscano i dati e modalità di studio), e sui dati relativi alla efficacia dei vaccini in relazione alle nuove varianti del virus.
4) articolazione della sorveglianza post-vaccinale e sulle reazioni avverse ai vaccini, avuto riguardo alle due forme di sorveglianza attiva (con somministrazione di appositi questionari per valutare il risultato della vaccinazione) e passiva (segnalazioni spontanee, ossia effettuate autonomamente dal medico che sospetti reazioni avverse
Si tratta di temi “scottanti” sui quali hanno più volte posto l’accento intellettuali e giuristi, critici rispetto ai metodi e le ragioni, adotti dal Governo, a supporto della violazione sistematica dei diritti costituzionalmente sanciti.
È però passato in sordina l’elemento più interessante e più importante del provvedimento istruttorio, il perché. Per quale motivo il Collegio ha necessità di conoscere questi dati? Perché deve verificare e accertare che la questione di illegittimità costituzionale sollevata dal ricorrente-appellante non sia manifestamente infondata.
Questo è dirimente rispetto all’intero assetto legislativo emergenziale troppo frettolosamente archiviato come coerente e conforme ai dettami costituzionali ed europei.
E nelle stesse motivazioni “scientifico-politiche” addotte dal Governo a sostengo della legislazione emergenziale, norme che, lo stesso Governo, modifica, legifera, dispone, rielabora più e più volte sul presupposto che “tutto sia in evoluzione”, il Collegio rileva la necessità di approfondimenti.
Per questo motivo che quanto stabilito nelle decisioni sino ad ora emanate deve essere considerato, (siamo ben consapevoli che ciò non potrebbe essere in diritto ma pensiamo, con profondo rammarico, che l’intero asseto giuridico abbia subito una grave alterazione) “rebus sic stanti bus” e dovremmo aggiungere “se i dati più volte comunicati corrispondono a quelli reali”, “se coloro che compiono controlli sulle reazioni avverse sono esenti da conflitti di interesse”, “se vi è effettivamente un consenso informato se cioè il cittadino è messo in condizione di scegliere consapevolmente, “se i dati consentono ancora di proseguire nell’obbligatorietà”. In altre parole, non avendo fondato le decisioni su dati accertati in giudizio ma solo presupposti “veri” perché affermazioni di fonte governative, ci troviamo innanzi a sentenze che non possono considerarsi “definitive” sancenti principi che possano essere riconosciuti applicabili anche in altri casi giuridici. Non certo perché non siano “res iudicata” ma perché non possono costituire precedenti giurisprudenziali su cui fondare decisioni future. In un certo qual senso dovremmo parlare di “giurisprudenza emergenziale”, solo così potremo salvare l’essenza stessa del processo.
E questo è un altro punto essenziale: solo se i dati possono giustificare la compromissione delle libertà tali compromissioni possono essere accettate, se pur a altre determinate condizioni (per esempio il diritto al risarcimento del danno a carico della collettività che in teoria beneficia del sacrificio del singolo che deve rimanere, pur sempre, ipotetico e raro).
Tutto ciò che il Collegio ritiene necessario acquisire è diretto ad accertare se l’obbligo cd. vaccinale sia conforme a quei parametri che la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 307/1990, aveva posto e se siano conformi a quelle indicazioni del diritto comunitario al cui rispetto lo Stato italiano si è obbligato e in particolare se:
7.1.1. Garantire elevati standard qualitativi delle ricerche condotte in modo etico, conformemente alle pertinenti disposizioni della Convenzione sui diritti dell’uomo e della biomedicina (ETS n. 164, Convenzione Oviedo) e il suo protocollo aggiuntivo relativo alla ricerca biomedica (CETS n. 195);
7.1.2. Assicurarsi che gli organismi di regolamentazione incaricati della valutazione e dell’autorizzazione dei vaccini contro Covid-19 siano indipendenti e protetti dalle pressioni politiche;
7.1.3. Garantire che vengano rispettate le pertinenti minime norme di sicurezza, efficacia e qualità dei vaccini;
7.1.4. Implementare sistemi efficaci di monitoraggio dei vaccini e della loro sicurezza dopo la prima fase della vaccinazione di popolazione generale al fine di monitorare i loro effetti a lungo termine;
7.1.5. Attuare programmi di indennizzo indipendenti per garantire il risarcimento dei danni indebiti derivanti dalla vaccinazione;
7.1.6. Prestare particolare attenzione a possibili fenomeni di insider trading dei dirigenti farmaceutici o aziende farmaceutiche che cercano di arricchirsi indebitamente a spese pubbliche;
7.3.4. Diffondere informazioni trasparenti sulla sicurezza e sui possibili effetti collaterali del vaccino;
7.3.5. Comunicare in modo trasparente il contenuto dei contratti con i produttori di vaccini, renderli pubblicamente consultabili per il controllo parlamentare e lo scrutinio pubblico;
7.5. Assicurare il monitoraggio della sicurezza e degli effetti dei vaccini COVID-19 a lungo termine;
7.5.1. Garantire la cooperazione internazionale per tempestiva individuazione e chiarimenti di eventuali segnali di sicurezza sugli effetti avversi, successivi all’immunizzazione, mediante lo scambio di dati globali in tempo reale (AEFIs);
7.5.4. Avvicinare la farmacovigilanza ai sistemi sanitari;
7.5.5. Sostenere il campo emergente della ricerca ‘avversomica’, che studia le variazioni interindividuali nelle reazioni ai vaccini in base delle differenze nell’immunità naturale, nei microbiomi e nell’immunogenetica. (Risoluzione 2361/2021 Consiglio d’Europa).
Nonostante sia chiaro che il metodo adottato per accertare le reazioni avverse non abbia nulla di “scientifico” (un metodo scientifico richiede regole di catalogazione dei dati e completezza degli stessi, in altre parole, richiede una vigilanza attiva che obbliga il personale sanitario a comunicare tutti, dicasi tutti, gli eventi avversi nell’immediatezza e nel tempo, solo così si possono accertare le conseguenze della somministrazione e decidere come migliorare il farmaco sperimentale) anche trovare i dati è un’impresa titanica per un normale cittadino. E il diritto ad una informazione vera e certa è ormai diritto consolidato nel nostro ordinamento. È infatti possibile mutuare dall’esperienza della tragedia di Seveso, giurisprudenza ad essa connessa e alla legislazione conseguente. Infatti, la Consulta ha sancito il diritto di accesso del pubblico all’”informazione ambientale”, come stabilito dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195 che ha recepito la direttiva comunitaria 2003/4/CE del Parlamento e del Consiglio del 28 gennaio 2003 (C. cost. 1° dicembre 2006, n.399), in caso di disastro ambientale e perché non dovrebbe, allo stesso modo, ammettersi il diritto a conoscere, conoscere la verità.
Come è facile immaginare vi è molto di più della semplice raccolta di dati. Il Consiglio chiede una relazione che riguarda questioni che solo all’apparenza sono tecniche costituendo, piuttosto, i presupposti dell’intero agire del Governo in questi due lunghissimi e dolorosi anni.
Vi è molto di più perché quanto il Consiglio intende accertare è diretto a dichiarare se la norma che impone l’obbligo vaccinale del personale sanitario sia compatibile con le norme costituzionali perché: “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale. Ma si desume soprattutto che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili”. (C. Cost. n. 307/1990)
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