Danni  -  Redazione P&D  -  27/10/2021

Il caso Santarelli - Daniela Infantino

Bei tempi quando si andava in giro per l’Italia! Durante i viaggi, aereo o auto, “facevamo il punto” sulla scaletta, sugli argomenti da trattare: non troppo tecnici, né freddi, ma coinvolgenti, brillanti. Poi arrivava il momento della relazione e Paolo Cendon riusciva a rendere l’argomento, anche quello più ostico, facile e comprensibile. Era illuminante.

  Fu proprio in un convegno di mille secoli fa, a Vicenza, che Paolo Cendon in tema di responsabilità civile, iniziò la sua relazione come fosse la sceneggiatura di un film.

  “Una donna sulla trentina soffre di disturbi all’apparato urologico: si risolve perciò ad affrontare un’operazione chirurgica. Ne uscirà malconcia, il medico ha compiuto qualche errore col bisturi; il risultato è che la vittima non può fare o ricevere nulla, in quelle zone del corpo, senza provare gran dolore. Rimediare con dei contro-interventi è impossibile.

  Il magistrato dà lettura della decisione – ricostruiamo così la scena – in un’aula affollata; vengono riconosciute le ragioni della paziente, le si attribuisce una somma a titolo di ‘danno biologico’. La sala si svuota, salvo che per un uomo ancor giovane, il quale resta seduto al suo posto. Lo guarda il giudice: “È finito il processo, lei chi è, scusi?”. L’uomo, corrucciato: “Il marito della signora cui lei ha appena reso giustizia”. Il giudice: “E allora?”. L’altro: “Si metta nei miei panni per un attimo. Ha appena riconosciuto come mia moglie non possa osare più nulla, là in basso, senza soffrire …”.

  Il magistrato fa i conti, rapidamente, possiamo immaginare i suoi pensieri: anche il marito è una vittima, sì, dell’episodio di malpractice. A due creature legate affettivamente la natura umana offre, beninteso, vaste rose effusive, di gesti e dolcezze - più combinazioni; c’è una strada fisiologica tuttavia, per la passione amorosa, immaginata sin dagli albori dell’umanità. Una via che ogni coppia può aver desiderio di percorrere, ogni tanto. Dovervi rinunciare rappresenta una deminutio, anche per il marito; un compenso legale in denaro, rispetto a quel “fare” perduto, ecco la conclusione, non potrà mancare”.

  I lettori più esperti più esperti della materia avranno certamente riconosciuto nella descrizione “sceneggiata” il caso Lucidi contro Santarelli (una ormai datata sentenza della Cassazione 11 novembre 1986, n. 6607). Per la prima volta la Cassazione risarciva, oltre alla vittima primaria (lei, ovvero la moglie vittima di un intervento medico sbagliato), anche la vittima secondaria (lui, ovvero il marito che lamentava di non poter avere più rapporti sessuali con la moglie a causa dell’errore medico).

 




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