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L'ex moglie: a 54 anni impossibile entrare nel mondo del lavoro. Ma la Suprema Corte l'ha bocciata
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Si è vista togliere l'assegno di divorzio dal momento che - sostengono i giudici - ha una laurea in giurisprudenza e una professione da avvocata messa da parte, oltre a un patrimonio di famiglia che dovrebbe garantirle un sostentamento più redditizio e stabile rispetto all'ex marito. La decisione è stata presa dalla Cassazione, che nei giorni scorsi ha esaminato il caso di una coppia piemontese.
Al momento del divorzio il giudice di Novara aveva stabilito che il marito dovesse versare all'ex moglie un assegno di 300 euro, ma la corte d'appello di Torino aveva rettificato quella disposizione azzerando il contributo (mentre ha aumentato a 600 euro mensili il contributo per la figlia, maggiorenne ma non autonoma). L'ex moglie ha provato a far valere le sue ragioni in Cassazione facendo leva sulla "enorme disparità reddituale" tra marito e moglie e sull'impossibilità per la donna "di svolgere un'esistenza libera e dignitosa con i redditi posseduti".
Ma soprattutto era stata una "scelta condivisa con il coniuge, e non propria, di non lavorare per crescere i due figli e la possibilità data al marito di diventare dirigente d'industria", così come "la rinuncia a svolgere la professione di avvocato per dedicarsi alla famiglia". Una decisione da cui era difficile tornare indietro, vista la difficoltà "all'età di 54 anni riciclarsi nel mondo del lavoro".
Ma i giudici della Suprema corte hanno giudicato quel ricorso inammissibile e ha confermato quanto stabilito dai giudici di appello, ovvero che la donna per ricostruirsi una vita poteva fare affidamento "sull'assegnazione in suo favore della ex casa coniugale, sulla laurea in giurisprudenza che avrebbe potuto assicurarle, ove messa a frutto, adeguati redditi e sulla titolarità di importanti cespiti mobiliari ed immobiliari".
In particolare la Cassazione ha stabilito che "la condizione dell'ex moglie è complessivamente più solida del marito e tanto è stato fin dall'inizio della vita matrimoniale in ragione di una più forte consistenza reddituale della famiglia di origine, che ha formato il livello reddituale della prima, come poi mantenuto in costanza di matrimonio".
Dunque i giudici che hanno seguito il caso hanno "escluso, da un canto, lo squilibrio economico-patrimoniale tra le parti che, insussistente al momento del matrimonio, non ha determinato un impoverimento al venir meno del vincolo coniugale della ex moglie, che godeva e continua a godere di immobili ed entrate in ragione dell'agiata posizione economica della famiglia di origine, pur non lavorando".
E anche per quanto riguarda il lavoro "i giudici di appello hanno poi ritenuto che la signora, avvocato, abbia un titolo che le consenta di immettersi sul mercato del lavoro restando comunque titolare di redditi che le garantiscono un'ampia autosufficienza economica".