La decisione in commento ha affrontato la questione della sussunzione della condotta del figlio maggiorenne, a beneficio del quale il genitore convivente con il medesimo insisteva per la contribuzione al mantenimento, la cui fattività – esclusa per il mancato perseguimento di un titolo di studio accademico, nonché per la non proficuità nell'utilizzo della qualifica professionale di odontotencico per l'inserimento nel mondo del lavoro – doveva individuarsi – per lo meno quale circostanza esimente, di carattere impeditivo rispetto al contegno adoperante di cui sopra – proprio nella necessità di dover assistere proprio la madre con cui coabitava, affetta da patologia psichica che, peraltro, aveva influito, nel tempo, anche sul generale stato d'animo della ragazza, trentaquattrenne al momento del giudizio di legittimità.
La Suprema Corte, nel rifarsi preliminarmente ai dettami già postulati dalla celebre precedente pronuncia n. 17183 del 2020, sempre rimarcando la funzione educativa del mantenimento nell'interesse della prole maggiorenne, di talché circoscrivendone tale connotato la misura e la durata, ha nuovamente sottolineato come, in virtù del principio di autoresponsabilità, assuma valenza decisiva il comportamento del figlio, il quale deve allegare ogni elemento utile a far evincere la diligenza nell'affrancamento dagli obblighi economici assicuratigli dai genitori, per l'effetto attendendo proficuamente a corsi di studi ovvero di qualificazione professionale, così da poterli spendere al fine di conseguire un'occupazione che gli assicuri autosufficienza ed indipendenza.
Non costituisce, nel caso di specie, circostanza ostativa di “forza maggiore” nella predisposizione di un tale progetto da parte del figlio – nemmeno potendo configurare l'elemento della menomazione fisica o psichica (parafrasando l'espressione del citato arresto n. 17183 del 2020) – l'impegno atto a rivolgere assistenza al genitore convivente malato, non potendosi ragionare, in termini congruenti al dovere solidaristico in capo al coniuge, che si estrinseca nell'obbligo di assistenza morale di cui all'art. 143 c.c., - quest'ultimo, peraltro, rilevando nell'attribuzione di assegno divorzile di preminente funzione assistenziale a carico dell'altro per “apporti significativi” di cui abbia goduto in passato (così Cass. Civ. Sez. I, n. 5055 del 24.02.2021) - differentemente ponendosi i “doveri di solidarietà nei confronti del genitore convivente”, dovendo prevalere l'obbiettivo della prole – pur nell'eventuale necessità di contribuire ai bisogni della famiglia finché convive con essa (art. 315 bis comma 4 c.c.) - di rendersi autonoma, non già estrinsecandosi il mantenimento in una qualsivoglia misura riequilibratrice.
La Cassazione, da ultimo, si è soffermata sulla tematica della ripartizione dell'onus probandi riferito alla domanda di mantenimento avanzata a beneficio del maggiorenne, ribadendo – come peraltro ben argomentato dalla citata pronuncia n. 17183 del 2020 – che, anche alla luce del principio della vicinanza della prova, spetti al richiedente medesimo allegare le circostanze sintomatiche di zelo nella progettualità di vita lavorativa autonoma e stabile, mentre l'obbligato può ben contrastare la pretesa offrendo in comunicazione elementi impeditivi che, in relazione all'età del figlio, attestino come, pur avendo predisposto ogni mezzo per il completamento del percorso formativo, quest'ultimo non ne abbia saputo approfittare.
Allegati