-  Tornesello Donato  -  12/02/2010

IL TRATTATO DI LISBONA E LA NUOVA COSTRUZIONE EUROPEA - Donato TORNESELLO

Il Trattato di Lisbona, dopo un lungo ed estenuante percorso di ratifica, è finalmente entrato in vigore lo scorso 1° dicembre 2009.
Firmato nella capitale portoghese il 13 dicembre 2007, il Trattato è stato concluso al fine di ridare nuovo slancio al processo di integrazione europea, superando la crisi istituzionale seguita al più grande allargamento della storia dell'Unione, passata, tra il 2003 ed il 2005, da 15 a 27 Stati membri.
La necessità di intervenire sulla struttura dell'Unione al fine di consentire l'ottimale funzionamento della "nuova" Europa, l'urgenza di modificare un processo decisionale sostanzialmente bloccato dai veti incrociati dei differenti Stati, unitamente alla necessità di porre il cittadino al centro (e non più ai margini) dell'Unione costituiscono le principali motivazioni che hanno portato ad una riforma storica.
Vieppiù: se si considera che parte della popolazione europea - in particolare quella francese e quella olandese - aveva rifiutato l'ultimo grande tentativo di riforma (la Costituzione europea del 2004), nonché il crescente numero di parlamentari e cittadini "euroscettici", si può agevolmente comprendere come la posta in gioco non fosse solo la modifica dei trattati esistenti ma probabilmente la stessa sopravvivenza dell'Unione.
Il Trattato di Lisbona modifica radicalmente le basi giuridiche su cui si fonda l'Unione Europea ossia il Trattato sull'Unione Europea (TUE, noto anche come Trattato di Maastricht) e il Trattato che istituisce la Comunità Europea (che diviene Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, TFUE): in via di prima approssimazione si può dire che se il primo delinea la struttura dell'Unione il secondo disciplina le regole per il suo funzionamento.
Un breve sguardo alla struttura istituzionale dell'Unione, così come delineata dal Trattato di Lisbona, permetterà di comprendere al meglio l'importanza delle modifiche apportate.

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Fino all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l'Unione Europea, nella sua più nota immagine figurata, così come delineata dal Trattato di Maastricht, poteva rappresentarsi come il frontone di un tempio classico, sostenuto da tre pilastri: quello della Comunità Europea (già erede della Comunità Economica Europea, della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio e della Comunità Europea per l'Energia Atomica, istituite tra il 1951 ed il 1957), quello della Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) ed infine quello della Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. Nel primo pilastro le decisioni venivano prese dalle istituzioni comunitarie seguendo le procedure previste nei trattati esistenti, nel secondo e nel terzo pilastro le decisioni venivano prese a livello intergovernativo (ossia, in linea di massima, all'unanimità dai Capi di Stato o di Governo).
Il Trattato di Lisbona sopprime sia la struttura a pilastri sia la Comunità Europea, sicché l'Unione «... si fonda sul presente trattato e sul trattato sul funzionamento dell'Unione europea (in appresso denominati «i trattati»). I due trattati hanno lo stesso valore giuridico. L'Unione sostituisce e succede alla Comunità europea» (come si legge all'art.1 del TUE).
Accanto a tale fondamentale modifica, altre non meno importanti vanno ad incidere sull'assetto non istituzionale dell'Unione: in questa sede è opportuno rammentare tanto l'esplicitazione dei valori dell'Unione contenuti nell'art. 2 del TUE quanto la procedura sanzionatoria prevista in caso di violazione da parte degli Stati membri (art. 7 TUE); norme che, unitamente al carattere cogente attribuito alla Carta dei Diritti Fondamentali (art. 6 TUE) e alle norme sulla cittadinanza (artt. 9 ss. TUE), sottolineano il ruolo centrale attribuito dal Trattato alla persona, non più mero elemento del sistema economico ma perno centrale della nuova Europa; in tale ottica può essere altresì interpretato il maggior ruolo attribuito ai Parlamenti nazionali nel funzionamento dell'Unione (cfr. art. 12 TUE).
Non meno rilevanti sono le modifiche relative all' esplicitazione degli obiettivi dell'Unione (di cui all'art. 3 TUE), di respiro ben più ampio rispetto ai precedenti trattati, che permettono di delineare le ragioni della costruzione europea; accanto ad esse, ulteriore elemento di novità rispetto ai precedenti trattati è costituito dalla possibilità per uno Stato di ritirarsi dall'Unione (art. 50 TUE).

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Le modifiche sul piano istituzionale sono per lo più tese a razionalizzare il funzionamento delle istituzioni nonché a migliorare il processo decisionale al fine di renderlo più snello e più democratico.
In particolare, il Trattato di Lisbona "istituzionalizza" il Consiglio Europeo composto dai Capi di Stato o di Governo degli Stati membri, dal suo Presidente e dal Presidente della Commissione; tale organo ha il compito di dare all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo nonché di definirne gli orientamenti e le priorità politiche generali. Il Trattato, oltre che la composizione, ne definisce la frequenza delle sedute (due per semestre) e le modalità decisionali (per consenso, salvo nei casi in cui i Trattati dispongano diversamente, ex art. 15, 4° comma TUE).
Il Consiglio Europeo elegge a maggioranza qualificata il proprio Presidente per un mandato di due anni e mezzo, rinnovabile una volta; tra i poteri del Presidente quello di presiedere i lavori del Consiglio e quello di assicurare, nella sua veste, «... la rappresentanza esterna dell'Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza» (art. 15 comma 5, TUE).

Il Trattato interviene inoltre sulla composizione e sulle competenze del Parlamento europeo, l'istituzione rappresentativa dei cittadini dell'Unione.
In particolare determina il numero massimo dei suoi membri (settecentocinquanta) e ne rafforza le prerogative: la sostanziale generalizzazione della "procedura di codecisione" (nella quale Parlamento e Consiglio sono posti su un piano di sostanziale parità) che diventa "procedura legislativa ordinaria" e l'abolizione nel bilancio della distinzione tra "spese obbligatorie" e "spese non obbligatorie" permettono di parificare i poteri del Parlamento a quelli del Consiglio (istituzione rappresentativa degli Stati), quantomeno con riferimento alla funzione legislativa e a quella di bilancio.

Il Consiglio (da non confondersi con il Consiglio Europeo) continua ad essere composto, nelle sue differenti formazioni, da un rappresentante per ciascun Stato membro a livello ministeriale, abilitato ad impegnare il governo del proprio Stato e ad esercitare il diritto di voto. La presidenza continuerà ad essere esercitata dai rappresentanti degli Stati membri nel Consiglio secondo un sistema di rotazione paritaria, ad eccezione della formazione "Affari Esteri", presieduto dalla nuova figura dell' "alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza", nominato dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata per un mandato di cinque anni.
Viceversa, l'iter decisionale di tale istituzione subisce radicali modifiche. Invero, ai sensi dell'art. 16 TUE il voto a maggioranza qualificata diviene la regola e si riducono quindi i casi in cui per l'approvazione di una proposta occorre l'unanimità. E soprattutto, a partire dal 1° novembre 2014, sarà modificato il sistema stesso di calcolo della maggioranza, dato che scomparirà il voto ponderato, per il quale il voto di ogni rappresentante statale aveva un peso differente in funzione della capacità demografica dello Stato di appartenenza. Ad ogni Stato (o meglio, ad ogni rappresentante ministeriale) spetterà un solo voto e la maggioranza qualificata si considererà raggiunta se la proposta sarà approvata dal "55% dei membri del Consiglio, con un minimo di quindici, rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65% della popolazione dell'Unione" (artt. 16 TUE); tuttavia, se la proposta non è presentata dalla Commissione o dall'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, la maggioranza necessaria all'approvazione si innalza al 72% dei membri del Consiglio, rappresentanti almeno il 65% della popolazione totale europea. Una minoranza di blocco è fissata a quattro Stati.

Anche la Commissione europea è investita dalle modifiche del Trattato: in particolare a partire dal 1° novembre 2014 essa non sarà più composta da un componente per ogni Stato bensì da un numero di membri, compreso il Presidente e l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri. I membri della Commissione saranno scelti tra i cittadini dell'Unione, in base ad un sistema di rotazione paritario tra gli Stati, seguendo il procedimento previsto dall'art. 17 TUE.

Infine, sempre sul piano istituzionale, ulteriori modifiche sono state apportate alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che comprende la Corte di Giustizia, il Tribunale (già Tribunale di prima istanza) e i Tribunali Specializzati, alla Banca Centrale Europea (anch'essa istituzionalizzata) e alla Corte dei Conti.

E' ovviamente ancora presto per capire se le modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona possano essere o meno idonee a garantire quella trasparenza e quella efficienza richieste alle istituzioni comunitarie da parte della politica statale e da parte dei cittadini e, ovviamente, solo la sua applicazione consentirà di verificare se gli obiettivi perseguiti possano essere raggiunti.
E' però indubbio che il Trattato, nella sua versione definitiva, abbia deluso alcuni europeisti che si aspettavano una svolta marcatamente più federale: la stessa assenza di alcuni elementi costitutivi (quali la bandiera, l'inno, la festa nazionale) sembrerebbe far pensare all'abbandono di quell'idea; eppure, prima di ritenere che il Trattato costituisca una sorta di minus rispetto al progetto di Costituzione europea del 2004, occorre considerare l'effettiva importanza delle modifiche introdotte – necessarie ancor prima che opportune – in un contesto a dir poco difficile, nel quale si è riusciti, tra istanze nazionalistiche, veti incrociati e giochi di parte, a dare nuovo slancio all'idea europea.
Con la consapevolezza che la costruzione europea in senso federale ha bisogno, più che di simboli, di un sistema di poteri e funzioni che possa sostanzialmente rendere reale le aspettative dei Padri Europei del dopoguerra.

(Donato Tornesello)




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