Caterina Arcidiacono, Antonella Bozzaotra, Gabriella Ferrari Bravo,
Elvira Reale, Ester Ricciardelli
Il Protocollo Napoli – Linea guida per la consulenza psicologica in caso di violenza, ha rappresentato, nel 2019, il documento con cui un gruppo di psicologhe ha rivendicato e proposto un’assunzione di responsabilità in campo scientifico e tecnico contro la vittimizzazione secondaria di donne e bambini nei tribunali civili e per i minorenni. L’obiettivo principale è stato – e ancora resta - creare una cultura alternativa alla psicologia forense nel cui ambito molti professionisti si erano distinti per la negazione della violenza e del maltrattamento assistito, nell’ambito delle consulenze tecniche e delle attività legate all’ambito giudiziario. L’inchiesta della Commissione sul Femminicidio al Senato della XVIII legislatura, terminata nel 2022, ha poi mutato il quadro di riferimento e le pratiche, dando ispirazione concreta alla riforma Cartabia. Tale processo ha portato la pratica di Protocollo Napoli a fianco delle donne in una posizione non più marginale o solo settoriale, ma di primo piano per veicolare strumenti tecnici compatibili con la riforma, nella parte in cui si applica alla violenza domestica e di genere.
A partire da tali premesse, ci occuperemo qui di esplorare la riforma e di mettere in risalto le finalità convergenti tra la riforma Cartabia (D.lgs n. 149/22) e quanto contenuto nel Protocollo Napoli.
Prima di passare a un’analisi di dettaglio della riforma poniamo l’attenzione, in via preliminare, sull’istruttoria. Questa è rivendicata come strumento del procedimento civile, in modo autonomo e imprescindibile per accertare la presenza di violenza domestica e di genere secondo le proprie finalità, le quali privilegiano l’interesse del minore e la sua tutela anziché il presunto autore di reato - favor pueri di contro favor rei.
Ricordiamo, come le ricorda la sentenza di Cassazione (Cass. Pen, sez. III, sent. 5 maggio 2010, n. 29612), le diverse finalità del procedimento civile rispetto a quello penale: “Questa Corte ha più volte sottolineato che nel processo penale vige, in materia probatoria, la regola della prova, oltre il ragionevole dubbio, laddove nel processo civile opera la diversa regola della preponderanza dell'evidenza o del più probabile che non”. In definitiva, la mission del giudizio civile è diversa da quella del procedimento penale, e pertanto questo procedimento può, in funzione della tutela del minore, muoversi non per certezze ‘oltre ogni ragionevole dubbio’ ma anche per fumus (boni iuris). Dice a riguardo la Relazione Illustrativa del 19 ottobre 22: “Le norme in esame prevedono, pertanto, che in presenza di allegazioni di violenza o di abuso, il procedimento venga trattato secondo una disciplina processuale connotata da specialità con il fine di verificare, già dalle prime fasi processuali, la fondatezza o meno delle allegazioni, affinché l’adozione dei provvedimenti, anche provvisori, non avvenga con formule stereotipate, ma solo dopo aver accertato, anche solo a livello di fumus, se l’allegazione di violenza sia fondata o meno”.
Proseguendo in modo analitico incrociamo gli articoli della riforma che riguardano la violenza domestica con altri articoli presenti nella riforma, non riguardanti specificamente il campo della violenza. In questo modo daremo un quadro complessivo del campo d’intervento che si apre davanti a noi come consulenti, guardandolo dalla prospettiva di Protocollo Napoli che, lo ricordiamo, costituisce oggi l’unica procedura antesignana della riforma e che ne ha precorso le statuizioni.
Capo III, Disposizioni speciali, Sezione I, della violenza domestica e di genere
Art. 473 -bis .40 (Ambito di applicazione) - “Le disposizioni previste dalla presente sezione si applicano nei procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori”.
Proseguendo nella relazione illustrativa: “Inoltre, permetterà al giudice di attivare la “corsia preferenziale” riconosciuta per i procedimenti con allegazioni di violenza o di abuso, anche a prescindere dalla necessità di ricondurre le condotte allegate a specifiche ipotesi di reato, poiché il diverso ambito di accertamento proprio dei giudizi civili e minorili, rispetto a quelli penali, potrà far ritenere sussistenti ipotesi di violenza o di abuso rilevanti per la disciplina dell’affidamento dei minori o per l’accertamento dell’addebito della separazione, anche in presenza di cause di estinzione del reato (per esempio in presenza di prescrizioni) o in mancanza di condizioni di procedibilità (per esempio qualora si tratti di fatti perseguibili a querela di parte e i termini per la presentazione della querela siano spirati). È, infatti, di immediata evidenza come condotte violente, anche se non perseguibili penalmente, abbiano incidenza nei rapporti tra le parti, e debbano essere considerate per la valutazione delle domande di contenuto civilistico (addebito della separazione), ma soprattutto per la valutazione delle domande di affidamento dei minori, che presuppongono la valutazione della capacità genitoriale, in quanto un genitore violento con l’altro, non può essere considerato un buon genitore, avendo esposto i figli alla violenza assistita, e avendo veicolato un modello educativo distorto e che l’ordinamento ha il dovere di censurare”.
Al secondo comma dell’articolo 473-bis. 42 troviamo : “Il giudice e i suoi ausiliari tutelano la sfera personale, la dignità e la personalità della vittima e ne garantiscono la sicurezza, anche evitando, se opportuno, la contemporanea presenza delle parti”. Quanto alla necessità di evitare contatti diretti, si afferma nella relazione illustrativa: “Il giudice potrà ricorrere all’udienza da remoto, ovvero a scansioni orarie della comparizione delle parti che, ferma la presenza dei difensori per assicurare la pienezza del contraddittorio, potranno evitare contatti diretti tra presunta vittima e presunto autore della condotta”. Nell’articolo successivo si vieta la mediazione in ottemperanza all’ art. 48 della Convenzione di Istanbul.
Art. 473-bis .43 (Mediazione familiare) . “È fatto divieto di iniziare il percorso di mediazione familiare quando è stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche in primo grado, ovvero è pendente un procedimento penale in una fase successiva… nonché quando tali condotte sono allegate o comunque emergono in corso di causa. Il mediatore interrompe immediatamente il percorso di mediazione familiare intrapreso, se nel corso di esso emerge notizia di abusi o violenze.”
Al Comma 2): “ Quando nomina un consulente tecnico d’ufficio, scelto tra quelli dotati di competenza in materia di violenza domestica e di genere, ovvero dispone indagini a cura dei servizi sociali, il giudice indica nel provvedimento la presenza di allegazioni di abusi o violenze, gli accertamenti da compiere e gli accorgimenti necessari a tutelare la vittima e i minori, anche evitando la contemporanea presenza delle parti”.
Sull’ascolto del minore, sulla sua natura particolare e diversa dall’ascolto del consulente abbiamo pronunce della Cassazione, e molte ordinanze rimarcano il valore dell’ascolto da parte del giudice del minore, il quale può così veicolare le proprie opinioni: “Atteso che l'ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda, mentre la consulenza è indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali, in primo luogo, la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio” (Cass. 13274/19; Cass. 11687/2013, Cass.19327/2015; Cass. 12957/2018;). In particolare, nella Cass. 19202 del 2014 è stato affermato che l'audizione è “una caratteristica strutturale del procedimento, diretta ad accertare le circostanze rilevanti al fine di determinare quale sia l'interesse del minore ed a raccoglierne opinioni e bisogni in merito alla vicenda in cui è coinvolto”. Lo strumento dell’audizione del minore è poi disciplinato dalla legge, agli artt. 315 bis, 336 bis e 337 octies del codice civile e, a livello internazionale, dall’art. 12, Convenzione di New York e dall’art. 6 della Convenzione di Strasburgo.
La Relazione Illustrativa (pag. 75) a questo riguardo è ancora più specifica e, per quanto concerne le metodologie non riconosciute, fa riferimento espressamente alla sindrome di alienazione parentale (cfr. sul punto Cass., sent. n. 7041, del 20 marzo 2013; Cass., ord. N. 13217, del 17 maggio 2021, Cass., ord. N. 9691 del 24 marzo 2022).
A conclusione dell’excursus sui nuovi articoli di legge, rileviamo che l’istruttoria diviene il campo nel procedimento civile in cui è possibile d’ora in poi parlare della violenza domestica nell’ottica della competenza genitoriale, superando il punto di vista giudiziario strictu sensu della sua valutazione come reato, ovvero della garanzia per la presunta innocenza dell’autore fino al terzo grado di giudizio.
Cade così in un sol colpo la possibilità, per i consulenti, di negare valore alla violenza interpretandola e trasformandola nel civile in dinamica puramente conflittuale - anche quando è riconosciuta, menzionata e narrata; la violenza domestica diviene principale indicatore di (in)competenza genitoriale che subentra al criterio dell’accesso (in cui è buon genitore chi favorisce il rapporto del figlio con l’altro genitore, quali che siano le circostanze in cui la relazione si configura nell’attualità), criterio sostenuto finora da una visione distorta del diritto alla bigenitorialità come diritto inderogabile e inviolabile. Le ultime sentenze hanno cooperato con la riforma dando un preciso orientamento su questa questione molto dibattuta nell’affermare che il cd. diritto alla bigenitorialità è un diritto recessivo rispetto all’interesse superiore del minore ( Cass. 21341/19; Cass. 9691/22; Cass.21425/22 e anche CEDU Causa I.M. e altri c. Italia, 2022).
Nella nuova normativa, oggi il consulente può entrare nel procedimento in due possibili vesti diverse: come consulente del giudice nelle prime fasi di accertamento, nel colloquio con la donna, con il minore (Art. 473 -bis .44 ); e/o come consulente tecnico di ufficio (Art. 473 -bis. 25) per valutare specifiche questioni che il giudice, dopo la prima fase di accertamenti da cui dipendono i primi provvedimenti, ha bisogno di approfondire (ad esempio il sempre ignorato maltrattamento assistito, o anche le più rituali competenze genitoriali in un’ottica diversa dalla precedente dove le allegazioni di violenza, non più rimosse, sono riconosciute come elementi di base della valutazione) .
2. Convergenze tra Protocollo Napoli e la riforma Cartabia
Il primo elemento fondativo della riforma che rivela una convergenza con Protocollo Napoli è l’aver creato un percorso specifico e differenziale all’interno del codice civile per raccogliere le istanze delle donne vittime di violenza. La stessa cosa era stata fatta, nel 2019, da Protocollo Napoli quando aveva teorizzato e aperto uno spazio autonomo alla valutazione consulenziale in caso di violenza. La metodologia di Protocollo Napoli, validata da anni di esperienza anche sul campo, è oggi quella più favorevole a incrociare e accompagnare i nuovi portati della riforma, potendo offrire al nuovo punto di vista legislativo strumenti e tecniche psicologiche che interpretano correttamente la violenza domestica e di genere.
Si elencano di seguito i punti specifici di convergenza tra le indicazioni contenute nel documento Protocollo Napoli e gli articoli della riforma, così come essi emergono dalla loro lettura:
In particolare nell’ambito della consulenza, non è possibile il ricorso:
In allegato l'articolo integrale con di note
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