Il Tribunale di Milano affronta la delicata questione della filiazione delle coppie omo-affettive e dei connessi diritti dei figli alla continuità dello status filiationis, considerata la persistente inerzia del legislatore a colmare il vuoto legislativo che impedisce una piena tutela al preminente interesse di quei minori nati da progetti familiari omo-genitoriali che richiedono un riconoscimento nell’ordinamento italiano di un atto formato all’estero, atteso il divieto previsto dall’art. 5, l. n. 40 del 2004;
Come sempre i giudici si trovano a dover colmare la lacuna legislativa nel caso di richiesta di riconoscimento dell’atto di nascita o di adozione formato all’estero nell’ordinamento interno, come nel caso di ricorso all’adozione in casi particolari.
La giurisprudenza consolidata sul punto, confermata poi dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ha trovato nell’adozione in casi particolari la soluzione alla tutela del preminente interesse del minore alla continuità dei rapporti genitoriali, senza con ciò riconoscere a tali coppie un vero e proprio diritto a diventare genitori.
Invero la soluzione adottata dalla giurisprudenza se da una parte non riconosce al genitore non biologico piena genitorialità, dall’altra, di fatto, ha creato, come rilevato anche dalla dottrina più attenta, una nuova categoria di figli “non riconoscibili”, in tal modo privandoli della possibilità di creare un vero e proprio legame di filiazione con il genitore intenzionale, nonostante questi abbia contribuito al progetto procreativo e alla conseguente assunzione di responsabilità nei confronti del nuovo nato, facendo conseguire un’ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai nati da coppie eterosessuali, come invece previsto per lo status di figli dalla Costituzione e dalle norme Cedu.
Sull’argomento sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la decisione n. 12193 del 2019 che ha negato la trascrizione nei registri dello stato civile del provvedimento di un giudice straniero con cui è stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante ricorso alla maternità surrogata e un soggetto che non abbia con lo stesso alcun rapporto biologico, il c.d. genitore d’intenzione, trovando ostacolo nella previsione dell’art. 12, comma sesto, della l. n. 40 del 2004;
Nelle more tra il deposito e la pubblicazione della motivazione della sentenza delle SS.UU. è stato emesso il parere della CEDU, pubblicato il 10.4.2019, a seguito della sollecitazione della Cassazione francese, nel quale è stato affermato il diritto del bambino nato a seguito di maternità surrogata al rispetto della vita privata ai sensi dell’art. 8 della Convenzione, sicché gli ordinamenti nazionali dovranno prevedere la possibilità di riconoscere una relazione tra il genitore intenzionale e il figlio attraverso la trascrizione dell’atto estero e/o in alternativa attraverso l’adozione, “purché sia assicurata una procedura tempestiva ed efficace che conduca a esiti equivalenti del riconoscimento”, lasciando a ciascuno stato la scelta dei mezzi con cui pervenire a tale risultato, l’importante è che si realizzi, in caso di adozione, un legame di vera e propria filiazione tra adottante e adottato” come stabilito dalle recenti sentenze della Corte EDU (cfr. sentenza 16 luglio 2020, D. contro Francia).
Ne consegue che il ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari, proprio per le sue peculiarità quali la possibilità di revoca, il necessario assenso del genitore biologico, la sua funzione residuale rispetto all’adozione legittimante, ma soprattutto il fatto che non conferisce all’adottato lo status di figlio legittimo, non può ritenersi corrispondente alle indicazioni offerte dalla Corte EDU ma anche ai principi sanciti dalla Costituzione italiana che appaiono ad essa corrispondenti.
Atteso il contrasto tra il parere della CEDU e la pronuncia delle Sezioni Unite, la Cassazione con l’ordinanza n. 8325 del 2020 ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 , comma 6, l. n. 40 del 2004, 64 comma 1 l. n. 218 del 1995, nonché l’art. 18 del d.p.r. n. 396 del 2000.
La Corte Costituzionale con le sentenze n. 32 e 33 del 202, nel dichiarare inammissibili le questioni di costituzionalità sollevate dalla Corte di Cassazione, ha ritenuto che l’adozione ex art. 44, lett. d), l. 184 del 1983, non può considerarsi strumento di tutela del minore idoneo e rapido, ed in quanto tale incompatibile con i principi costituzionali ( art. 2 e 30 Cost.) e con l’art. 8 CEDU.
Alla luce di tali considerazioni quello che viene in rilievo è l’illegittimità dell’ingiustificabile compressione dei diritti dei figli, che sconterebbero il prezzo, senza volerlo, dell’illiceità delle scelte procreative della famiglia in cui nascono, togliendo certezza nella costruzione dell’identità personale del nato.
Secondo la Corte Costituzionale la mancanza di tutela e il vuoto legislativo non possono essere colmati dalla soluzione offerta dall’adozione in casi particolari, ex art. 44, lett. d) l. 84 del 1983, che avrebbe e da subito manifestato tutta la sua debolezza nell’apprestare la giusta tutela al preminente interesse dei figli, anche in considerazione della ratio della norma nell’epoca in cui è stata approvata (rappresentando una sorta di clausola residuale) e alle difficoltà di una sua interpretazione evolutiva, nonostante l’ampliamento dello spettro dei casi riconducibili nell’ambito di applicazione della norma, basti pensare alla previsioni contenute nell’istituto dell’adozione mite in merito alla crisi della coppia e alla negazione dell’assenso da parte del genitore biologico.
La Corte Costituzionale richiamando altre precedenti pronunce (cfr. Corte Cost. n. 347 del 1998; n. 162 del 2014; n. 272 del 2017; n. 127 del 2020) riferibili a casi diversi, ha sottolineato come in presenza di un progetto genitoriale condiviso, con il consenso prestato da entrambi, la coppia debba assumersi comunque la responsabilità dei nati, al di là del dato biologico, al fine di garantire in capo al nato: “una propria identità affettiva, relazionale, sociale, da cui deriva l’interesse a mantenere il legame genitoriale acquisito, anche eventualmente in contrasto con la verità biologica della procreazione”, senza però riconoscere un diritto alla genitorialità delle coppie dello stesso sesso.
La Corte con una pronuncia d’inammissibilità nell’invocare un urgente intervento del legislativo al fine di apprestare una disciplina organica in materia, alla quale precisa di non poter dare rimedio “ora”, prefigura possibili soluzioni per sanare le lacune, seppur in modo più blando rispetto alla pronuncia relativa al c.d. caso Cappato, attraverso l’indicazione di alcune scelte normative che il legislatore potrebbe compiere al fine di predisporre adeguata tutela ai nati da PMA da coppie dello stesso sesso, con specifico riferimento al genitore sociale, per il raggiungimento di un fine costituzionalmente necessario.
In linea con le indicazioni della Corte Costituzionale e nelle more di un improbabile intervento del Parlamento è intervenuta la Corte di Appello di Cagliari, la quale con decreto del 16.4.2021, ritenendo che le pronunce della Corte Costituzionale n. 32 e 33 del 2021 non abbiano in alcun modo inciso sulla legge n. 40 del 2004 e, pertanto, non precludano la verifica della sua costituzionalità da parte del giudice ordinario e la possibilità per lo stesso di dare una interpretazione costituzionalmente orientata della norma stessa, ha confermato la necessità di iscrivere anche la madre intenzionale nell’atto di nascita attraverso una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 8, l. n. 40 del 2004, che prevede come siano riconosciuti come genitori i due membri della coppia che hanno espresso il consenso con atti concludenti, ritenendolo applicabile anche alle ipotesi di illiceità della PMA per difetto della diversità del sesso dei genitori, in assenza di un divieto costituzionale.
Dopo il Tribunale di Roma, che ha autorizzato il riconoscimento della minore nata in Italia a seguito di fecondazione eterologa effettuata in Spagna da una coppia di donne (decreto del1’8.4.2021) anche il Tribunale di Milano, attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 8 l. n. 40 del 2004, è giunto a consentire, in assenza dell’auspicato intervento del legislatore, la trascrizione dell’atto di nascita originario con l’indicazione di entrambi i genitori, al fine di consentire al figlio di esser mantenuto, istruito, educato e assistito da entrambe le persone che considera i suoi genitori, anche sotto il profilo parentale e successorio.
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