Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  16/01/2023

Il principio platonico-aristotelico di “non contraddizione” come fondamento dell’ordinamento giuridico: la struttura del reato secondo la condivisa concezione tripartita - Cecilia De Luca

L’elaborazione sul piano teorico della struttura del reato e la sua rappresentazione attraverso i singoli elementi costitutivi rappresentano un presupposto fondamentale dello studio delle norme di parte generale del diritto penale ed inoltre forniscono le coordinate necessarie per l’analisi di singole forme di manifestazione delle species facti di reato. D’altronde il giudice penale per  addivenire alla sua res iudicata deve dar seguito all’operazione di sussunzione (nota ad ogni giurista)  del fatto concreto, oggetto del giudizio, nella fattispecie penale astratta, imputata al reo. Terminata la raccolta del materiale istruttorio e l’attività di accertamento, è necessario, ai fini della decisione, verificare se il fatto storico-materiale posto in essere corrisponda effettivamente alla fattispecie raffigurata dal legislatore, in ossequio ai principi di legalità, tassatività, precisione, chiarezza e determinatezza. Dunque quanto appena introdotto impone di destrutturare la norma incriminatrice nei singoli elementi costitutivi affinché sia verificata la loro sussistenza nella realtà empirica. Questo procedimento, che può risultare in un primo momento astratto e speculativo, è fondamentale per accertare il reato e si snoda attraverso un iter logico che comporta, in primis, l’accertamento di una condotta che abbia rilevanza penale; tuttavia, è possibile che la condotta del soggetto non dia la prova che l’imputato sia stato l’autore dell’illecito o persino che venga dimostrato che altro soggetto l’ha compiuta. Quando invece risulti accertato il dato oggettivo, riconducibile all’imputato, e la sua corrispondenza al dato normativo, il giudice penale deve proseguire in ordine agli accertamenti relativi al carattere illecito della condotta: la cosiddetta “antigiuridicità”, verificando che non risulti autorizzata da una norma giuridica o dalla persona offesa, consentita dall’ordinamento o imposta dalla legge; qualora il giudice dovesse riscontrare la presenza di una di suddette ipotesi, che integrano le c.d. scriminanti o cause di giustificazione, non potrebbe pronunciare una sentenza di condanna e sarebbe tenuto ad assolvere l’imputato “perché il fatto non costituisce reato”; nel mentre lo iudex deve verificare la rimproverabilità del reo, capace quindi di intendere e di volere, imputabile, il quale allora dovrà aver commesso il fatto previsto come reato con dolo – intenzionalmente – ovvero, nei casi previsti dalla legge, con colpa o preterintenzione; se dovesse mancare il requisito dell’imputabilità e cioè il reo non sarebbe in grado di comprendere il significato e di valutare le conseguenze del proprio agire ovvero di autodeterminarsi in modo consapevole nella commissione dell’illecito, il giudice lo assolverà con la seguente formula: “ Perché il fatto è stato commesso da persona non imputabile”. Vi è poi il caso in cui si ricorra alla formula “perché il fatto non costituisce reato” per difetto dell’elemento soggettivo (medesima per il fatto scriminato o non colpevole), oppure “perché l’imputato non è punibile”, ex art. 131 bis c.p., ed infine “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato”  nell’ipotesi di abolitio criminis o di depenalizzazione. Successivamente e alla luce di questo breve excursus sull’ operato procedurale del giudice, è necessario introdurre una delle teorie dottrinali elaborate e condivise sulla struttura del reato e nelle sue ripartizioni interne: la teoria tripartita, la quale riconosce le tre fondamentali componenti del reato nella tipicità, antigiuridicità e colpevolezza.  La tipicità, come meglio si illustrerà in seguito, attiene all’elemento oggettivo del reato ed in modo particolare agli elementi che costituiscono le condotta del reo. Tra questi vi è il nesso causale, il quale nei reati cc.dd. di evento consente di imputare oggettivamente l’evento lesivo alla condotta del reo. L’antigiuridicità attiene invece alla qualificazione giuridica del fatto tipico posto in essere dal reo e permette di stabilirne la rilevanza penale. Il carattere illecito del fatto, infatti, dipende dalla contrarietà all’ordinamento complessivamente inteso (concezione sistemica), dato che si esclude che la legge possa imporre o consentire il comportamento incriminato (per il principio di non contraddizione). Infine la colpevolezza è costituita dagli elementi soggettivi del reato, in modo che si possa muovere un rimprovero al reo per il suo comportamento penalmente rilevante. È una categoria complessa dato che vi afferiscono elementi soggettivi della responsabilità penale, primo fra tutti l’imputabilità del reo, la sua capacità di intendere e di volere. Dei cenni introduttivi ed esplicativi della “Teoria del reato  sono prodromici alla comprensione del diritto penale e della seguente trattazione: essa, la teoria, presenta diverse varianti a seconda dei diversi tipi di sistemi penali e da questi dipende la scelta tra le possibili soluzioni interpretative.

In allegato l'articolo integrale con note.


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