1. La massima giurisprudenziale. 2. La Convenzione di Vienna, il diritto inglese, il diritto francese ed il diritto tedesco. 3. Un caso pratico. 4. L’onere o il dovere di parlare. 5. Le regole di esperienza ed il silenzio “circostanziato”. 6. (segue): silenzio ed inizio dell’esecuzione contrattuale. 7. La prevalutazione normativa del silenzio. 8. Teorie alternative o criteri pratici di valutazione concorrente? Conseguenze applicative. 9. Mera tolleranza, tutela dell’affidamento e divieto di abuso del diritto.
1. La massima giurisprudenziale.
La Corte di Cassazione è di recente ritornata sul tema del ruolo del silenzio nella formazione del contratto, affermando il seguente principio di diritto: “In tema di formazione del contratto, l’accettazione non può essere desunta dal mero silenzio serbato su una proposta, pur quando questa faccia seguito a precedenti trattative intercourse tra le parti, delle quali mostri di aver tenuto conto, assumendo il silenzio valore negoziale soltanto se, in date circostanze, il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi tra le parti, impongano l’onere o il dovere di parlare, ovvero se, in un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità dei contraenti e alle loro relazioni di affari, il tacere di uno possa intendersi come adesione alla volontà dell’altro”. Ad un primo esame della massima, emerge una regola di generale irrilevanza del silenzio nel procedimento di formazione del contratto, con due eccezioni, quando, cioè, le concrete circostanze, secondo il comune modo di agire o la buona fede, avessero imposto alla parte rimasta silente l’onere o il dovere di parlare, e, seconda eccezione, quando le regole di esperienza in un dato contesto storico sociale, avuto riguardo alla qualità dei contraenti ed alle loro relazioni di affari, attribuiscano al silenzio di una parte il significato di adesione alla volontà dell’altra parte. In entrambe le eccezioni previste dalla massima, la stessa afferma che il silenzio possa assumere valore negoziale.
2. La Convenzione di Vienna, il diritto inglese, il diritto francese ed il diritto tedesco.
Che al silenzio di per sé non possa riconoscersi valore di accettazione della proposta contrattuale è un principio generalmente riconosciuto da tutti i sistemi giuridici nazionali ed internazionali. Particolarmente significativo in tal senso è l’articolo 18, comma 1, della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale, il quale dopo avere ammesso che l’accettazione può avvenire mediante dichiarazione espressa o altra condotta concludente dell’oblato, afferma che il silenzio o l’inattività del destinatario della proposta non possono di per sè equivalere ad accettazione: “A statement made by or other conduct of the offeree indicating assent to an offer is an acceptance. Silence or inactivity does not in itself amount to acceptance”. In maniera corrispondente dispongono l’articolo 2:204 (2) dei Principles on European Contract Law - PECL, e l’articolo 2.1.6 (1) dei Principi UNIDROIT sui contratti commerciali internazionali.
Particolarmente rigoroso sul punto è il diritto inglese, nell’ambito del quale il case law è costante nell’affermare che “the offeree’s silence is generally equivocal, not giving rise to an inference of intention to accept save in the most exceptional circumstances”. Le ragioni addotte a sostegno di tale orientamento particolarmente restrittivo sono ravvisate nell’esigenza di tutela della sfera individuale dalle invasioni altrui, ed in particolare nel fatto che sarebbe oltremodo indesiderabile porre a carico del destinatario di una proposta, il quale non intenda accettarla, la preoccupazione ed il costo di rigettarla espressamente. L’eccezione a tale regola è limitata alle più eccezionali circostanze, in particolare quando lo stesso destinatario della proposta l’avesse previamente sollecitata omettendo poi di rispondere alla proposta ricevuta. Si ammette anche, in via eccezionale, che una attività intrapresa dal proponente, nell’affidamento che la proposta fosse stata accettata, e di cui il destinatario della proposta fosse a conoscenza, potrebbe impedire a quest’ultimo di negare (estop) che lo stesso avesse accettato la proposta.
Nel diritto francese, il principio secondo cui “contrairement à l’adage ‘qui ne dit mot consent’, le silence ne vaut pas à lui seul acceptation”, deriva da una giurisprudenza costante formatasi a partire dalla fine del diciannovesimo secolo, in linea con il principio generale, anch’esso, consolidato, secondo cui “l’acceptation d’un contrat, si elle peut être tacite, ne peut resulted que d’actes démontrant avec évidence l’intention d’accepter le contat proposé ”. Il principio secondo cui il silenzio, di per sé solo, non equivale ad accettazione è stato di recente codificato, con la grande riforma del 2016, nel nuovo articolo 1120 code civil, recante peraltro quattro categorie di eccezioni al principio stesso. Ed infatti, secondo l’articolo citato, “le silence ne vaut pas acceptation, à moin qu’il n’en résultre autrement de la loi, des usages, des relations d’affaires ou de circonstances particulières”.
La prima categoria eccettuata fa riferimento ai casi in cui la legge dispone che silenzio mantenuto da una parte equivalga ad accettazione, ponendo una presumption irrefragable de volonté, come nel caso previsto dall’articolo L. 112-2, al. 5, du Code des assurances, che repute accettate dall’assicuratore tutte le proposte per lettera raccomandata di modifica o di proroga o ripristino di un contratto di assicurazione in mancanza di rifiuto di tali proposta da parte dell’assicuratore entro dieci giorni dalla ricezione della proposta.
La seconda categoria eccettuata fa riferimento ai casi in cui siano gli usi della professione di una o delle parti (o quelli generali del commercio) che impongono al professionista o al commerciante de protester s’il veut refuser une offre, com’è nel caso dei commissionari di borsa, così come si ritiene che tra commercianti, in base agli usi generali del commercio, il fatto di non rispondere alla ricezione di una lettera di conferma valga acquiscenza ai termini di quella.
La terza categoria eccettuata fa riferimento ai casi in cui le parti siano già in relazioni d’affari per il medesimo tipo di contratto: in questi casi si ritiene che se un cliente ordina delle merci al suo fornitore abituale il silenzio di quest’ultimo valga accettazione dell’ordine; ed a tale conclusione si giunge, a maggior ragione, se la proposta riguardi la rinnovazione di un contratto anteriore, salvo che la proposta di rinnovazione sia fatta ad un consumatore, mentre si ritiene che maggiore debba essere la precauzione quando la proposta abbia ad oggetto la modifica dei termini di un contratto o il mutamento del contraente, nelle quali ipotesi si afferma che l’existence d’un contrat en cours ne suffit pas à conférer au silence valeur d’acceptation.
La quarta categoria eccettuata fa riferimento all’esistenza di altre circostanze particolari, categoria residuale, che, per quanto potenzialmente amplissima ed assorbente le precedenti, tende, invece, ad essere interpretata come riferentesi alle ipotesi in cui la proposta sia stata fatta nell’interesse esclusivo del destinatario (come nel caso della remissione del debito, ma non nel caso della donazione, stante per quest’ultima quanto espressamente disposto (ed il formalismo previsto) dall’art. 933 code civil.
Anche nel diritto tedesco il silenzio (Schweigen), non può di per sé valere come dichiarazione di volontà. Nell’assenza di una espressa regola generale in tal senso nel BGB, tale principio viene affermato dalla dottrina tedesca che però prevede alcune eccezioni.
La prima eccezione è quella in cui le parti stesse abbiano precedentemente convenuto di riconoscere un valore dichiarativo ad un comportamento puramente passivo come il silenzio.
Un secondo gruppo di eccezioni riguarda le ipotesi in cui vi siano previsioni normative esplicite che ricollegano al silenzio il valore di una accettazione tacita, come nel caso previsto dal § 516 del BGB, che, con riguardo alla donazione, dopo aver previsto al primo comma il requisito dell’accordo delle parti, dispone al secondo comma che il donante può fissare al destinatario della proposta di donazione un termine adeguato, decorso il quale, in mancanza di rifiuto, la donazione si considera accettata (gilt die Schenkung als angenommen); ed anche nel caso della vendita a prova in cui, secondo il § 455 del BGB, se la cosa è stata consegnata al compratore ai fini della prova o dell’esame del campione, il silenzio del compratore entro il termine concordato o, in assenza di questo, entro il termine congruo fissato dal venditore al compratore, vale come approvazione (so gilt sein Schweigen als Billigung). A questo secondo gruppo di eccezioni appartiene anche la previsione del § 362 del codice di commercio tedesco (HGB: Handelsgesetzbuch), che attribuisce valore di accettazione al silenzio di un commerciante che si occupa professionalmente di affari altrui (in particolare tutti gli intermediari quali gli agenti immobiliari, i commissionari, i vettori, le banche) e che riceve un ordine da parte di un cliente abituale: il commerciante è tenuto, in questi casi, a rifiutare immediatamente l’ordine se non intende accettarlo.
Il terzo gruppo di eccezioni fa riferimento alle ipotesi in cui il silenzio può essere qualificato come dichiarazione di volontà alla luce delle circostanze e secondo il principio di buona fede (nach Maßgabe von Treu und Glauben).
Come è stato osservato, il ricorso al concetto di buona fede rende le soluzioni di diritto positivo tedesco più flessibili di quelle del diritto francese, che dopo la riforma del 2016, come si è visto, si caratterizza per l’esistenza di quattro categorie di eccezioni al principio dell’irrilevanza del silenzio (una disposizione legale contraria, l’esistenza di relazioni d’affari anteriori, gli usi, e le circostanze particolari) senza espressa menzione del principio di buona fede. Tale differenza sul punto tra il diritto francese ed il diritto tedesco, va, in effetti, ridimensionata. Se è vero che il mancato riferimento nell’articolo 1120 del code civil al principio di buona fede ha probabilmente impedito un più ampio utilizzo della categoria residuale delle circonstances particulières, è altrettanto vero che l’interpretazione ed applicazione che dottrina e giurisprudenza hanno fatto delle altre categorie, e soprattutto di quella dell’esistenza des relations d’affaires tra le parti sembra essersi ispirata proprio al principio generale de bonne foi che il nuovo articolo 1104 code civil riferisce non solo all’esecuzione dei contratti, ma anche alla loro negoziazione e formazione: les contrats doivent être négociés, formés et exécutés de bonne foi. Cette disposition est d’ordre public ”. E, d’altra parte, non si può nemmeno dire che il riferimento che, invece, la dottrina tedesca fa espressamente sul punto al principio di buona fede possa, con una maggiore flessibilità, portare anche ad un livello inferiore di certezza giuridica, in quanto nella dottrina tedesca l’utilizzo del criterio di buona fede non è mai isolato, non potendo prescindere dal previo necessario esame delle circostanze presenti nella fattispecie concreta.
3. Un caso pratico.
Ad un primo esame degli ordinamenti considerati non può sfuggire che, a parte il diritto inglese, particolarmente rigoroso nell’affermare la generale irrilevanza del silenzio, e la apparente nettezza della corrispondente regola presente negli strumenti internazionali esaminati, che però, con l’espressione ‘in itself ’, lasciano intravedere altri più articolati contesti di possibile rilevanza, nel diritto francese e nel diritto tedesco le ipotesi eccezionali di possibile rilevanza del silenzio nella formazione del rapporto contrattuale sono caratterizzate da una spiccata eterogeneità che non sempre la dottrina e la giurisprudenza di quegli ordinamenti ha saputo cogliere e valorizzare sul piano della concreta disciplina applicabile. Il punto è delicato, ed infatti, nell’ordinamento italiano, come si vedrà nei successivi paragrafi, esso ha suscitato ampio dibattito in dottrina, dando luogo al fronteggiarsi di diverse impostazioni teoriche volte a giustificare la eccezionale rilevanza del silenzio nella formazione del rapporto contrattuale.
Prima di esaminare, sia pur brevemente, tale dibattito, sembra opportuno testare le soluzioni offerte dagli ordinamenti fin qui esaminati in relazione ad un caso pratico tratto dalla letteratura giuridica inglese.
Charlotte gestisce una scuola di inglese per stranieri nei pressi di Londra. L’ultimo giovedì di ogni mese Charlotte porta i suoi studenti in gita a Londra. Charlotte si avvale da sei anni dei servizi di una compagnia locale di trasporto, Wonderful CityBus, senza peraltro avere mai sottoscritto un contratto scritto con detta compagnia, effettuando sempre le prenotazioni al telefono. Il 2 giugno 2023 Jane chiama telefonicamente la compagnia di trasporto per prenotare, come al solito, il bus per l’ultimo giovedì del mese, lasciando un messaggio nella segreteria telefonica, dal momento che nessun operatore aveva risposto.
Il giorno stesso la segretaria della compagnia di trasporto chiama Charlotte che però non risponde in quanto si trova in aula con i suoi studenti. La segretaria della compagnia di trasporto lascia così un messaggio nella segreteria di Charlotte del seguente tenore: “Mi dispiace Charlotte ma questo mese non riusciamo proprio ad inviarti un bus per l’ultimo giovedì. Possiamo però metterti a disposizione un bus il giorno successivo, cioè l’ultimo venerdì del mese. Facci sapere al più presto se ci sono dei problemi, se non sento nulla entro questa settimana, il nostro bus sarà da te l’ultimo venerdì del mese. Charlotte ha, però, bisogno di un bus per l’ultimo giovedì del mese, perchè il giorno successivo i suoi studenti saranno già partiti e tornati ai loro rispettivi paesi, quindi decide di avvalersi di un’altra compagnia di trasporto, dimenticandosi, peraltro, di avvisare di ciò la segreteria di Wonderfuf CityBus, che quindi invia un bus con autista a Charlotte l’ultimo venerdì di giugno, chiedendole il pagamento del relativo usuale costo di 360 sterline.
Il quesito giuridico che sorge è il seguente: Charlotte è tenuta a pagare il costo del servizio messole a disposizione da Wonderful CityBus? Per rispondere a tale quesito occorre verificare se si è formato un contratto tra Charlotte e detta compagnia di trasporto. La conclusione reggiunta in diritto inglese è che nessun contratto si è formato dal momento che il case law inglese, come si è visto, stabilisce che “acceptance of an offer cannot made by silence. Acceptance must be actively communicated to the offeror. In this case Charlotte did not accept the bus company’s offer. Therefore there is no contract ”, e quindi Charlotte non è tenuta a pagare a Wonderful CityBus il costo del servizio messole a disposizione.
Si provi ora a verificare quale sarebbe la soluzione al quesito secondo il diritto francese ed il diritto tedesco. Per il diritto francese occorre verificare se la fattispecie concreta presenti elementi che ne consentano la sussunzione in alcuna delle quattro categorie previste dall’articolo 1120 code civil, quali eccezioni al principio generale della irrilevanza giuridica del silenzio: una disposizione legale contraria, l’esistenza di relazioni d’affari anteriori, gli usi, e le circostanze particolari. Nell’assenza di una disposizione legale contraria, anche la categoria degli usi sembra non applicabile in quanto, da un lato, non possono rilevare gli usi della categoria dei vettori, dal momento che, nella fattispecie concreta, la compagnia di trasporti veniva ad assumere il ruolo di soggetto proponente e non di soggetto destinatario della proposta contrattuale, e, dall’altro lato, non potrebbero rilevare nemmeno gli usi generali del commercio, in quanto la compagnia di trasporti non aveva emesso alcuna lettera o dichiarazione di conferma rispetto alla quale il silenzio mantenuto da Charlotte potesse essere valutato come acquiescenza. Rispetto alla categoria della preesistenza di relazioni d’affari, nella fattispecie concreta il silenzio da valutare non è quello del fornitore abituale di servizi rispetto alla proposta di Charlotte, ma è proprio quello di Charlotte rispetto alla (contro)proposta del primo, ciò che come si è visto non consente di attribuire rilevanza alle preesistenti relazioni d’affari al fine di attribuire valore di accettazione al silenzio. Rispetto, infine, alla categoria dell’esistenza di circostanze particolari, non sembra che la stessa categoria possa rilevare, nella fattispecie concreta, al fine di ritenere concluso un contratto e/o venuto ad esistenza un rapporto contrattuale, in quanto la proposta della compagnia di trasporti non era certo nell’interesse esclusivo del suo destinatario e quindi il silenzio mantenuto rispetto alla stessa da Charlotte non poteva valere quale accettazione. Alla stessa conclusione di irrilevanza del silenzio si giunge anche se si esamina la fattispecie rispetto al diritto tedesco. Ed infatti, in mancanza di un previo accordo tra Charlotte e la compagnia di trasporto Wonderful CityBus che avesse attribuito al silenzio dell’una o dell’altra parte valore di accettazione ripetto alle proposte contrattuali ricevute, ed in mancanza, altresì, di applicabili previsioni normative esplicite che ricollegano al silenzio il valore di una accettazione tacita (stante, in particolare, l’inapplicabilità del § 362 del HGB, dal momento che il silenzio ricorrente nella fattispecie concreta non è quello dell’intermediario, vettore, ma quello del potenziale fruitore dei servizi del primo), non rimane che valutare la fattispecie concreta alla luce delle circostanze e secondo il principio di buona fede (nach Maßgabe von Treu und Glauben). Anche da questo punto di vista, non sembra che la mancata risposta di Charlotte alla controproposta di Wonderful CityBus avesse potuto suscitare in quest’ultima alcun effettivo ragionevole affidamento secondo buona fede sull’adesione della controparte rimasta silente. Anzi proprio la buona fede, stante l’oggettiva equivocità del silenzio mantenuto da Charlotte, avrebbe dovuto indurre la compagnia di trasporti ad una ulteriore verifca prima di iniziare l’organizzazione del servizio.
Sorge naturale a questo punto nel lettore la domanda su quale sarebbe la soluzione del caso secondo l’ordinamento italiano. La risposta nel senso della irrilevanza del silenzio sembra, ed è in effetti, intuitiva; ciò, tuttavia, non esime dall’analisi delle posizioni espresse sul punto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, anche perchè, come si è già anticipato, la questione ha suscitato, particolarmente in dottrina, ampio, vivace e stimolante dibattito.
4. L’onere o il dovere di parlare.
Secondo una impostazione, ripresa anche dalla prima parte della recente massima sopra riportata, il silenzio potrebbe rilevare nell’ambito del procedimento di formazione del contratto quando grava sulla parte rimasta in silenzio rispetto alla proposta ricevuta l’onere o il dovere di parlare. Tale onere o dovere di parlare potrebbe discendere, volta per volta, dalla legge, da un accordo preesistente, dalla consuetudine, dalle prassi precedentemente osservate dalle parti, o, infine, dalle regole di correttezza.
A tale impostazione si è efficacemente obiettato che “in realtà, il silenzio di per sé non esprime alcun consenso e non può quindi ipotizzarsi un onere o un dovere del soggetto di manifestare il proprio dissenso”. Ed infatti, aggiunge la stessa dottrina, “un silenzio espressivo di un intento negoziale non sarebbe in realtà da qualificare silenzio”. Secondo l’impostazione proposta da questa dottrina, l’intento negoziale potrebbe eventualmente desumersi, in relazione alle circostanze, dal complessivo comportamento tenuto dal soggetto rimasto in silenzio.
5. Le regole di esperienza ed il silenzio “circostanziato”.
Si parla così di ‘silenzio circostanziato’ in tutti quei casi in cui al silenzio possa attribuirsi il valore di manifestazione tacita di volontà, ed acquistare efficacia giuridica, quando peculiari circostanze e situazioni, oggettive e soggettive, siano tali da renderlo significativo, come sintomo rivelatore dell’intenzione delle parti. Secondo questa prospettiva, che riecheggia nella seconda parte della massima sopra riportata, il silenzio potrebbe avere rilievo giuridico quando vi siano regola di esperienza, alla stregua del clima storico sociale, che, date le circostanze, possano condurre ad apprezzare il silenzio quale fatto concludente, come nelle ipotesi, tratte dalla casistica giurisprudenziale, in cui una parte chiede o dichiara di modificare il contenuto della prestazione contrattuale, propria o della controparte, la quale prosegue il rapporto senza contestazioni.
In questi casi, allora, secondo tale impostazione, il costume, gli usi, le prassi invalse tra le parti, la buona fede oggettiva rileverebbero non quale fonte dell’onere o del dovere di parlare, ma quali elementi che determinano quelle regole di esperienza di tipo sostanzialmente interpretativo del possibile significato negoziale del complessivo comportamento dell’una e/o dell’altra parte.
6. (segue): silenzio ed inizio dell’esecuzione contrattuale.
La questione allora si sposta, e subisce una momentanea deviazione, verso l’analisi, anche in chiave comparata, dei rapporti tra silenzio, comportamento concludente e comportamento esecutivo del contratto.
È principio generalmente ammesso che l’accettazione può essere sia espressa, sia per comportamento concludente (acceptance by conduct, come si esprimono i giuristi di common law), vale a dire, come definito efficacemente dal secondo comma dell’articolo 1113 code civil, “un comportement non equivoque de son auteur”.
Un caso tipizzato di accettazione tacita è quello previsto dall’articolo 1327 cod. civ. italiano, secondo cui “qualora, su richiesta del proponente o per la natura dell’affare o secondo gli usi, la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto è concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione. L’accettante deve dare prontamente avviso all’altra parte dell’iniziata esecuzione e, in mancanza, è tenuto al risarcimento del danno”, cui corrisponde il § 151, primo periodo, del BGB (Annahme ohne Erklärung gegenüber dem Antragenden), secondo cui “il contratto si forma con l’accettazione della proposta, senza che l’accettazione debba essere dichiarata nei confronti del proponente, se secondo gli usi del traffico non è da attendersi una simile dichiarazione o se il proponente vi ha rinunciato”.
Anche il common law conosce la figura, ma la definisce con l’espressione unilateral contract, che fa riferimento non ad una fattispecie contrattuale che implica l’esecuzione di una prestazione di una sola parte (come nei sistemi di civil law), ma pur sempre ad una fattispecie connotata dalla reciprocità delle prestazioni (consideration), che, però, deriva da una proposta che racchiude la promessa del proponente di eseguire una determinata prestazione contrattuale al destinatario della proposta che esegua la sua.
La fattispecie è prevista anche dal Restatement (Second) of Contracts, che, al § 50 (2), stabilisce che “acceptance by performance requires that at least part of what the offer requests be performed or tendered and includes acceptance by a performance which operates as a return promise”.
7. La prevalutazione normativa del silenzio.
Come si è potuto osservare, dall’analisi di diritto comparato condotta nei paragrafi precedenti, in certi casi è la stessa legge che attribuisce un valore legale tipico di accettazione al silenzio mantenuto da una parte rispetto alla proposta ricevuta dall’altra parte. Tali situazioni hanno suscitato nell’ordinamento italiano un ampio e vivace dibattito in dottrina che qui appare opportuno, sia pur brevemente, richiamare.
In particolare, quale esempio di silenzio con valore legale tipico di accettazione, può essere indicata la fattispecie disegnata dall’articolo 1333 del codice civile italiano, secondo cui “la proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata. Il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi. In mancanza di rifiuto il contratto è concluso”.
Nella dottrina italiana vi è stato, come si è detto, un approfondito dibattito sulla reale natura giuridica della fattispecie disegnata dall’articolo da ultimo citato.
Secondo una prima impostazione, il mancato rifiuto da parte del destinatario di una proposta volta a concludere un contratto con obbligazioni a carico del solo proponente costituirebbe una manifestazione tacita di accettazione, “una manifestazione che, invece di estrinsecarsi in parole o segni, si esplica in un comportamento omissivo, al quale non può essere attribuito che un unico significato, quello che, in questa ipotesi, la legge, in altri casi, la corretta interpretazione del comportamento stesso, permettono di dedurre”; ne deriva che in tale mancato rifiuto “debbono essere ravvisati tutti i requisiti che vengono richiesti nelle dichiarazioni negoziali, e quindi la capacità del soggetto, la sua consapevolezza dell’efficacia del comportamento stesso, l’immunità da vizi, nei limiti in cui questi sono rilevanti a tutela dell’affidamento altrui: con la conseguenza che, mancando tali requisiti, il comportamento omissivo, al pari della dichiarazione, è impugnabile dal soggetto”.
Secondo altra impostazione, non sarebbe possibile ravvisare nel mancato rifiuto gli estremi di una manifestazione tacita di volontà, dovendosi, invece, spiegare la fattispecie nel senso che “nell’ipotesi, in vista della natura ed efficacia del contratto, la legge non richiede per la sua formazione un’accettazione seppure tacita, ma si accontenta di un comportamento materiale – l’omissione del rifiuto per un certo tempo – che funge alla sua stregua da atto conclusivo (del contratto)”.
Questa impostazione sembra, tuttavia, confluire nella prima, da cui sembrava avere preso le distanze, quando afferma che “beninteso tale comportamento assume in forza della qualificazione di legge valore negoziale, per cui rimane sottoposto alla relativa disciplina, a tutela dell’autonomia contrattuale delle parti (loro incapacità, vizi del consenso ecc. che si ripercuotono al solito sulla validità del contratto) e con esclusione beninteso delle norme che presuppongono una dichiarazione (accettazione)”.
Secondo altra, assai incisiva, impostazione, “la norma prevede un potere di rifiuto che non avrebbe senso alcuno se la proposta fosse davvero una comune proposta contrattuale (sia pure irrevocabile), perchè nessun effetto (da rifiutare) si sarebbe ancora prodotto. Non può infatti rifiutarsi se non una situazione sostantiva che ha già prodotto i propri effetti”, con la conseguenza che nella fattispecie in esame si sarebbe in realtà in presenza di “un negozio unilaterale recettizio, come tale pienamente efficace non appena giunto a conoscenza dell’oblato e per questo irrevocabile”, impostazione questa non dissimile da quella di chi afferma che il reale contenuto normativo dell’articolo 1333 cod. civ. è che “i rapporti che non comportano obbligazioni o pesi economici a carico del destinatario possono costituirsi per effetto della sola volontà dell’obbligato, salvo però il potere di rifiuto del beneficiario che vale a cancellare il rapporto dall’origine”.
Il merito di queste ultime impostazioni è sicuramente quello di avere colto la realtà della situazione avuta presente dalla norma in esame: l’esistenza, cioè, di una sola dichiarazione di volontà. Il loro limite, se si vuole, è quello di non avere colto chiaramente nella norma in esame un indice, assai importante, della relatività della definizione del contratto nel senso di accordo.
Come ha messo bene in luce un illustre civilista e comparatista, “il contratto visto come fonte di affidamento si può realizzare in modo indipendente dall’accettazione … il contratto visto come scambio si può realizzare puntualmente mediante la promessa “ti darò cento se avrai dato, se avrai fatto o se non avrai fatto” … l’ultima difesa della bilateralità si propone con il gioco dei nomi: si riconosce cioè la legittimità della proposta non accettata; ma questa proposta viene distinta dal contratto, viene chiamata promessa unilaterale, e viene confinata nell’area dei negozi non contrattuali. L’analisi comparatistica … non manca di rilevare che la responsabilità del promittente sarà riconosciuta, in ogni caso, come responsabilità contrattuale”.
8. Teorie alternative o criteri pratici di valutazione concorrente? Conseguenze applicative.
L’illustre dottrina da ultimo riportata sembra così schiudere una nuova prospettiva di comprensione delle possibili ipotesi di rilevanza del silenzio. Come si è già osservato, si tratta di ipotesi in realtà eterogenee, che anche la dottrina degli altri ordinamenti considerati ha fatto fatica a distinguere, e che ha dato spunto nella dottrina italiana ad una vivace contrapposizione di impostazioni teoriche.
In realtà l’approccio corretto sembra essere proprio quello di chi considera tali impostazioni teoriche non in modo alternativo ma quali criteri pratici di valutazione concorrente. Ed infatti, richiamando ancora l’illustre dottrina da ultimo citata, se è vero che il silenzio, di per sé, non è mai consenso, ciò non toglie che “legge e contratto possono … semplificare la fattispecie contrattuale, eliminando il requisito del consenso dell’una o dell’altra parte. Gli usi, estranei al sistema delle nostre fonti se non sono richiamati dalla legge, possono sancire regole analoghe, che si introducono nell’ordinamento attraverso la valvola dei richiami alla buona fede. … Fuori del caso in cui il consenso della parte non è necessario, e fuori del caso della tolleranza, il silenzio viene sempre in considerazione come circostanza complementare o costitutiva di un comportamento positivo concludente”. Ciò, sul piano applicativo, significa che quando la legge o il contratto semplificano il procedimento di formazione contrattuale, costituirebbe una artificiosa, e per questo da respingere, fictio iuris individuare nel silenzio una manifestazione tacita di volontà ed applicare quindi tutte quelle previsioni normative che presuppongono appunto una reale, sia pur tacita, manifestazione di volontà: in realtà il contratto in questi casi si forma sulla base di una sola dichiarazione di volontà, e gli eventuali requisiti di forma saranno soddisfatti se rispettati dall’unica dichiarazione negoziale necessaria, per legge o per contratto, alla formazione del rapporto contrattuale (e dall’eventuale precedente contratto normativo che avesse semplificato il procedimento di formazione dei contratti successivi). Quando siano gli usi per il tramite della buona fede a consentire una semplificazione del procedimento di formazione del rapporto contrattuale attribuendo rilevanza al silenzio mantenuto da una parte, non sembra, invece, possibile ritenere soddisfatti gli eventuali requisiti di forma se rispettati soltanto dalla dichiarazione di una parte nel silenzio dell’altra.
9. Mera tolleranza, tutela dell’affidamento e divieto di abuso del diritto.
Rimane da considerare più da vicino l’ipotesi della mera tolleranza di una parte rispetto a dichiarazioni e/o comportamenti dell’altra, costituenti di fatto inadempimento, totale o parziale, degli obblighi su di essa gravanti; e tale ipotesi va considerata sia rispetto al tema del rilievo del silenzio nel procedimento di formazione del contratto (in ipotesi modificativo delle prestazioni di un rapporto contrattuale in corso), o della semplice rinuncia del creditore alle prestazioni pregresse dovute e non eseguite dal debitore, sia rispetto al diverso, anche se correlato, tema dell’affidamento suscitato in una parte dall’inerzia della controparte e del divieto di abuso del diritto.
Dal primo punto di vista, la giurisprudenza italiana ha stabilito il principio che non è possibile far derivare dalla mera tolleranza una rinuncia tacita all’esercizio del diritto, o una remissione tacita del debito “non potendo presumersi una completa acquiescenza alla violazione di un obbligo contrattuale posta in essere dall’altro contraente, né un consenso alla modificazione [contrattuale] da un comportamento equivoco, come è normalmente quello di non avere preteso in passato l’osservanza dell’obbligo stesso, in quanto tale comportamento può essere ispirato da benevolenza piuttosto che essere determinato dalla volontà di modificazione del patto”, essendo, invece, a tal fine necessaria “una manifestazione di volontà del creditore, per quanto in forma tacita, desumibile anche da un comportamento incompatibile con il mantenimento di una determinata disciplina contrattuale che preveda quel determinato diritto”.
Sotto il secondo, distinto ma correlato, profilo, occorre richiamare come, in Germania, il principio di buona fede abbia costituito la base dell’elaborazione della dottrina della Verwirkung, consistente nella tutela dell’affidamento da un contraente suscitato nella controparte circa il mancato esercizio di un diritto spettante al primo, così come della dottrina del Rechtsmissbrauchsverbot (divieto dell’abuso di diritto), in termini più ampi di quelli risultanti dal § 226 del BGB, che sancisce il divieto degli atti emulativi.
In Italia, la teoria della Verwirkung, anche se richiamata dalla Cassazione, non è stata dalla stessa accolta, pur lasciando, come vedremo, delle tracce.
Ed infatti, secondo la Corte di Cassazione, 15 marzo 2004, n. 5240, la teoria della Verwinkung affermerebbe “il principio, basato appunto sulla buona fede, secondo cui, anche prima del decorso del termine prescrizionale, il mancato esercizio del diritto, protrattosi per un conveniente lasso di tempo, imputabile al suo titolare e che abbia fatto sorgere nella controparte un ragionevole ed apprezzabile affidamento sul definitivo non esercizio del diritto medesimo, porta a far considerare che un successivo atto di esercizio del diritto in questione rappresenti un caso di abuso del diritto, nella forma del ritardo sleale nell’esercizio del diritto, con conseguente rifiuto della tutela, per il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto”. Tale principio, secondo l’orientamento consolidato della Cassazione, non potrebbe, però, essere accolto nell’ordinamento italiano, in quanto, come affermato da Cass. n. 23382/2013 e Cass. 28 gennaio 2020, n. 1888, “il solo ritardo nell’esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare del diritto stesso e per quanto tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di un’inequivoca rinuncia tacita”.
Le traccie lasciate nella giurisprudenza italiana dalla teoria della Verwirkung possono, peraltro, riscontrarsi nella stessa pronuncia della Cassazione, 14 giugno 2021, n. 16743, sopra citata, che, nel ribadire l’orientamento già riportato con riguardo al requisito dell’esistenza di ulteriori elementi, rispetto alla semplice inerzia del creditore, da cui desumere inequivocamente una rinuncia tacita dello stesso, evidenzia come la prospettiva da cui occorre porsi è quella della tutela dell’affidamento del debitore, affermando, in particolare, che “in un contratto di locazione di immobile ad uso abitativo, costituisce esercizio abusivo del diritto l’improvvisa richiesta di integrale pagamento dei canoni maturati, fino a quel momento mai avanzata, nonostante il rapporto si fosse protratto per un periodo molto lungo in relazione alla durata del contratto, qualora tale inerzia sia suffragata da elementi circostanziali oggettivamente idonei a ingenerare nel conduttore un affidamento nella remissione del diritto di credito per facta concludentia”.
Anche in questo caso, quindi, occorre distinguere la semplice inerzia, di per sé irrilevante, dall’inerzia circostanziata, vale a dire accompagnata da circostanze di fatto tali da integrare, oggettivamente, secondo criteri di comune esperienza in un dato contesto storico-sociale, gli estremi di una rinuncia totale o parziale per comportamento concludente; ma allora in questo caso l’inerzia circostanziata rileva, già di per sé, come rinuncia tacita, alla stregua cioè dei criteri oggettivi di interpretazione dei comportamenti negoziali, e non in via eccezionale per l’esigenza di tutelare, in maniera più accentuata, l’affidamento suscitato nella controparte.
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