Letteratura  -  Redazione P&D  -  11/04/2011

IL PROCESSO E LA COLPA – Gabriele SCARAMUZZA

1. Il tema della colpa è al centro del Processo. Conosciamo bene l’inizio: un’ipotesi più che un dato di fatto: “Qualcuno deve aver calunniato Josef K., poiché un mattino, senza che avesse fatto nulla di male, egli fu arrestato”. Qualcosa resta da subito in sospeso: non si sa chi, né perché, abbia calunniato Josef K.; e la presunzione della sua innocenza verrà presto smentita dai fatti. Come oscura resterà la circostanza iniziale, l’arresto; e indecifrabile la colpa che l’ha motivato.
Josef K. viene solo dichiarato in arresto, ma viene lasciato a piede libero e continua il suo lavoro in banca, la sua vita apparentemente normale. Ciononostante la sua esistenza cambia radicalmente, muta l’atteggiamento della gente nei suoi confronti. C’è un sedicente Tribunale con cui deve fare i conti, e ogni tanto deve presentarsi a esso; si imbatte sempre in ambienti che di fatto ad esso riconducono; e in perso-naggi che si rivelano sue emanazioni. Il luogo in cui Josef K. viene convocato non ha nulla della maestosità dei palazzi di giustizia che conosciamo, è un sordido edificio che sta tra la periferia operaia e la città ebraica scomparsa e tuttavia viva nella memoria di Kafka.
Vediamo di ripercorrere per qualche tratto il romanzo, tenendo innanzi tutto presente Davanti alla legge. Questa parabola resta una sorta di estrema sintesi del romanzo, ma insieme esprime un motivo tra i più decisivi dell’intero mondo kafkiano: come osserva Steiner, può esser considerata “il nucleo del romanzo e della visione di Kafka”.


2. Si tratta di un racconto messo in bocca al sacerdote che Josef K. incontra verso la fine, allorché la sua situazione appare ormai senza sbocco. Richiamiamo in scorcio gli eventi immediatamente precedenti: la visita allo studio di Titorelli, l’episodio di Block (Leni sempre presente), la revoca del patrocinio da parte di Josef K. al proprio avvocato. Indi il suo ritorno in ufficio, il mattino presto, il malessere, e lì l’incontro con un ospite italiano da accompagnare in visita turistica, il ripasso dell’italiano (una certa aria di italianità di maniera affiora qua e là nel Processo, già nel nome di Titorelli, poi nelle figure “da tenori” dei giustizieri); infine la telefonata premonitrice di Leni: “ti stanno dando la caccia”.
Atmosfere sempre umide; la scena nel Duomo, e sempre pioggia, oscurità. Il cupo scenario in cui avviene l’incontro col sacerdote è un non identificato ma identificabile duomo: la cattedrale di San Vito su in alto nel castello (ma i connotati, taluni sostengono, sono più quelli dell’interno del Duomo di Milano che Kafka aveva visitato, e di cui conservava cartoline). Appuntamento mancato con l’italiano. Attesa, atmosfera carica di segni inquietanti: luci, gesti. Poi il richiamo del sacerdote - in realtà cappellano delle carceri, e dunque dipendente del Tribunale anche lui, come tutti; anche la signorina Bürstner sembra esservi implicata: comparirà di lì a poco, inopinatamente, mentre Josef K. viene condotto a morte.
Prete enigmatico, minaccioso in modo latente, cortese ma duro nei fatti. Rivendicazione di innocenza da parte di Josef K., ancora speranze pur tra dubbi e presentimenti, ricerca di aiuti, di possibilità (presume) non ancora sfruttate. Rimprovero del prete: errore la ricerca di aiuti altrui, in particolare dalle donne. Persistente fiducia da parte del protagonista nel religioso, sue vane speranze. Poi il sacerdote racconta Da-vanti alla legge.
È da tenere ben presente l’intento con cui la parabola è raccontata: si tratta di distogliere Josef K. da ogni possibile illusione sul conto del Tribunale. Gli si deve mostrare che non deve sperare di penetrare nella legge, che gli si renda giustizia dunque, che si riconoscano le sue ragioni. Davanti alla legge vuol mostrare l’insensatezza delle illusioni che reggono il comportamento di Josef K.: la sua insistenza nell’indagare, per venire a sapere quale colpa abbia commesso e potersi poi difendere con cognizione di causa.
La legge è dunque il tema della parabola: il termine compare anche nel titolo; ma di quale legge si tratta? Quella in base alla quale Josef K. viene arrestato e condannato, innanzitutto. Qualunque essa sia, e quantunque non la si conosca. Gli viene incontro un guardiano: emanazione della legge, ma insieme simbolo degli ostacoli che si frappongono alla penetrazione nella legge. Via d’accesso, ma bloccata; primo di una serie di guardiani sempre più potenti e sempre più invalicabili. Prima comparsa di intralci moltiplicantisi all’infinito, come quelli che impediscono al messaggero dell’Imperatore di giungere fino al lontano suddito, che pur lo aspetta. Con lui si scontra un uomo di campagna, un uomo comune: Josef K., noi forse, che non sappiamo e ci illudiamo.
Non inseguiamo lo snodarsi della parabola nei particolari; ne fermiamo solo qualche spunto. E innanzitutto: la porta della Legge non è chiusa; ma di fatto l’accesso viene sempre sbarrato. L’uomo di campagna è stupito: in uno stato di diritto la legge dovrebbe essere nota e accessibile a tutti. Si intimorisce, è dissuaso, e si scoraggia. Ciò cui aspira è irrinunciabile, ma ogni risposta resta un miraggio. Il suo insaziabile domandare esprime un impenitente illuminismo: voler sapere, vederci chiaro, non accettare. Un ultimo sforzo, un ultimo guizzo di vita si condensa in un’ultima domanda, decisiva; neppure la prospettiva della morte lo ferma. La risposta del guardiano è spiazzante: la porta era “aperta solo per lui”, era disponibile solo a lui l’accesso alla legge. Ma questo viene detto all’uomo di campagna solo in punto di morte, quando ogni desiderio tace, ogni voglia di cercare è spenta, la possibilità di approfittare della chance che gli si offre è del tutto inesistente. Solo allora la speranza è confortata: quando non c’è più modo di coglierla.




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film