Famiglia, relazioni affettive  -  Redazione P&D  -  26/06/2023

I danni endo-familiari - Daniela Infantino

La famiglia viene spesso considerata come un rifugio, dove si può trovare conforto, un ambito di recupero psicofisico, ma, sappiamo bene che può anche essere fonte di stress, di insoddisfazione, di problemi, di disagi, di sofferenze, fino a trasformarsi in un luogo in cui maturano patologie, devianze, alle volte anche crimini efferati.

  I mass media, i social e i giornali ne sono pieni pressoché quotidianamente.

  Il male, la violenza si consumano appunto entro le mura domestiche.

  Era necessario dunque, trovare spazi di operatività all’istituto della responsabilità civile all’interno o in aggiunta agli strumenti già previsti dal libro I° del Codice Civile.

In uno scritto “Lei, lui, il danno. La responsabilità civile tra coniugi”, Paolo Cendon si pone proprio questa domanda e, in secondo luogo, si chiede se sia plausibile e giustificata una prospettiva riparatoria tra componenti della cellula domestica, ed infine s’interroga se, e a quali condizioni, possa essere possibile in concreto una condanna risarcitoria.

  Tale compito spetta al giurista, che deve forzare, per così dire, il sistema, e far vibrare la voce della dottrina contro il rigore normativo, richiamando l’attenzione sulle maggiori problematiche.

  Dall’accostamento dunque tra responsabilità civile e famiglia, sono emersi due distinti gruppi di illeciti: (a) gli illeciti di tipo ‘’endo-familiare’’ ovvero torti compiuti da membri della famiglia verso altri membri della famiglia stessa: marito contro moglie – figli contro genitori, e (b) gli illeciti di tipo ‘’eso-familiare’’, ossia quei torti commessi da un componente terzo estraneo alla famiglia contro uno o più componenti della famiglia o contro l’insieme della cellula domestica. Si tratta dunque di intrecci prospettabili sotto più angoli visuali.

  Negli ultimi sessant’anni circa sono state tante le rivoluzioni che hanno caratterizzato il diritto di famiglia, ma forse nessuna è stata così rapida e veloce ed incisiva come quella che ha spalancato le porte alla responsabilità civile.

  Abbiamo assistito a un germogliare di tante pronunce che hanno fatto sì che si affermasse il risarcimento del danno, soprattutto in ambito “endo-familiare”, proprio partendo dal presupposto che i rimedi del primo libro avessero scarsa efficacia per riparare le conseguenze lesive nelle ipotesi di comportamento particolarmente grave e riprovevole di un congiunto.

  Nelle innumerevoli sentenze sia di merito sia della Suprema Corte, che si sono occupate e che si occupano tuttora di responsabilità e famiglia, vi è un fil rouge rappresentato dalla maggiore attenzione da parte dei giudici alle dinamiche affettive relazionali della persona. Quest’ultimo concetto viene ben delineato di recente nella sentenza n.7766/2016 della III Sezione Civile della Cassazione dove si legge: “Il giudice della responsabilità civile non può mai essere il giudice degli automatismi matematici, ovvero delle super categorie giuridiche, quando la dimensione del giuridico finisce per tradire apertamente la fenomenologia della sofferenza”.

  Quando infatti si tratta di stabilire quanto valga economicamente il danno patito dalla vittima, il giudice non deve andar dietro a categorie astratte, ma accertare in concreto come e cosa il danneggiato abbia perduto, e per quanto tempo.

  Le categorie sono strumento di lettura dei fenomeni e non viceversa. In tutti i casi ciò che conta è procedere al ristoro dei quei pregiudizi fondamentali per l’uomo, di indubbio rilievo costituzionale

 




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