Il padre può rientrare in possesso dell’immobile e versare all’ex moglie gli alimenti però ridotti del 60% perché il ragazzo, oggi di 27 anni, non si è reso indipendente
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Alla base della vicenda giudiziaria iniziata nel 2017 con l’avvio del ricorso in primo grado, c’è la revoca del mantenimento e della casa familiare poiché il figlio della coppia, affidato a suo tempo ad entrambi i genitori, con collocamento prevalente presso la madre, attualmente di 27 anni, non ha saputo rendersi indipendente, né ha portato avanti iniziative utili alla propria crescita personale.
Il caso, di Monfalcone, richiama alla mente la recente ordinanza della Cassazione (numero 1677/2022 dello scorso 24 maggio), con la quale è stato sancito il “principio di autoresponsabilità” dei figli maggiorenni imponendo di «non abusare del diritto di essere mantenuti dal genitore oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché l’obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione».
Tutto era iniziato da un giudizio di separazione consensuale tra i coniugi. La madre, con il figlio all’epoca minorenne, aveva quindi ottenuto un assegno mensile di contribuzione al mantenimento del ragazzino, nonché il 50% delle spese straordinarie e, quindi, anche l’assegnazione dell’abitazione.
Con il divorzio, radicato nel 2017, il padre aveva presentato ricorso chiedendo la revoca dell’assegno di mantenimento e dell’assegnazione della casa familiare.
Il figlio, allora ventiduenne, non aveva ancora raggiunto un’autonomia economica, non aveva concluso alcun percorso scolastico o di tipo professionale, né intrapreso tirocini.
Con ciò «per esclusiva colpa» del giovane, come sostenuto dall’avvocato Stefano Grassi che ha assistito l’uomo, proprio in virtù dell’assenza di una fattiva intraprendenza, anche quindi nella ricerca di un’occupazione.
Un ragazzo privo di deficit fisici, come invece prospettato dalla controparte senza però fornire adeguati certificati medici.
L’ex moglie, costituitasi a giudizio, aveva richiesto il rigetto delle domande dell’uomo, oltre al raddoppio dell’assegno di mantenimento per il figlio rispetto a quanto ottenuto in sede di separazione, compreso il 50% delle spese straordinarie, nonché l’assegno divorzile di pari importo per se stessa.
E il Tribunale di Gorizia aveva accolto tutte le richieste del padre, respingendo sia la domanda di assegno di mantenimento per il figlio, sia l’assegnazione della casa familiare, provvedimenti piuttosto necessari ai fini della protezione di figli minorenni.
Il Tribunale aveva inoltre disposto la riduzione di oltre il 60% dell’assegno divorzile richiesto dall’ex moglie.
Sentenza impugnata dalla donna davanti alla Corte di Appello di Trieste, che, a sua volta, aveva confermato il dispositivo di primo grado, escludendo l’obbligo da parte del padre, sempre assistito dall’avvocato Grassi, di contribuire al mantenimento del figlio.
Il ragazzo, come risulta dalla sentenza triestina, «non ha curato la propria preparazione professionale o tecnica in modo adeguato, né ricercato con impegno un’attività lavorativa». Inoltre, maggiorenne, «non economicamente autosufficiente per sua colpa, non necessita di alcuna forma speciale di protezione».
Da qui la revoca dell’assegnazione della casa familiare, prima concessa in sede di separazione, quando il figlio era minorenne.
La sentenza di Appello è passata in giudicato lo scorso 29 novembre. A fronte del mancato rilascio spontaneo della propria abitazione, l’uomo ha proceduto in via esecutiva, attraverso relativa notifica di sfratto inoltrata dall’avvocato Grassi.
Il legale ha osservato: «L’orientamento del Tribunale di Gorizia e della Corte di Trieste avvalora, ancora una volta, l’orientamento della giurisprudenza più recente che disapprova la condotta non autoresponsabile dei figli maggiorenni, cosiddetti Neet, rimarcando che l’assegnazione della casa familiare è un privilegio riconosciuto al genitore collocatario di figli minorenni che, come tali, necessitano di essere protetti, mentre per i figli maggiorenni, economicamente non autosufficienti, per loro responsabilità, non può sussistere alcun diritto della madre, e suo tramite dei figli, di continuare a restare nella casa coniugale.
D’altra parte - ha concluso l’avvocato - il Tribunale locale di Gorizia ha più volte dimostrato una certa circospezione nell’accertamento di validi presupposti per poter godere dell’assegnazione della casa familiare quando i figli siano ben oltre la maggiore età, accogliendo o respingendo le domande di assegnazione solo dopo un’accurata disamina del corredo probatorio, se fornito dal richiedente».