1.Una recente sentenza di merito si sofferma sulla questione delle conseguenze risarcitorie delle immissioni di rumore eccedenti la soglia della normale tollerabilità ( art. 844 c.c. ) e, in particolare, della risarcibilità del danno non patrimoniale provocato dalle suddette immissioni.
Il caso riguardava il proprietario di un appartamento compreso in uno stabile condominiale che lamentava l’eccessiva rumorosità dell’ascensore, a seguito dei lavori realizzati dal Condominio nel 2016, e quindi chiedeva la cessazione del comportamento lesivo con l’eliminazione delle immissioni di rumore intollerabili, nonché il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale conseguente.
Il giudice di primo grado ( Tribunale di Firenze ), con la sentenza n.2215/2020, accoglieva solo parzialmente le domande proposte dal condomino, dichiarando che a seguito dei lavori fatti eseguire dal Condominio il rumore provocato dall’impianto di ascensore aveva superato il limite di tollerabilità e, di conseguenza, condannando il Condominio ad eseguire i lavori indicati dal CTU nominato dal Giudice ; rigettava, invece, ogni altra domanda di parte attrice, in particolare le domande di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale
( comprensivo quest’ultimo del danno alla salute ).
Il condomino ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Firenze, sulla base di diversi motivi ; la Corte di Appello fiorentina ha accolto il motivo relativo al diniego di risarcimento del danno non patrimoniale, disattendendo gli altri motivi, per cui - in parziale riforma dell’impugnata sentenza - ha condannato il Condominio al risarcimento del danno non patrimoniale subìto dal condomino, liquidato nella somma di euro 5.000,00 ( v. dispositivo della sentenza di appello n.301/2024 del 14 febbraio 2024 ).
2. La sentenza in esame sembra interessante e correttamente motivata, laddove censura sul piano giuridico la pronuncia di primo grado, da ritenersi “ senz’altro errata nella parte in cui ha negato il risarcimento del danno non patrimoniale, sulla base dell’accertata inesistenza di un danno biologico, senza verificare la configurabilità di tale diversa tipologia di lesione “ ( par. 3.2.1 della motivazione ). Infatti, il giudice di prime cure aveva respinto la domanda attorea di risarcimento del danno non patrimoniale osservando che il danno alla salute non era nella specie sussistente, “ in quanto le certificazioni mediche prodotte non risultavano supportate da esami strumentali o da relazioni specialistiche “
( par. 1.3 della sentenza di appello, ove si riporta il contenuto della sentenza di primo grado). Questa motivazione, tuttavia, non può essere in alcun modo condivisa, in quanto in presenza di immissioni intollerabili non è configurabile soltanto un danno biologico o alla salute, come ritenuto dal primo giudice, ma anche una diversa tipologia di danno non patrimoniale costituita dai disagi e dalle sofferenze subite e dall’alterazione delle abitudini di vita del soggetto leso : diversa tipologia di danno che il primo giudice non aveva affatto esaminato e di cui non aveva verificato l’esistenza.
Al riguardo la Corte d’Appello di Firenze richiama il consolidato orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale la “ accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili può determinare una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni sulla base delle nozioni di comune esperienza (…), senza che sia necessario dimostrare (…) un effettivo mutamento delle abitudini di vita “ ( così Cass. civ. ord. 13 aprile 2022, n.11930 ).
Anche le Sezioni Unite della Corte, nel 2017, avevano affermato che “ il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi…” ( Cass. civ. sez. un. sentenza 1 febbraio 2017, n.2611 ).
Il richiamo all’art. 8 della CEDU ( che sancisce il diritto di ogni persona al “ rispetto della sua vita privata e familiare ” ) è pertinente e significativo e la stessa Corte d’Appello fiorentina evidenzia come il nostro giudice di legittimità abbia ricordato che la Corte europea dei diritti dell’uomo “ ha sanzionato più volte gli stati aderenti alla convenzione, i quali - in presenza di livelli di rumore significativamente superiori a quello massimo consentito dalla legge - non avevano adottato misure idonee a garantire una tutela effettiva del diritto al rispetto della vita privata e familiare “ ( Cass. civ. ord. 13 aprile 2022 cit. ).
Dunque, alla luce di questo panorama giurisprudenziale anche sovranazionale e tenuto conto che nel caso di specie è passato in giudicato il capo della sentenza di primo grado che ha accertato e dichiarato che “ a seguito dei lavori fatti eseguire dal C1 convenuto nell’anno (…) il rumore provocato dall’impianto di ascensore aveva superato il limite di tollerabilità”, la Corte di Appello di Firenze osserva che “ non può seriamente dubitarsi che le immissioni abbiano determinato un’alterazione delle abitudini di vita del P1 “ ( par. 3.2.2 della pronuncia che si commenta ). Infatti, tale conclusione è avvalorata dalla posizione del vano servizi dell’ascensore, proprio al di sopra del soggiorno dell’appartamento dell’appellante, per cui “ è ragionevole presumere che, stante l’entità del differenziale con il rumore di fondo (…) rilevato dal c.t.u. (…), sia stato certamente compromesso l’esercizio di quelle attività normalmente esplicabili in tale ambiente ( quali, a titolo esemplificativo, leggere, guardare la televisione, ascoltare musica, ecc. ) “ ( par. 3.2.2 ).
Invece, non vi è stata nella specie - ad avviso della Corte - anche una lesione del diritto al riposo notturno del condomino, “ laddove si consideri che la camera da letto non è sottostante al vano ascensore ( da cui risulta separata dal soggiorno ), sicchè è arduo ritenere che i rumori possano essersi propagati anche in tale stanza, tanto più in orario notturno quando l’uso dell’ascensore è, normalmente, maggiormente ridotto “ ( ibidem ).
Riguardo alla quantificazione del danno non patrimoniale, la sentenza in esame rileva come è stato evidenziato dal C.T.U. che le caratteristiche strutturali del fabbricato condominiale in questione rendono ineliminabile il problema delle immissioni rumorose e, di conseguenza, l’esecuzione dei lavori del 2016 da parte del Condominio “ ha avuto un’incidenza tutto sommato modesta nella produzione del danno lamentato dall’appellante “ : di qui, tenuto conto del lasso di tempo intercorso dalla denuncia del fatto ( 16.9.2016 ) fino all’esecuzione degli interventi individuati dal C.T.U., “ si ritiene di dover parametrare il danno su un arco di 50 mesi e di quantificarlo in Euro 100,00 mensili, così pervenendosi ad un totale di Euro 5.000,00, somma già rivalutata all’attualità “ ( ibidem ).
L’appello del condomino viene rigettato, invece, con riferimento alle voci del danno alla salute o biologico e del danno patrimoniale, osservandosi dalla Corte, riguardo al primo, che l’appellante si era limitato a produrre un certificato medico privo di valenza probatoria, dato che la causa della patologia indicata ( sindrome ansiosa con episodi di insonnia ) non era stata oggetto di alcun accertamento specialistico ( par. 3.2.3 ) ; riguardo al danno patrimoniale, che l’appellante non aveva fornito alcun elemento atto a dimostrare la presunta riduzione del valore dell’immobile ( par. 3.3.2 ).
3. A questo punto, ricostruita la fattispecie esaminata e la ratio decidendi della pronuncia della Corte d’Appello fiorentina, giova svolgere qualche breve considerazione conclusiva in ordine al danno non patrimoniale derivante da immissioni sonore intollerabili e alla sua autonomia rispetto al danno biologico strettamente inteso. Già si è richiamato il passo della sentenza delle Sezioni Unite n.2611/2017, ove si distingue tra il danno biologico determinato dalle immissioni sonore e il “pregiudizio non patrimoniale derivante dallo sconvolgimento dell’ordinario stile di vita “, ribadendo che “ il danno non patrimoniale conseguente ad immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane (…)”. In effetti tale distinzione è corretta e doverosa : si è autorevolmente sostenuto che le immissioni sonore intollerabili possono causare fastidio e stress e che “ Il fastidio e lo stress, anche quando non degenerano in un danno alla salute, costituiscono un danno risarcibile in due casi : o quando la condotta illecita dovesse integrare gli estremi d’un reato ( ad es., disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone : art. 659 c.p. ); o comunque quando le immissioni siano così gravi e ripetute da pregiudicare il ‘diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane’ “ ( M. Rossetti, Il danno alla salute, Terza edizione, Milano, 2021, pagg. 1100-1101 ). Infatti, affinchè un danno alla salute, sia fisica che psichica, sia in concreto configurabile “ è pur sempre necessario che sia accertata l’esistenza d’una disfunzione anatomo-patologica ( cioè d’una lesione in corpore ), oppure l’insorgenza d’una patologia psichica “ : non basta “ dimostrare la sussistenza delle immissioni e l’intollerabilità delle stesse, ma è necessario dimostrare che esse abbiano causato una effettiva compromissione dello stato di salute, vuoi in modo permanente, vuoi in modo temporaneo “ ( M. Rossetti, op. cit., pag. 1101 ).
A questi princìpi e criteri delineati dalla Suprema Corte la sentenza della Corte di Appello di Firenze qui commentata si è uniformata in modo lineare e consapevole, correggendo una erronea lettura della pronuncia di primo grado, che invece non distingueva tra il danno biologico provocato dalle immissioni di rumore intollerabili e il danno non patrimoniale provocato dalle stesse e risolventesi nella lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie quotidiane abitudini di vita.
Massimo Niro
( giurista, ex-magistrato )
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