Persona, diritti personalità  -  Giulio Rufo Clerici  -  28/11/2024

Garanzia della libertà personale e rispetto della vita privata nella autonomia (o eventuale istituzionalizzazione) della persona con fragilità

Garanzia della libertà personale e rispetto della vita privata

nella autonomia (o eventuale istituzionalizzazione) della persona con fragilità

Giulio Rufo Clerici

 

  1. Premessa.

La Corte di Strasburgo, nei casi Magalhães Pereira vs. Portogallo e Calvi et C.G. vs. Italia, si è pronunciata a favore delle persone con fragilità, riguardo alla scelta tra vivere in casa o in una istituzione pubblica.

La stessa Corte ha richiamato le autorità nazionali affinché tutelino i beni giuridici della libertà e della vita privata e familiare (artt. 5 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), rispondendo a numerosi interrogativi.

Cosa avviene se una persona, desiderosa di rimanere nella propria abitazione, è collocata in una istituzione pubblica? Siamo di fronte ad una misura di protezione, o dobbiamo valutare la possibilità che si tratti di una forma di detenzione? E nell’ipotesi più estrema, l’allontanamento volontario dalla struttura è … una evasione?

Al riguardo, da tempo, intellettuali e artisti invitano l’opinione pubblica a riflettere sul significato e sulle conseguenze della istituzionalizzazione: ad esempio Igor Stravinsky (The Rake’s Progress, 1951), Boris Karloff (Bedlam, 1945) e William Hogarth rappresentano il manicomio di Santa Maria di Betlemme e la difficile condizione degli internati (Scene in Bedlam, 1735).

Il contributo dei giuristi si esprime nella difesa dei diritti fondamentali, o anche in prima persona. Basti rammentare l’esperienza vissuta dall’avvocato McCuen, nella seconda metà dell’Ottocento. Egli testimonia di essere stato rinchiuso circa tre anni, all’interno di una struttura psichiatrica statunitense, in uno spazio definibile come una “cella, perché le sue mura sono di pietra; è senza ventilazione o luce, ad eccezione di una singola fessura nel muro”. Nella “porta interna vi sono tre possenti serrature, e due in quella esterna, cinque in tutto”. La fuga del legale è seguita dalla sua cattura. E solo la richiesta di un provvedimento giudiziale, infine, lo riporta in libertà (The Trial of Ebenezer Haskell, Philadelphia, 1869, 14-15).

Gli esempi proposti sollevano questioni complesse e rivolte a tutti noi, superando la tradizionale distinzione tra i professionisti, i familiari, gli operatori (da un lato) e i beneficiari, i pazienti, gli assistiti (dall’altro lato): è necessario oltrepassare il confine ideale tra coloro che sono “all’interno” e “all’esterno” delle istituzioni pubbliche, riconoscendo, in ciascuno, la natura e i diritti dell’uomo.

 

  1. Corte EDU 26.2.2002, Magalhães Pereira vs. Portogallo, App. n. 44872/98.

Nel caso Magalhães Pereira vs. Portogallo, è ancora un avvocato a ricorrere alla Corte di Strasburgo, dolendosi di essere trattenuto in una istituzione di cura.

Il ricorrente, nel corso di una inchiesta penale, è stato ritenuto sofferente di una patologia mentale. Il Tribunale lo ha giudicato non imputabile e ha disposto il suo collocamento in un reparto psichiatrico di sicurezza, per un massimo di otto anni, con la possibilità di una revisione biennale (1996). Più volte il ricorrente ha chiesto il proprio rilascio. Il Giudice dapprima ha apposto un “visto” sulla richiesta, successivamente ha acquisito un parere medico negativo ed infine ha disposto la comparizione del diretto interessato: all’udienza il suo difensore d’ufficio non è comparso ed è stato sostituito da un funzionario del reparto psichiatrico, presso il quale il ricorrente è stato rimandato (1998). Egli è evaso, trascorrendo i successivi sette mesi senza incidenti degni di nota per la Corte, fino a quando la polizia lo ha arrestato nel domicilio eletto, presso l’abitazione familiare (1999). All’esito il Giudice ha ordinato la prosecuzione della detenzione, richiamando, a sfavore del ricorrente, sia l’evasione che il rapporto medico negativo. Alla luce della diagnosi, il Giudice inoltre ha dichiarato che non avrebbe preso in considerazione ulteriori richieste personali del ricorrente. Né l’intervento di un difensore di fiducia (2000), né le iniziative del Pubblico ministero (2001) hanno ottenuto il rilascio.

In proposito la Corte muove dal principio secondo cui “ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso a un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima” (art. 5.4 CEDU): pertanto la libertà personale è tutelata nei confronti di eventuali decisioni arbitrarie, tramite la garanzia di una sollecita decisione giudiziale, nonché di successive revisioni, ad intervalli ragionevoli (§ 41 della sentenza). Nel caso del ricorrente, tuttavia, ciò non è avvenuto. La Corte ritiene infatti che l’apposizione del “visto”, da parte del Giudice, non costituisce l’esame (tantomeno tempestivo) della domanda di rilascio e delle sue motivazioni (§ 43). Né l’evasione può giustificare una ulteriore attesa della decisione, evidenziando, piuttosto, che le autorità nazionali hanno impiegato sette mesi per rintracciare il ricorrente, all’indirizzo che egli stesso aveva fornito (§ 47). Né il ricorrente, privo della possibilità di difendersi in modo soddisfacente, ha potuto godere in udienza della assistenza di un legale d’ufficio: quest’ultimo, rimasto assente, non poteva essere sostituito da un dipendente della istituzione dove il ricorrente era internato (§ 61). Di conseguenza è mancata una difesa effettiva del ricorrente – come riconosciuta dalla CEDU – fino alla nomina del difensore di fiducia.

In tal modo la Corte ha riaffermato sia il diritto ad una decisione giudiziale sostanziale, tempestiva e soggetta a riesame, sia la garanzia di una difesa effettiva, costante e frutto di una nomina anche di fiducia, da parte di colui che è internato, a prescindere da una sua eventuale fragilità mentale. Essa, tuttavia, può escludere l’idoneità a svolgere una professione o una attività intellettuale, come ritenuto nel caso in esame?

Superata “l’alternativa secca tra capacità ed incapacità” (Cass. 21.5.2018, n. 12460), occorre analizzare la fattispecie concreta (CNF, parere in data 16.1.2013 n. 7): qualora siano comprovate gravi limitazioni personali, è valutabile la cancellazione dall’albo professionale (CNF, parere in data 22.11.2017 n. 91; conf. ad es. CNF 14.11.2023 n. 256 e CNF 26.9.2013 n. 216); diversamente, ciascuno rimane responsabile delle proprie azioni, anche in ambito professionale e sul piano disciplinare (CNF 11.6.2021 n. 122).

 

  1. Corte EDU 6.7.2023, Calvi et C.G. vs. Italia, App. n. 46412/21.

Il caso Calvi è introdotto da un ricorso a favore di una persona anziana, beneficiaria in Italia dell’amministrazione di sostegno e collocata all’interno di una struttura per la terza età (per brevità, si riporta sotto una bibliografia essenziale).

In proposito è noto che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo tutela la vita privata e familiare, vietando ingerenze pubbliche, qualora non siano previste dalla legge, rivolte a scopi legittimi e proporzionate agli stessi scopi (art. 8 CEDU).

In questa prospettiva, secondo la Corte di Strasburgo, l’amministrazione di sostegno è regolata dal nostro codice civile ed è rivolta alla protezione della persona fragile (§§ 86 e 87), ponendo la questione se la scelta del ricovero sia proporzionata a questo obiettivo.

La risposta è negativa qualora il beneficiario (i) non abbia partecipato alle decisioni che lo riguardano, (ii) sia stato ascoltato dal Giudice “soltanto una volta”, nell’istituto dove viveva, (iii) risulti sottoposto a restrizioni nei rapporti personali e familiari, mentre (iv) tutte le decisioni siano prese dall’amministratore (§ 104).

Al riguardo la Corte richiama il proprio orientamento secondo cui una diagnosi di fragilità mentale può essere valutata ai fini della eventuale istituzionalizzazione del paziente, unitamente ad altri fattori rilevanti per il suo benessere. Peraltro “il bisogno oggettivo di un alloggio e di un’assistenza sociale non deve portare automaticamente a imporre misure privative della libertà. Secondo la Corte, qualsiasi misura di protezione adottata nei confronti di una persona capace di esprimere la propria volontà deve, per quanto possibile, rispecchiare i suoi desideri (§ 96).

Le scelte che non rispondono ai desideri del beneficiario, secondo la nostra Cassazione, richiedono una “rigorosa valutazione” riguardo sia alla difficoltà dell’interessato di gestire se stesso e di “assumere decisioni adeguatamente protettive”, sia alla esistenza di “strumenti alternativi di supporto e non limitativi della capacità” della persona e della sua dignità (Cass. 10.9.2024 n. 24251).

Per quanto difficile, infatti, è necessario conciliare “il rispetto della dignità e dell’autodeterminazione della persona con le esigenze di protezione”, specialmente nelle ipotesi “di grande vulnerabilità” (§ 104): ne discende l’esigenza di un bilanciamento scrupoloso – e attentamente motivato – degli elementi che incidono sulla proporzionalità della misura da adottare, affinché essa risulti adeguata. Perché ciò possa verificarsi, secondo la Corte di Strasburgo, sono necessarie garanzie procedurali, in modo che “qualsiasi rischio di arbitrarietà sia ridotto al minimo” (§ 97), nell’esercizio del margine di apprezzamento riconosciuto a ciascuno Stato (§ 89).

 

  1. Conclusioni

La giurisprudenza esaminata pone in luce diritti di natura sostanziale e processuale, a tutela delle persone con fragilità, nella ipotesi di una eventuale istituzionalizzazione.

Sul piano sostanziale è richiesto il rispetto sia della libertà personale, come nel caso Magalhães Pereira, sia della vita privata e familiare, come nel caso Calvi. Peraltro, secondo la Corte di Strasburgo, sono consentite limitazioni: ad esempio può essere introdotto un massimale (plafonnement) alla spesa pubblica necessaria a realizzare il desiderio di un paziente di rimanere nel suo domicilio, piuttosto che in una istituzione, qualora la differenza economica, rimasta a carico del paziente stesso, non sia tale da obbligarlo a rinunciare alla vita privata e familiare, rappresentando, piuttosto, una problematica meramente pecuniaria (Corte EDU 16.2.2023, Berisha vs. Svizzera, App. n. 4723/13, §§ 44 e 48). Lo Stato non è dunque tenuto ad adottare qualunque misura per evitare l’istituzionalizzazione: si tratta, per quanto possibile, di trovare il modo di promuovere l’autodeterminazione della singola persona vulnerabile, anche nel contesto della amministrazione di sostegno.

Sul piano processuale tutti, indipendentemente da una eventuale fragilità, hanno diritto alla assistenza di un difensore, anche di fiducia, laddove si discuta di un bene giuridico primario come la libertà della persona. Ciò implica l’ulteriore diritto ad accedere al fascicolo che riguarda l’assistito, presso l’autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza (in tema Corte EDU 6.7.2010, Užukauskas vs. Lituania, App. n. 16965/04, §§ 50 e 51).

Le soluzioni adottate dalla Corte di Strasburgo trovano riscontro anche nel nostro ordinamento: esso enuncia, come noto, il principio di uguaglianza e di pari dignità sociale (art. 3 Cost.), riconoscendo, sul piano sostanziale, la libertà della persona (art. 13 Cost.), del domicilio (art. 14 Cost.) e della corrispondenza (art. 15 Cost.), la libertà di circolazione e di soggiorno (art. 16 Cost.), le relazioni familiari (artt. 29 ss. Cost.), la salute individuale e collettiva (art. 32 Cost.), l’assistenza sociale per coloro che ne hanno bisogno (art. 38 Cost.), come pure, sul piano processuale, il diritto di agire e di difendersi (art. 24 Cost.) in un equo giudizio (art. 111 Cost.).

Da ultimo il Consiglio di Stato ha ritenuto che la legge delega sulla disabilità manifesti “un esplicito favore per la deistituzionalizzazione” (Cons. St., Sez. cons., 8.2.2024, n. 131) e, quindi, per l’autonomia della persona nella scelta residenziale (cfr. art. 19 della Convenzione di New York sui diritti delle persone con fragilità).

Il nostro percorso sta dunque ricercando nuove strade per promuovere una protezione “su misura” e “in un luogo desiderato”, laddove possibile, valorizzando la centralità del singolo beneficiario e sostenendone le aspirazioni, su basi di uguaglianza.

 

Bibliografia essenziale

A completamento dei riferimenti sul caso Calvi, in questa sede, occorre richiamare le diverse ricostruzioni della vicenda, compiute, secondo le rispettive competenze, dalla Corte di Strasburgo (§§ 4-45 della sentenza), dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale (raccomandazione in data 9.4.2021) e dal Tribunale di Lecco (decreto in data 21.9.2023, per il quale si vedano gli interventi di P. Cendon in questa Rivista e in https://www.personaedanno.it/libro/il-caso-gilardi-secondo-la-ricostruzione-del-tribunale-di-lecco).




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