Con la sentenza del 22 novembre 2019, n. 242 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 580 c.p., nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dalla Legge 22 dicembre 2017, n. 219, agevoli l'esecuzione, liberamente autodeterminata, del suicidio di una persona dipendente da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una malattia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche dalla stessa ritenute intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, quando tali condizioni siano state accertate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
Nonostante la Corte Costituzionale abbia rilevato, in più occasioni, la necessità che il Parlamento italiano legiferi in tale materia sussistendo l’esigenza palese che venga emessa una legge che regolamenti la materia, questo non è ancora avvenuto.
Infatti, nel vuoto normativo esistente, i Giudici hanno sentito il bisogno di affermare che il divieto di aiuto al suicidio finisce per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost.
Nel contempo è stato rilevato che non è possibile lasciare priva di disciplina la prestazione di aiuto a tali pazienti per evitare che gli stessi possano essere “oggetto di abusi senza alcun controllo ex ante sull’effettiva sussistenza, ad esempio, della loro capacità di autodeterminarsi, del carattere libero e informato della scelta da essi espressa e dell’irreversibilità della patologia da cui sono affetti»
In mancanza di una legge, quindi, il 19 Giugno la Corte dovrà, di nuovo, pronunciarsi per decidere un caso di suicidio assistito riguardante una persona di 44 anni affetta da sclerosi multipla.
Nella fattispecie la patologia aveva immobilizzato il paziente a letto, rendendolo incapace di muovere quasi completamente anche le braccia e se lo stesso non era ancora dipendente da trattamenti di sostegno vitale in senso tecnico, doveva essere aiutato da terzi per qualunque atto inerente la vita quotidiana.
Nella clinica svizzera dove si è recato accompagnato dai membri dell’associazione Luca Coscioni è stato in grado di somministrarsi il farmaco letale con le residue capacità rimaste al braccio destro ma, l’apparente “mancanza del requisito del trattamento al sostegno vitale” ha indotto il GIP a sollevare nuova questione di legittimità di fronte alla Corte Costituzionale.
Formalmente non è stata chiesta neanche la verifica in ambito medico che avrebbe dovuto informarlo adeguatamente, in ordine alle sue reali condizioni e alle possibili soluzioni alternative, con riguardo all’accesso alle cure palliative ed, eventualmente, alla sedazione profonda continua ed è mancato anche il parere del comitato etico.
Con riferimento specifico ai trattamenti di sostegno vitale, va comunque rilevato che tale requisito è stato interpretato, negli anni, in modo estensivo in quanto la complessità delle patologie trattate non consentono di individuare il “trattamento” in un unico o più apparecchi esterni al soggetto ma, piuttosto, nel complesso di attività, anche di natura infermieristica e di somministrazione dei medicinali che consentono la permanenza in vita del paziente.
Il caso è, quindi, nelle modalità di estrinsecazione diverso rispetto a quello di cui la Corte si è occupata nel 2019 ma pone ai giudici le stesse difficili tematiche.
Ancora una volta quindi il supremo ordine di garanzia del rispetto della costituzione sarà chiamato a pronunciarsi su una questione riguardante il fine vita a causa della ignavia del Parlamento italiano che preferisce differire la soluzione di questioni delicatissime costringendo chi deve affrontarle nel concreto a scelte complesse e dolorose.
Avv. Carmela Bruniani