Premessa: è inelegante commentare un caso seguito direttamente, ma la vicenda rappresenta una piccola battaglia di principio condotta per correggere una diffusa prassi applicativa in materia di “guida pericolosa”.
TRIB. ROMA, XII sez. civ., 29.10.2020, n. 15001 – Serafini C. – annulla Giudice di Pace Roma, sent. 28.4.2016, n. 15333 – A.C. (avv. Agostino Clemente) – Roma Capitale (avv.to Ciaravella)
Responsabilita’ oggettiva – Accountability – Circolazione stradale – Guida Pericolosa - Decurtazione punti – Interesse impugnazione – (artt. 126-bis e 154, d.lgs. 30 aprile 1992, n.285)
Sussiste la legittimazione dell’autore materiale dell’infrazione ad agire per fare accertare l’illegittimità del verbale al fine di escludere la decurtazione dei punti della patente, nonostante l’avvenuto pagamento della sanzione pecuniaria da parte del proprietario dell’auto.
Ai fini dell’integrazione della fattispecie ex art. 154, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, non è sufficiente che la manovra del conducente abbia provocato un sinistro, ma è necessario che risulti che il conducente abbia effettuato la manovra senza adottare le precauzioni atte ad evitare pericolo o intralcio per gli altri utenti della strada.
dal testo della sentenza:
Il fatto. Tizia ha proposto appello avverso la sentenza del Giudice di Pace di Roma n. 83721/2015 con la quale è stata rigettata l’opposizione ex art. 7 d.lgs. n. 150/2011 avverso il verbale di accertamento (…). Con il verbale impugnato è stata contestata all’opponente la violazione dell’art. 154 del d.lgs. n. 285/1992 perché, mentre effettuava una manovra in retromarcia per l’immissione in una area di parcheggio, urtava altro veicolo in sosta in doppia fila innanzi al cassonetto dei rifiuti. (…) Tizia rilevava come la condotta accertata dagli agenti intervenuti non integrava alcuna delle fattispecie delineate dall’art. 154 d.lgs. 285/1992, e chiedeva pertanto dichiararsi illegittimo il verbale, al solo fine di escludere l’applicazione della sanzione accessoria della decurtazione del punteggio dalla patente, avendo già provveduto il proprietario del veicolo, nella qualità di obbligato in solido, a corrispondere la somma pretesa a titolo di sanzione pecuniaria.
Il giudice di prime cure, tuttavia, rigettava l’opposizione ritenendo integrata la fattispecie disciplinata dall’art. 154 d.lgs. n. 285/1992, avendo la ricorrente eseguito una manovra in retromarcia senza aver ispezionato adeguatamente lo stato dei luoghi. Avverso tale statuizione ha proposto appello Tizia rilevando la violazione del principio di legalità e proporzionalità, in quanto l’art. 154 d.lgs. 285/1992 mirerebbe a sanzionare le sole condotte imprudenti poste in essere dagli automobilisti, tra le quali non rientrerebbe quella sanzionata nel caso di specie, caratterizzata peraltro dal fatto che il veicolo attinto durante la manovra di parcheggio era fermo e privo di conducente, nonché la mancanza dell’elemento soggettivo, ai sensi dell’art. 3 l. 689/1981. Si è costituita in giudizio Roma Capitale rilevando in via preliminare l’inammissibilità del gravame, in quanto l’avvenuto pagamento della sanzione pecuniaria renderebbe incontestabile il verbale, irritualmente impugnato al solo fine di escludere l’applicazione della sanzione accessoria della decurtazione dei punti della patente. Nel merito, Roma Capitale ha chiesto il rigetto del gravame in quanto infondato.
I motivi. L’eccezione di inammissibilità dell’opposizione è infondata e deve pertanto essere rigettata. Al riguardo appare sufficiente richiamare i principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 471/2005: “una volta definita la vicenda relativa alla sanzione pecuniaria, in virtù del pagamento in misura ridotta effettuato da taluno dei soggetti coobbligati solidalmente per la stessa, ex art. 196 del codice della strada (soggetti, tra l’altro, a carico dei quali non si potrebbe irrogare la sanzione accessoria della decurtazione del punteggio dalla patente di guida, secondo quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 27 del 2005) – nessuna norma preclude al conducente del veicolo, autore materiale dell’infrazione stradale, di adire le vie giudiziali per escludere l’applicazione, a suo carico, della sanzione “personale” suddetta. Essa, oltretutto, non riveste più carattere meramente “accessorio”, ma assume valore di sanzione principale per il contravventore, per tale motivo presentandosi come l’unica suscettibile di contestazione in sede giudiziaria, contestazione, invece, preclusa per la sanzione pecuniaria, proprio per l’avvenuto pagamento della stessa in misura ridotta, da parte di uno dei coobbligati in solido”.
Nella specie l’opponente ha dedotto che la sanzione pecuniaria è stata pagata dal proprietario dell’auto, nella qualità di responsabile in solido, sicché deve ritenersi sussistente la legittimazione dell’autore materiale dell’infrazione ad agire per far accertare l’illegittimità del verbale al fine di escludere la decurtazione dei punti dalla patente.
Nel merito, l’appello è fondato e deve pertanto essere accolto. L’art. 154 d.lgs. n. 285/1992 prevede, tra l’altro, che i conducenti che intendono eseguire una manovra per immettersi nel flusso della circolazione, per cambiare direzione o corsia, per invertire il senso di marcia, per fare retromarcia, per voltare a destra o a sinistra, per impegnare un'altra strada, o per immettersi in un luogo non soggetto a pubblico passaggio, ovvero per fermarsi, devono assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di essi. Secondo la statuizione del primo giudice, dalla collisione con il veicolo fermo - sebbene in doppia fila - dovrebbe desumersi che l’opponente non ispezionò in maniera adeguata lo stato dei luoghi, al fine di eseguire la manovra in assenza di qualsiasi rischio. Va tuttavia osservato che, ai fini dell’integrazione della fattispecie prevista dall’art. 154 d.lgs. 285/1992 è necessario che la manovra eseguita – nella specie in retromarcia – abbia determinato una situazione di pericolo o di intralcio per gli altri utenti della strada. Nella specie non v’è prova che la manovra compiuta dall’opponente abbia intralciato il traffico oppure abbia ingenerato una situazione di pericolo. E’ appena il caso di osservare che dal mero contatto tra le due auto - in difetto di ulteriori elementi di riscontro indicati nel verbale di accertamento relativi alla gravità dello stato di fatto ingeneratosi per effetto della manovra – non può desumersi tout court una situazione di compromissione della sicurezza dell’altro veicolo o del suo conducente (che peraltro non era a bordo della vettura al momento dell’urto) tale da essere sussunta nella fattispecie disciplinata dall’art. 154 d.lgs. 285/1992
Diversamente opinando dovrebbe desumersi che qualsiasi – anche lieve – contatto tra i veicoli durante le fasi di parcheggio, a prescindere dall’eventuale rilievo in sede civile, determini automaticamente e in ogni caso l’applicazione della sanzione prevista a carico di coloro che compiono manovre pericolose o idonee ad intralciare il traffico.
Nella specie non solo non v’è prova che la manovra compiuta dall’opponente abbia determinato una situazione di pericolo effettivo per l’altra auto o il suo conducente, ma in ogni caso nella valutazione della pericolosità della manovra non può non tenersi in considerazione la circostanza che l’auto era parcheggiata in maniera irregolare, in doppia fila, così restringendo lo spazio destinato alla normale manovra di parcheggio.
In conclusione, l’appello deve essere accolto ed il verbale impugnato deve essere dichiarato illegittimo.
(…)
Il Tribunale di Roma, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da Tizio avverso la sentenza del Giudice di Pace di Roma n. 15333/2016, ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione disattesa, così provvede:
accoglie l’appello e per l’effetto dichiara illegittimo il verbale n. 14150049590;
condanna Roma Capitale al rimborso delle spese processuali in favore dell’opponente (…)
La guida pericolosa tra accountability e responsabilità oggettiva
Il fatto che ha dato origine alla pronuncia consiste in un sinistro di lievissima entità. Tizia, neo patentata, eseguendo una manovra di parcheggio in una strada non trafficata, andava ad urtare lievemente e involontariamente una vettura parcheggiata irregolarmente, la quale aveva reso più difficoltosa la manovra di parcheggio. Poiché le parti non trovavano un accordo sulla compilazione del CID, Tizia chiamava la polizia urbana di Roma. Gli agenti intervenuti, riscontrando il sinistro, contestavano a Tizia la violazione dell’art. 154 del Nuovo Codice della Strada (“NCdS”), comunemente menzionato come sanzione della “guida pericolosa”, in quanto “nell’effettuare manovra in retromarcia per l’immissione in area di parcheggio, urtava altro veicolo in sosta davanti ai cassonetti dei rifiuti solidi urbani”.
In conseguenza di tale accertamento, a Tizia sarebbe stata comminata, oltre alla sanzione economica, anche la decurtazione di ben quattro punti della patente (sanzione raddoppiata in quanto neo-patentata), oltre alla privazione del bonus previsto in assenza di violazioni (per un totale di circa dieci punti di penalizzazione rispetto alla assenza di violazioni). Pertanto Tizia impugnava il verbale, contestando l’assenza di una condotta sussumibile nelle fattispecie di cui all’art. 154 NCdS. Il Giudice di Pace confermava tuttavia la sanzione e Tizia proponeva appello davanti al Tribunale di Roma.
L’appello veniva accolto ed è utile riportare i passaggi salienti della decisione:
(…) L’art. 154 d.lgs. n. 285/1992 prevede, tra l’altro, che i conducenti che intendono eseguire una manovra per immettersi nel flusso della circolazione, per cambiare direzione o corsia, per invertire il senso di marcia, per fare retromarcia, per voltare a destra o a sinistra, per impegnare un'altra strada, o per immettersi in un luogo non soggetto a pubblico passaggio, ovvero per fermarsi, devono assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di essi. Secondo la statuizione del primo giudice, dalla collisione con il veicolo fermo - sebbene in doppia fila - dovrebbe desumersi che l’opponente non ispezionò in maniera adeguata lo stato dei luoghi, al fine di eseguire la manovra in assenza di qualsiasi rischio. Va tuttavia osservato che, ai fini dell’integrazione della fattispecie prevista dall’art. 154 d.lgs. 285/1992 è necessario che la manovra eseguita – nella specie in retromarcia – abbia determinato una situazione di pericolo o di intralcio per gli altri utenti della strada. Nella specie non v’è prova che la manovra compiuta dall’opponente abbia intralciato il traffico oppure abbia ingenerato una situazione di pericolo. E’ appena il caso di osservare che dal mero contatto tra le due auto - in difetto di ulteriori elementi di riscontro indicati nel verbale di accertamento relativi alla gravità dello stato di fatto ingeneratosi per effetto della manovra – non può desumersi tout court una situazione di compromissione della sicurezza dell’altro veicolo o del suo conducente (che peraltro non era a bordo della vettura al momento dell’urto) tale da essere sussunta nella fattispecie disciplinata dall’art. 154 d.lgs. 285/1992
Diversamente opinando dovrebbe desumersi che qualsiasi – anche lieve – contatto tra i veicoli durante le fasi di parcheggio, a prescindere dall’eventuale rilievo in sede civile, determini automaticamente e in ogni caso l’applicazione della sanzione prevista a carico di coloro che compiono manovre pericolose o idonee ad intralciare il traffico.
Nella specie non solo non v’è prova che la manovra compiuta dall’opponente abbia determinato una situazione di pericolo effettivo per l’altra auto o il suo conducente, ma in ogni caso nella valutazione della pericolosità della manovra non può non tenersi in considerazione la circostanza che l’auto era parcheggiata in maniera irregolare, in doppia fila, così restringendo lo spazio destinato alla normale manovra di parcheggio.(…)
Le Sezioni Unite del 2012. Non risultano pubblicate precedenti decisioni sulla questione principale affrontata nella sentenza. Tuttavia, la pronuncia sembra porsi apparentemente in contrasto con la sentenza delle Sezioni Unite (Cass., sez. un., 13.3.2012, n. 3941, pubblicata in Giust. civ., 2013, I, 1107), la quale ha esaminato la questione della non manifesta illegittimità per irragionevolezza della decurtazione di punti della patente comminata in via generale dalla legge, senza possibilità di valutazione e/o graduazione in relazione al caso concreto. Il caso che ha dato origine tale precedente giudizio concerneva le sanzioni applicabili all’attraversamento con il semaforo rosso, previste dall’art. 146, comma 3 (oltre che dall’art. 126-bis relativo alla “patente a punti”), dunque da una disposizione diversa da quella qui in esame. In quel caso, la Suprema Corte aveva stabilito la non manifesta irragionevolezza della decurtazione dei punti prescritta in via generale ed astratta secondo la valutazione della pericolosità della condotta rimessa alla discrezionalità del legislatore. La decisione delle SS.UU. sembra dunque implicitamente voler escludere l’applicabilità alle sanzioni del codice della strada della dottrina della offensività della condotta, elaborata soprattutto in campo penale (cfr. ex plurimis Corte cost. 17 luglio 2002, n 354), secondo cui una condotta – quand’anche sussumibile in una astratta fattispecie incriminatrice – è punibile soltanto ove comporti una effettiva lesione del bene giuridico protetto.
Trattandosi di un fondamentale principio di civiltà giuridica chi scrive dubita che il principio di offensività possa essere eluso in materia di sanzioni per violazioni del codice della strada. Tuttavia, anche prescindendo da tali considerazioni, il richiamo della pronuncia delle Sezioni Unite sarebbe solo apparentemente invocabile per contrastare la decisione in commento. Infatti, in primo luogo la pronuncia della Suprema Corte concerne la sola (non) manifesta illegittimità della previsione in via generale della sanzione accessoria della decurtazione dei punti e non la ratio della prescrizione principale; in secondo luogo, la norma scrutinata (art. 146, comma 3, N.C.d.S.) ha una struttura ben diversa dalla norma applicata al caso in commento. Ad ogni modo, l’affermazione della Corte secondo cui non eccede la discrezionalità del legislatore la previsione di sanzioni accessorie automatiche, non comporta che non si debba valutare in concreto la sussistenza della violazione della norma. Ossia che si possa (e si debba) verificare l’applicabilità della sanzione principale (prima ancora e a prescindere dalla applicazione della sanzione accessoria), in relazione all’effettivo pregiudizio dell’interesse protetto.
La ratio della sentenza del Tribunale di Roma. Proprio il distinguishing tra la sentenza in commento del Tribunale di Roma e il precedente delle Sezioni Unite consente di mettere a fuoco la ratio dell’art. 154 NCdS e la ratio decidendi della pronuncia che stiamo esaminando. L’art. 154 NCdS, a differenza di altre previsioni del codice della strada, non sanziona una condotta specifica (es. l’attraversamento con il rosso sanzionato dal menzionato art. 146) ma considera una serie di manovre che sono naturali e, di regola, indispensabili nella circolazione stradale (ad es., nel caso di specie: manovra di retromarcia) prescrivendo che, nell’effettuarle, i conducenti debbano: a) assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di essi; b) segnalare con sufficiente anticipo la loro intenzione. Il difetto di tali precauzioni configura la fattispecie della c.d. “guida pericolosa”.
Le prescrizioni sono dettate in chiave di accountability: le manovre non sono vietate di per sé, ma il conducente ha l’onere, la “responsabilizzazione”, di valutare i possibili pericoli ed intralci per gli altri utenti della strada. Di conseguenza, la sanzione deve essere applicata quando risulti – secondo l’id quod plerumque accidit – che, al momento della manovra, fosse prevedibile il pericolo o l’intralcio, e che dunque la manovra stessa andava evitata o effettuata con diverse modalità. Va da sé che il pericolo e l’intralcio si possono escludere in assenza di altre auto in movimento e di altre persone coinvolte. Più in generale, pericolo e intralcio rappresentano una soglia di impatto negativo non accettabile, ove prevedibile ed evitabile, al di sotto della quale possono tuttavia accadere sinistri di lieve entità i quali, ferma l’eventuale responsabilità civile, non sono manifestazioni di guida pericolosa bensì il portato della non eludibile rischiosità della circolazione stradale.
Quel che accade spesso, e che il Tribunale di Roma ha censurato, è che l’operatore (tipicamente la polizia urbana) sconti la poca familiarità con prescrizioni in chiave di accountability. Questa è in effetti una categoria non tradizionale nel linguaggio giuridico e nella pratica quotidiana, che non a caso stentiamo a tradurre in italiano, usando talvolta il termine approssimativo “responsabilizzazione”. E’ solo in anni recenti che il termine è entrato nel linguaggio giuridico in materia di amministrazione pubblica e societaria, nonché di compliance aziendale, ed è diventato piuttosto popolare con l’entrata in vigore del regolamento europeo sulla privacy (GDPR). In chiave di accountability non si descrive una condotta da adottare e non si prevede un divieto specifico, ma si prescrive la responsabilizzazione di un soggetto in ordine alla previsione e valutazione dei rischi delle condotte da assumere. La sanzione è prevista, pertanto, per l’ipotesi in cui non vengano adottate le misure adeguate ad evitare i pregiudizi (o talvolta almeno minimizzare), in relazione alla posizione e alle ragionevoli possibilità dell’individuo responsabilizzato.
Nel caso della guida pericolosa, la prescrizione normativa mira all’adozione delle misure prudenziali atte ad evitare pericoli ed intralci per gli altri utenti della strada. L’agente accertatore dovrebbe dunque operare inevitabilmente e doverosamente un giudizio prognostico, ex ante, relativo alla prevedibile pericolosità della fattispecie e non, invece, adottare la scorciatoia del giudizio ex post. Purtroppo il senno del poi spesso genera effetti distorsivi se non veri e propri abusi. Nella fattispecie in esame, che è esemplare di una prassi diffusa, la norma veniva declinata come se comportasse l’attribuzione di una vera e propria responsabilità oggettiva, una responsabilità per l’evento: se c’è stato un danno, anche il più irrisorio, il conducente ha la responsabilità di non averlo previsto. Dunque si legge “responsabilità oggettiva” dove si dovrebbe leggere “responsabilizzazione” (accountability).
Va da sé che, per indurre gli operatori ad un mutamento di prospettiva operativa, non è sufficiente una sentenza, ancorché encomiabile. Quando le categorie giuridiche evolvono, non si può non raccomandare una rivisitazione della formazione, dalle università ai diversi ambiti lavorativi.