Letteratura  -  Tornesello Giulia  -  06/02/2011

L

Ricordo con lo scritto di oggi Roberto Signorini, grande studioso e uomo straordinario del quale è arduo enumerare tutte le virtù ed i meriti di impegno civile, di coraggio. di rigore. di generosità grande verso gli ultimi. Anche d’aspetto era semplicemente ma indiscutibilmente bello. Un dono di natura la sua bellezza, che portava con semplicità. Grandi occhi verdi solitamente dolci, talora severi, alto, atletico. Roberto se ne è andato nel 2009 a soli 62 anni, è viva ancora l’emozione di tanti che hanno parlato durante il funerale, i ricordi, le testimonianze numerose, al di là di ogni previsione, tese, sentite, interrotte dalle lacrime di coloro che si succedevano a prendere la parola. Queste lacrime (testimonianza di un senso di perdita o di un qualche altro sentimento, certo privatissimo, e perciò da rispettare) mi hanno fatto pensare oggi alle lacrime che Roberto non ha mai versato ma che ha spesso trattenute in un nodo duro, alla gola. E poi subito alla bellissima frase di Don Lorenzo Milani: “Non fateli piangere quando sono vivi”. E Roberto ha vissuto. Con pienezza e vigore. Amava la montagna e si arrampicava, amava il mare e nuotava per ore e nei fondali più belli. Le Eolie, le Tremiti. il nostro mare salentino. Andava in bici da corsa per le vecchie stradine ed in canoa sul lago, con la sua compagna al fianco, piccola, minuta, indomita. A piedi hanno percorso le Langhe e la parte più suggestiva delle Cinque Terre. Faceva pic nic in jeans e maglione ma odiava i ristoranti, il lusso, gli abiti costosi e griffati. Aveva un grande gusto, era un cultore dell’arte ed un fotografo professionista, era per di più coltissimo, un erudito come si vede bene dalle sue opere che oggi costituiscono il Fondo Roberto Signorini, donato da sua moglie al Museo di Fotografia Contemporanea, Villa Ghirlanda di Cinisello Balsamo (Mi) direzione artistica di Roberta Valtorta. Nel 2009 ha donato ai lettori mettendolo direttamente in rete, gratuitamente, il saggio su Peirce  scritto durante l’ultimo anno della malattia (“Appunti sulla fotografia nel pensiero di Charles S. Peirce”, Società Italiana per lo Studio della Fotografia www.sisf.eu ).

Ho avuto l’onore di scrivere con lui a quattro mani un pezzo molto bello, semplice e toccante, pubblicato in questo sito "NATI TROPPO TARDI? HA DISPERSO I SUPERBI NEI PENSIERI DEL LORO CUORE"- Roberto SIGNORINI - Giulia TORNESELLO 29 gennaio 2009.
Questa di oggi, però, non vuole essere una laudatio di Roberto Signorini né intende accreditare il superstizioso timore che ad aver troppe qualità visibili si attira l’invidia degli dei. Come credevano gli eroi dell’antica Grecia. Il furbo Ulisse per riprendersi moglie e regno tornò nella sua Itaca travestito da mendicante. Inverando così l’ossimoro (coesistenza degli opposti: il re mendico). L’ossimoro felice ed astuto.
Oggi nel 2011 il problema virtù-vizi sussiste in forme diverse e meno nobili.
Ma, naturalmente, non è così semplice da decifrare.
Potrebbe essere ancora abbastanza semplice parlare dei vizi della società. In contrapposizione a vite come quella di Roberto. Ma neppure questo va bene.

Roberto piaceva a vecchi e giovani, a ricchi e poveri, ma non piaceva assolutamente nel giro del politically correct, là dove si identifica la vitalità con il sorriso a tutti denti, il presenzialismo, l’incedere perennemente “affaccendato” con il fascio dei giornali sotto il braccio e la borsa gonfia. E l’amore per la natura sono la barca a vela, qualche viaggio e poi le vacanze in località “non di destra”, quanto a generosità grande/vera e coraggio meglio lasciar perdere. In città come Milano dove ci si trova ad assistere a violenze epperò si può, senza disdoro perché nessuno lo saprà, squagliarsela, far finta di non aver visto né sentito. “Ma è pericoloso...”dicono. Beh, sì. Ma perché non ammettere: sono un/una pavido/a. MAI.
E se un amico in difficoltà chiede aiuto non dare denaro è quanto mai politicamente corretto. Lo fa Berlusconi, si avrà la faccia tosta di dire, magari. E loro cosa fanno? Rastrellano finanziamenti per i loro progetti che documenteranno, censiranno, denunceranno in maniera suggestiva la povertà in aumento, la gente che dorme in auto, i ricercatori universitari sui tetti, gli operai immigrati sulla Torre.

Ed allora ho pensato che come omaggio al rigore di Roberto e di quelli come lui, avrei pagato ora, con uno scritto faticoso, di mia volontà, il mio vizio: un vecchio colto amore per la figura dell’ossimoro, la convivenza degli opposti.
Dunque vizi e virtù. Parliamone così.
Iniziando il cammino fra i vizi e virtù nell’antica Roma (alla quale le cronache oggi spesso si richiamano quanto a vizi) il gioco dell’ossimoro è una passeggiata in pianura.
Orazio inventò “l’ossimoro felice” cioé ne fece di virtù e vizi un fatto di quantità. Troppa virtù diventa vizio e viceversa un tocco di vizio è virtù: in medio stat virtus. L’ossimoro come convivenza equilibrata e felice.” (così Ottavio Confalonieri)
Ma quell’incauto di Giovenale ne fece una questione qualitativa. “Turba Remi” è il popolo urlante che infierisce volgarmente contro i resti della statua distrutta nella “damnatio memoriae” di Seiano, tribuno del pretorio sotto Tiberio, caduto dalle “grazie” dell’imperatore quando era all’apice del successo, del suo valore. Il popolo è qui ridotto a vulgus e Giovenale infierirà contro la “sua Roma”, contro la marmaglia pettegola che si incarna nel commento di un anonimo che assiste allo scempio e che teme l’estendersi della vendetta di Tiberio: “magna fornacula est ”. Uniti nel sintagma l’aggettivo magna ed il sostantivo fornacula fanno coesistere un contrasto inusuale dalla forte carica espressiva. Il piccolo diventa grande e divora il grande del quale si rivela il dis-valore: piccolo e grande cuciti insieme. Come quel turba Remi dove il progenitore Remo si incarna in un popolo ridotto a marmaglia violenta senza nessuna funzione politica né sociale. Attraverso questo ossimoro si intuisce anche il dramma privato di Giovenale capace di porsi, con feroce ma razionale e colto, raffinato vigore, contro la degenerazione della sua Roma. (Ottavio Confalonieri cit.)

Fatichiamo ben più sulla strada aspra lastricata di solitudine e da una dignità tesa sino allo spasimo: il moderno spaccato sociale tracciato da Eugenio Montale. L’ossimoro permanente. Al confronto Orazio e Giovenale sono due libri aperti, per il paziente lettore. Di loro abbiamo detto, ciascuno potrà approfondire a suo piacimento se si è interessato. (Ottavio Confalonieri “Traiettorie dell’ossimoro”).
E adesso
“Lettera a Malvolio”

Non s'è trattato mai d'una mia fuga, Malvolio,
e neanche di un mio flair che annusi il peggio
a mille miglia. Questa è una virtù
che tu possiedi e non t'invidio anche
perchè non potrei trarne vantaggio.

No,
non si trattò mai d'una fuga
ma solo di un rispettabile
prendere le distanze.

Non fu molto difficile dapprima,
quando le separazioni erano nette,
l'orrore da una parte e la decenza,
oh solo una decenza infinitesima
dall'altra parte. No, non fu difficile,
bastava scantonare scolorire,
rendersi invisibili,
forse esserlo. Ma dopo.

Ma dopo che le stalle si vuotarono
l'onore e l'indecenza stretti in un solo patto
fondarono l'ossimoro permanente
e non fu più questione
di fughe e di ripari. Era l'ora
della focomelia concettuale
e il distorto era il dritto, su ogni altro
derisione e silenzio.

Fu la tua ora e non è finita.
Con quale agilità rimescolavi
materialismo storico e pauperismo evangelico,
pornografia e riscatto, nausea per l'odore
di trifola, il denaro che ti giungeva.
No, non hai torto Malvolio, la scienza del cuore
non è ancora nata, ciascuno la inventa come vuole.
Ma lascia andare le fughe ora che appena si può
cercare la speranza nel suo negativo.
Lascia che la mia fuga immobile possa dire
forza a qualcuno o a me stesso che la partita è aperta,
che la partita è chiusa per chi rifiuta
le distanze e s'affretta come tu fai, Malvolio,
perchè sai che domani sarà impossibile anche
alla tua astuzia.
EUGENIO MONTALE


E siamo all’oggi quando capita oramai anche a persone si dovrebbe dire “comuni” di incassare le seguenti gratificazioni “impartite” loro in tono politically correct. Loro sono: selvaggi, tormentati, eruditi, sofisticati, criptici, enigmatici, labirintici. Si potrebbe dire invece che non si ha più la chiave per leggere (cioè comprendere) la generosità, il coraggio della verità, la totale assenza di furbizia. Ma perché mai dovrebbero fare autocritica? Sarebbe un comportamento disfattista. Costruire bisogna. E poi in linguaggio politicamente corretto si può dire oramai praticamente tutto…impunemente.
giornalista e scrittrice, in un articolo recente (per poter esprimere senza essere equivocata un parere negativo sui “genitori same sex” e non avendo mai proclamato urbi et orbi di essere gay friendly ) ha premesso: se dite che sono omofoba, urlo.
Ha ragione, il rischio di linciaggio morale c’è eccome. Il “politicamente corretto” colpisce non solo i grandi ma tutti gli scomodi quelli che dimostrano vigore, coraggio, vitalità che sono definiti appunto per questo selvaggi tormentati. Per concludere con serenità l’omaggio al caro ricordo ed al coraggio di Roberto Signorini dico una cosa che forse gli sarebbe piaciuta: e se qualcuno dice che sono stata troppo “erudita” urlo. ( g.t.)

NOTE A MARGINE.

Alcuni scritti di Roberto Signorini

2001 Arte del fotografico. I confini della fotografia e la riflessione teorica negli ultimi vent’anni, Pistoia, CRT

2002 Manhattan o del sublime contemporaneo, in Il Segnale, n. 61, febbraio

2006 Jean-Marie Schaeffer, L’immagine precaria. Sul dispositivo fotografico, traduzione e note di Marco Andreani e Roberto Signorini, Bologna, CLUEB

2007 Alle origini del fotografico. Lettura di The Pencil of Nature (1844-46) di William Henry Fox Talbot, Bologna/Pistoia, CLUEB/Petite Plaisance

Appunti sulla fotografia nel pensiero di Charles S. Peirce, Società Italiana per lo Studio della Fotografia www.sisf.eu

Lettera a Malvolio di Eugenio Montale

«Il testo, inteso come lettera aperta, dai cui il titolo, focalizza uno dei temi ricorrenti nell’ultima produzione di Montale e cioè la difesa della propria intransigenza etica che da tanti intellettuali e detrattori era scambiata per disimpegno…. Il poeta prende le rispettabili distanze da ogni posa letteraria, da ogni ideologia che abbia la pretesa di assurgere a verità, e soprattutto resta alieno da atteggiamenti protagonistici.».




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