La Corte di Cassazione sancisce il diritto fondamentale dei bambini a mantenere una relazione familiare legalmente riconosciuta anche all"interno di famiglie composte da persone dello stesso sesso, avallando le fondate argomentazioni dei tribunali che hanno applicato una norma diretta ad assicurare riconoscimento ai legami genitoriali di fatto, nell"esclusivo interesse del minore, così conformandosi ai principi costituzionali e convenzionali.
La prima sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 12962 del 22 giugno 2016 ha confermato la pronuncia della Corte d"Appello di Roma, che a sua volta aveva confermato la pronuncia del Tribunale per i minorenni di Roma, che aveva dato luogo all"adozione in casi particolari art 44, comma 1, lettera d) l. 184 del 1983 di un minore in favore della convivente della madre biologica, precisando che ai fini di una corretta interpretazione dell"espressione "constata impossibilità dell"affidamento preadottivo" di cui all"art. 44 letta d) l. n. 184 del 1984, così come modificata dalla successiva l. n. 149 del 2001, deve intendersi anche come impossibilità "di diritto" e non solo "di fatto", coerentemente con il sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva attualmente vigenti.
La Suprema Corte con una pronuncia in linea con le norme costituzionali e convenzionali conferma l"orientamento indicato dalla giurisprudenza minorile di questi ultimi anni, affermando che in tutti i casi in cui sussiste in concreto l"interesse del minore a veder riconosciuti i legami affettivi sviluppati con altri soggetti che se ne prendono cura, pur in difetto dello stato di abbandono del minore, vi è la possibilità di procedere con l"adozione in casi particolari comma 1, art. 44 lettera d).
Il deposito della sentenza della Cassazione che riconosce la possibilità di ricorrere all"istituto dell"adozione in casi particolari disciplinato dall"art. 44 lettera d) l. 183 del 1984 anche alle coppie omosessuali arriva dopo neanche un mese dall"approvazione del testo della legge in parlamento, confermando l"orientamento peraltro univoco nella giurisprudenza di merito, formatosi prima, durante e dopo la discussione parlamentare sulla legge sulle unioni civili.
Nonostante il consolidarsi dell"orientamento favorevole da parte della giurisprudenza minorile il PG ha chiesto che la questione fosse rimessa alle Sezioni Unite, perché reputata di massima importanza.
Come noto l"art. 374 c.p.c. consente al primo Presidente di disporre che la Corte si pronunci a Sezioni unite soltanto se la questione di diritto sia stata decisa in senso difforme dalle Sezioni semplici e se si tratti di "questione di massima di particolare importanza".
Quanto alla questione dell"eventuale contrasto di giudicati si osserva che sarebbe stato irrituale rimettere la questione alle Sezioni Unite, sia perché ancora non si sono mai pronunziate le Sezioni semplici, sia perché l"orientamento giurisprudenziale delle corti di merito è stato uniforme sino ad oggi (si vedano, tra gli altri, Tribunale per i minorenni di Roma, sentenze del 30 luglio 2014 e del 23 dicembre 2015; Corte d"Appello di Torino, sentenza del 27 maggio 2016).
Il Collegio inoltre, ritenendo che la questione non dovesse esser rimessa alle Sezioni Unite, ha precisato che le sezioni semplici si sono già pronunciate su diverse questioni variamente collegate a temi socialmente e/o eticamente sensibili, quali "direttive al fine vita" ( n. 21740/2007), di adozione da parte della persona singola ( nn 6078/2006 e 3572/ 2011), di surrogazione di maternità ( n. 24001 /2014), e di limiti al riconoscimento giuridico delle unioni omoaffettive ( nn. 4184/2012 e 2004 /2015), tutte qualificabili come "di massima importanza".
La Corte di Cassazione nella parte motiva della sentenza argomenta in modo ampio e puntuale sulla figura del rappresentante del minore nei giudizi che lo riguardano, rispondendo alla doglianza sulla mancata nomina di un curatore speciale del minore, formulata dal PG sul presupposto dell"esistenza di un conflitto d"interessi tra la madre e la figlia, che assume essere in re ipsa nelle procedure di adozione.
Il Collegio spiega che la nomina di un curatore speciale del minore non è in re ipsa, essendo rimessa al Giudice la valutazione circa l"esistenza potenziale di una situazione di incompatibilità tra gli interessi del rappresentate e quelli del minore, anche attesa la sostanziale diversità tra i giudizi volti ad ottenere dichiarazioni di adottabilità, nei quali viene in luce l"inadempienza ai doveri connessi alla genitorialità, rispetto alla fattispecie de qua dove, invece, si vuole dare riconoscimento giuridico a relazioni affettive continuative e stabili.
La validità di tale conclusione si ricava dal quadro normativo di riferimento sia convenzionale sia interno sulla rappresentanza del minore ai giudizi che lo riguardano (si veda Convenzione di New York artt. 3 e 12 del 1989, resa esecutiva con l. n. 176 del 1991 e l"art. 4 e 9 della Convenzione di Strasburgo del 1996, resa esecutiva con l. n. 77 del 2003) e dall"impostazione binaria voluta dal legislatore interno: la nomina del curatore speciale a pena di nullità è predeterminata in alcune peculiari fattispecie nelle quali è ipotizzabile in astratto il conflitto di interessi (artt. 244, sesto comma, 247 secondo, terzo e quarto comma, 248 terzo e quinto, 249 terzo e quarto comma, 264, cod. civ), mentre tutte le altre ipotesi di potenziale conflitto di interessi sono disciplinate dall"art. 78 secondo comma c.p.c..
Sarà pertanto il giudice a dover valutare se vi sia una situazione di incompatibilità tra il minore e il suo rappresentante che renda necessaria la nomina di un curatore speciale del minore, coerentemente anche con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale (ord. Cost. n. 528 del 2000 e Cost. n. 1 del 2002, con la quale la nomina era stata prevista nei giudizi de potestate ex artt. 333 e 336 c.c.; Cost. n. 83 del 2011, nella quale viene sancito il potere di valutazione attribuito all"autorità giudiziaria di nomina di un curatore speciale, in virtù dell"art. 9 della Convenzione di Strasburgo).
In merito ai presupposti per l"applicazione dell"istituto dell"adozione in casi particolari il PG aderisce all"interpretazione restrittiva, secondo la quale "la constatata impossibilità di affido preadottivo" presuppone sempre la preesistenza di una situazione di abbandono, che rimanda alla ricerca di una coppia idonea all"affidamento preadottivo, al cui esito infruttuoso si apre la possibilità dell"adozione speciale, forte di quanto già affermato dalla Consulta (sentenza n. 383 del 1999).
Al riguardo si evidenzia che tale interpretazione restrittiva è stata poi oggetto di ripensamento da parte della giurisprudenza (cfr., Tribunale per i Minorenni di Milano, sentenza n. 626/2007; Corte d"Appello di Firenze, sentenza 1274/2012; cfr., anche, Corte Cost. n. 198/1986).
Il richiamo operato dal PG non è pertinente secondo la Corte, perché la sentenza della Consulta è riferibile ad altra fattispecie ossia alla domanda di adozione speciale rivolta da parenti entro il quarto grado che già si occupano e accudiscono il minore, così impedendo la dichiarazione di abbandono. E invero la Corte Costituzionale sul punto (n. 383 del 1999), contrariamente all"interpretazione fornita dal ricorrente, ha chiarito che nell"ipotesi disciplinata dall"art 44 lettera d) non è richiesta la preesistenza di una situazione di abbandono del minore, trattandosi di una sorte di clausola residuale volta a disciplinare le situazioni non rientranti nei parametri di cui all"art. 7, relativi alle condizioni necessarie per procedere all"adozione legittimante, rilevando come ciò sia pienamente conforme al principio ispiratore di tutta la disciplina in esame: l'effettiva realizzazione degli interessi del minore.
Evidenzia altresì la Corte che l"attenzione prestata dalla Corte Costituzionale nella decisione appena menzionata all"aspetto della continuità affettiva ed educativa della relazione tra l"adottante e l"adottato, come elemento caratterizzante la realizzazione dell"interesse del minore, anticipa i principi ispiratrici della riforma sulla filiazione ( l. n. 219 del 2012 e il d.lgs n. 154 del 2013) , ma anche la stessa giurisprudenza della Cedu sul principio del preminente interesse del minore.
Il Collegio ha tenuto a precisare che non vi è contrasto neppure tra i principi enunciati in questa pronuncia e le precedenti (Cass. civ. nn. 22292 del 2013 e 1792 del 2015), dove la stessa Corte sostenne che l'adozione in casi particolari ha come presupposto uno stato di abbandono del minore e l'impossibilità di un affidamento preadottivo, perché riferibili ad altra situazione, quale quella della richiesta di adozione ai sensi dell"art. 44, comma 1, lett. d) di una coppia riferita ad un minore che era già in affidamento preadottivo presso altra coppia, perché in corso il procedimento volto all"adozione legittimante.
E" indubbio che il sistema della Convenzione europea ha costituito uno straordinario strumento di indirizzo e propulsione per il riconoscimento dei diritti dei minori, perché consiglia o impone un "approche fondée sur les droits", i quali in quanto persone sono destinatari di tutti i diritti e le libertà in essa enunciati.
Negli ultimi anni, la giurisprudenza della Corte europea in materia di famiglia e di diritti dei minori è diventata sempre più feconda e articolata ed ha affrontato anche alcune questioni attinenti alla genitorialità omosessuale.
Nello specifico la tutela del rapporto affettivo consolidato avviene attraverso la previsione contenuta nell"art. 8 della Cedu, in particolare nei procedimenti adottivi, come ad esempio nel caso Moretti e Benedetti c. Italia (ricorso n. 16318/07, sentenza del 27 aprile 2010) ove la Corte ha ribadito che l"art. 8 trovava applicazione anche rispetto a legami familiari di fatto, in presenza di vincoli di natura affettiva. I ricorrenti si erano, infatti, visti rigettare la domanda di adozione di un neonato che, subito dopo la nascita, era stato collocato provvisoriamente presso di loro, perché la madre aveva rifiutato di riconoscerlo. La Corte europea osservava che l"art. 8 era applicabile anche nei confronti dei ricorrenti, benché essi non avessero responsabilità genitoriale sul bambino, perché tale disposizione si applicava anche ai legami familiari "di fatto" ed in presenza di vincoli di natura affettiva.
Il principio di non discriminazione di cui all"art 14 della Cedu, invece, emerge nella vicenda che ha originato la decisione della Grande Camera (del 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria - ric. n. 19010/07), in cui una coppia di donne omosessuali austriache aveva stipulato una convenzione per l"adozione del figlio di una in favore dell"altra.
La Corte in tale provvedimento, esaminati gli eventuali profili discriminatori fra le due ricorrenti e le coppie eterosessuali non unite in matrimonio, al cui interno invece il partner poteva adottare il figlio dell'altra, in base alla legislazione interna, ha ritenuto discriminatoria per violazione degli artt. 14 e 8 della Cedu la legge austriaca laddove non consente l"adozione anche alle coppie omosessuali (sentenza della Grande Camera del 19.2.2013 , X e altri c. Austria - ric. n. 190/07).
Ricapitolando nel concetto di vita familiare vi rientrano: tutti i tipi di filiazione (dalla legittima, alla naturale, alla adottiva) e i rapporti di fatto tra partner di diverso sesso, rilevando come indici la durata del rapporto, la coabitazione e la presenza di figli, come anche i soggetti che si sono sottopostosi ad un intervento di mutamento di sesso, il partner di sesso biologicamente uguale e il figlio di quest"ultima, concepito mediante inseminazione eterologa . Pertanto, anche la filiazione mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita è stata fatta rientrare nel concetto di «vita familiare».
Anche l"Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per la violazione dell"art. 8 della Cedu a risarcire i danni non patrimoniali subiti da tre coppie omosessuali a causa della violazione dell"art. 8 Cedu, a seguito della presentazione di due diversi ricorsi (caso Oliari e altri c. Italia. ricorsi nn. 18766/11 e 36030/11) per la violazione degli artt. 8, 12 e 14 della Cedu, a causa della totale mancanza di una disciplina che consentisse loro di contrarre matrimonio o, in alternativa, di dar vita ad altro tipo di unione civile giuridicamente valida ed efficace.
Nella fattispecie di cui sopra la Corte Edu dopo aver affermato"che le coppie omosessuali sono capaci come le coppie eterosessuali di costituire relazioni stabili e impegnative, e che sono in una situazione notevolmente simile a una coppia eterosessuale per quanto riguarda il loro bisogno di riconoscimento legale e di protezione della loro relazione", e dopo aver riconosciuto che le coppie dello stesso sesso sono protette dalla norma che assicura tutela alla "vita familiare", rileva che, nonostante la Corte Costituzionale italiana e la Corte di Cassazione avessero già rilevato più volte una lesione della Costituzione italiana (art. 2) e sollecitato un intervento del Parlamento "a dispetto di alcuni tentativi lungo tre decenni il legislatore italiano è stato incapace di approvare la relativa normativa.
L"Italia arriva quindi in ritardo a disciplinare le unioni civili e le convivenze con legge 20 maggio 2016, n. 76, entrata in vigore il 5 giugno 2016, ma non senza scendere a compromessi: l"approvazione ha comportato il sacrificio dell"art. 5 stralciato dalla legge prima della sua definitiva approvazione. Tale disposizione estendeva alle parti di una unione civile tra persone dello stesso – attraverso la modifica dell"art. 44, lett. b), della legge n. 184/83 – la possibilità di chiedere l"adozione del figlio biologico o adottivo dell"altra parte, così garantendo al minore la stabilità e la certezza giuridica del rapporto con il cd. genitore sociale.
In ogni caso la legge non si applica, ratione temporis ed in mancanza di una norma transitoria, alla fattispecie qui dedotta.