Che il frammento, dedicato alla mancanza di talento delle donne nelle lettere, sia medievale lo deduco da elementi stilistici e di contenuto: ignora due poetesse del calibro di Saffo (quindi è stato composto prima che si ricominciasse a leggere il greco) e Sulpicia (ovvero attribuisce forse ancora a Tibullo i suoi versi).
Non sa delle memorie perdute ma lodatissime di Agrippina. Ignora la battaglia di Christine de Pizan (1362 - 1431 circa) per diventare “femme de lettres” (diventò “homme de lettres” perché all’epoca lo scandalo di una donna scrittrice era giudicato eccessivo).
Non sa nulla della valanga di scrittrici di valore che attraversarono il nostro Rinascimento, il Seicento e il Settecento e che oggi vengono sempre più scoperte e rivalutate, dalla poetessa Gaspara Stampa alla commediografa Aphra Behn (che ebbe il coraggio di sfidare l’equazione tipica dell’epoca: donna che pubblica uguale puttana, donna che scrive per il teatro uguale puttana al quadrato).
E ripete stilemi misogini della Querelle des femmes che si sono esauriti da secoli.
Unico elemento distonico: l’autore cita con accenti positivi Jane Austen. Ma anche in questo caso potrebbe trattarsi di un’omonima, anche perché, da George Eliot, che ha scritto un capolavoro come Middlemarch, a Mary Shelley, inventrice di Frankenstein, ignora tutte le grandi scrittrici britanniche a lei contemporanee.
Non parliamo dei periodi successivi: D’Orrico evidente non può sapere che gli ultimi Nobel per la letteratura siano andati spesso a donne, da Nadine Gordimer (1991) a Elfriede Jelinek (2004), da Doris Lessing (2007) a Herta Müller (2009), da Toni Morrison (1993) a Wieslawa Szymborska (1996).
Il fatto che alcune sue fan (del D’Orrico) di sesso femminile gli diano ragione può non essere determinante: potrebbero risalire anche loro al Medioevo, nonostante l’uso dell’email (una cattiva traduzione del termine?).
O più semplicemente, come sospettiamo, avere, in quanto fan, lo stesso difetto del D’Orrico: scarsa memoria (o scarse letture?).
Poiché le righe sono contate e le scrittrici di talento un’infinità, concludo quest’inutile pagina (risposta di una colonna inutile ma apparsa ahimé su un giornale autorevole) con un paio di suggerimenti tra le ultime uscite “femminili”.
Non al D’Orrico che, se le mie ipotesi di datazione sono corrette, è ormai estinto.
Ma a chi ama la buona letteratura: leggete Rosamund di Rebecca West (Mattioli 1885) che fa parte di una bellissima trilogia.
Affrontate la dura Natsuo Kirino de L’isola dei naufraghi (Giano).
E due italiane che non saranno Stendhal ma sono molto meglio di Giorgio Faletti, adorato dal nostro D’Orrico: Licia Giaquinto con La ianara (Adelphi), e Michela Murgia con Accabadora (Einaudi).
E poi, tanto per capire come, in molti Paesi (in Italia, fra gli altri) alle donne non è stato solo vietato scrivere e pubblicare, ma perfino di leggere, date un’occhiata a Le cose che non ho detto dell’iraniana Azar Nafisi (Adelphi).
Il nostro medievale d’Orrico, sempre se la mia tesi è corretta, deve necessariamente ignorare che oggi le scrittrici sono in primo piano perfino nella lontana ed esotica Persia, che le lettrici sono da tempo in maggioranza e le donne editori aumentano a vista d’occhio.
Però non dirò che è il momento che anche nei grandi e autorevoli giornali i critici di sesso maschili cedano finalmente il posto alle colleghe dell’altro sesso.
Mi basterebbe che le incrostazioni medievali, e i loro intarsiatori, cedessero il passo ai giornalisti del XXI secolo.