Chi non ricorda l'apertura dell' ottavo capitolo dei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni con quel diretto quanto enigmatico interrogativo di don Abbondio: “Carneade! Chi era costui?” espressione divenuta nel tempo un modo erudito per riferirsi ad un illustre sconosciuto?
Parafrasando il Manzoni il perfetto sconosciuto odierno, nei procedimenti di famiglia, è il curatore speciale del minore. Schivato, ignorato, temuto da tutte le parti in causa.
I genitori sussultano quando viene loro comunicato che il Tribunale ha nominato al proprio figlio un avvocato personale, diverso da quello che hanno scelto per sè.
I magistrati invece ne ignorano ancora l'esistenza oppure ne tollerano la presenza, non l'ingerenza.
I servizi sociali, dal canto loro, lo vedono come un antagonista, un vero e proprio competitor, affatto gradito.
I curatori stessi, non godendo di un albo o un obbligo di preparazione, ricevono nomine sia se presenti nei misteriosi elenchi dei tribunali sia se non iscritti, senza sapere a volte cosa sono tenuti a fare.
Ma non sempre è così per fortuna.
Un paio di casi emblematici, che ultimamente mi sono accaduti, mi hanno convinta del grande significato di questa figura e del suo compito.
Il primo riguarda un minore figlio di una coppia sposata, la cui mamma è deceduta. I nonni materni, spaventati dal fatto che il nipotino, ancorché concepito in costanza di matrimonio, era frutto di un rapporto extraconiugale, essendo la mamma lesbica e il padre trans, chiedono sia la decadenza dalla responsabilità genitoriale del padre che il disconoscimento di paternità. Il gioco dei ruoli ha consentito una vera squadra di professionalità, tra giudici, curatori e servizio sociale, scevra da pregiudizi, alla ricerca del superiore interesse del minore le cui istanze sono state recepite e valorizzate di fronte ai vari tribunali in cui sono stati aperti i procedimenti.
Il secondo invece attiene un minore di coppia altamente conflittuale. Le perizie indicavano nello stesso un profilo tendente alla psicopatologia, proprio per il vissuto di odio verso il padre e per il patto di fedeltà verso la madre. Dopo aver sospeso la responsabilità genitoriale del padre, a causa delle denunce della mamma, é emerso come le fattispecie, se non proprio inventate, sono state ad arte ingigantite da questa. Non solo. Ma che l'alienazione parentale, ovvero lo schieramento del bambino durante il divorzio dalla parte della madre e il conseguente rigido rifiuto di avere una qualsiasi relazione con il padre, è divenuta una devastante ossessione di rabbia: un odio totale nei confronti del padre, frutto del lavaggio del cervello, forse anche involontario, della mamma.
Il Tribunale alza le mani, la prossima mossa dovrebbe essere porre il minore in casa famiglia o collocarlo presso il padre, per riequilibrare quanto da lui subito dal comportamento della mamma.
La soluzione, con un colpo di scena del magistrato in un'udienza che sembrava portare al peggio, è stata trovata nell'intervento del curatore, specificatamente delegato dal giudice per dirimere il contorto meccanismo che avrebbe continuato a nuocere, definitivamente, sul minore.
Anche in questo caso un gioco di squadra fuori dalle aule di tribunale, tra il curatore, gli avvocati dei genitori, il servizio sociale e lo psicologo ha riportato lentamente il ragazzo a frequentare il padre, fino a riuscire ad incontrare la compagna dello stesso e la nuova sorellina.
La sentenza che chiude questo doloroso capitolo riporta proprio un plauso per "il curatore, il cui intervento attivo si è rivelato prezioso".
Il curatore: chi è costui? Una preziosità.