La terza sezione civile della Cassazione è tornata a trattare con l'ordinanza in commento gli elementi costitutivi dell'azione revocatoria ordinaria, nonché la susseguente ripartizione dell'onere probatorio tra le parti, in una fattispecie nella quale l'atto di disposizione patrimoniale si collocava temporalmente in un momento successivo rispetto al sorgere del credito.
Al creditore che invoca il pregiudizio alla conservazione della garanzia sarà sufficiente, in primo luogo, l'allegazione dell'esistenza dell'obbligazione creditizia, peraltro ben potendo quest'ultima essere assoggettata a riconoscimento giudiziale – per la pendenza di procedimento in tal senso – nonché sottesa a termine o a condizione, non necessitando, perciò, il requisito dell'esigibilità. La finalità dell'actio pauliana è, invero, quella di scongiurare la frustrazione delle ragioni creditorie, ciò che determina, peraltro, come il debito al quale riferirsi non debba affatto ritenersi indefettibilmente scaduto (con riguardo al termine per l'adempimento), ciò che può scorgersi, ad esempio, nella tutela del creditore di prestazioni economiche derivanti dalla regolamentazione di cause matrimoniali (assegno di mantenimento ed assegno divorzile), in cui la corresponsione periodica implica come la scadenza di ciascuno dei ratei debba individuarsi nella decorrenza del termine mensile: l'eventuale atto di disposizione patrimoniale posto in essere può certamente rilevare quale pregiudizio al soddisfacimento delle corresponsioni future, dovendosi individuare il momento di insorgenza del credito, in tale ipotesi, con il riconoscimento giudiziale della pretesa, la cui conservazione della garanzia deve garantirsi per l'intera cogenza.
Il medesimo creditore, in secondo luogo, con riferimento all'eventus damni, assolverà l'onere probatorio attraverso l'allegazione non già della totale impossibilità satisfattiva del credito, essendo sufficiente come la riscossione dello stesso si renda anche solamente maggiormente difficoltosa. Potrà rilevare, in questi termini, l'alienazione, da parte del debitore convenuto in giudizio, di unità immobiliare, non essendo dirimente, in accezione di conservazione della garanzia, la ricezione del corrispettivo pecuniario incassato, dal momento che il denaro è più facilmente suscettibile di operazioni elusive o di occultamento, al contrario della consistenza patrimoniale fondiaria, la quale può agevolmente scorgersi attraverso il regime pubblicitario della trascrizione nei registri di conservatoria. Naturalmente spetterà al debitore dimostrare, per converso, nonostante l'avvenuto atto non incida nemmeno qualitativamente sul suo patrimonio, il cui residuo “sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore”.
Incentrando, da ultimo, l'analisi riguardo all'elemento soggettivo – ossia, nel caso di specie, la scientia damni, ovvero la mera consapevolezza del pregiudizio, da verificarsi, nell'ipotesi di onerosità dell'atto dispositivo, sia in capo al debitore alienante, sia in capo al terzo avente causa - la Suprema Corte evidenzia come ciò possa appurarsi anche mediante il ricorso a presunzioni, segnatamente assumendo pregnanza il rapporto di parentela tra i partecipanti all'atto, rilevando come la vendita dai figli in favore della madre presupponga – anche per la circostanza, nella fattispecie, di convivenza tra i medesimi – la contezza di quest'ultima della complessiva situazione del dante causa, senza che debba constatarsi una specifica compenetrazione, da parte del terzo, nelle scelte di vita ed economiche dell'alienante debitore.