I GIUDICI: “NON SIETE ADATTI”
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Nell'attesa senza fine di "coppie normali", cioè eterosessuali, piccoli con disabilità e adolescenti maltrattati restano a vita nelle case famiglia. L’associazione M’aMa. “Uno scandalo abbandonarli”. Ma per Bea, gravemente malata, due mamme lesbiche ce l'hanno fatta.
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Emarginati. Scartati dai tribunali. Lasciati in attese senza fine. Osteggiati da giudici e servizi sociali. Eppure sono gli unici e le uniche che si fanno avanti. Sono coppie gay e single. Dicono sì, mi prenderò cura di quel bambino maltrattato, disabile, abusato, malato, abbandonato in ospedale, rifiutato da tante, troppe famiglie. Invece nell’Italia delle contraddizioni, dove si invoca (giustamente) la riforma delle adozioni per aprirla alle persone Lgbtq+ e ai single, un istituto già presente e attivo, come l’affido familiare, discrimina pesantemente tutte le forme familiari non canoniche. Coppie di persone dello stesso sesso, ma anche donne e uomini single. La denuncia è dell’associazione “M’aMa dalla parte dei bambini”, che con il progetto “AFFIDIamoci” si occupa appunto, su indicazione dei tribunali di tutta Italia, di trovare una famiglia a quei ragazzi che nessuno vuole. Destinati, scarto dopo scarto, a restare, sine die, nelle case famiglia.
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Karin Falconi, ex bambina cresciuta in una famiglia affidataria, è una delle due (appassionate) fondatrici di “M’aMa” insieme a Emilia Russo. «Da anni ci occupiamo dei minori “difficilmente collocabili”, bambini e bambine con bisogni speciali che nessuno vuole. Riceviamo appelli dai tribunali italiani e li giriamo alla rete delle nostre famiglie che oggi sono quasi quarantamila. Famiglie che hanno già fatto corsi per l’affido, “promosse” come idonee, nuclei di singoli, coppie omosessuali ed eterosessuali. Ma il vero scandalo è la resistenza di molti tribunali ad affidare i minori a soggetti differenti da quella che è ritenuta, ancora, la normalità». Ossia il nucleo di madre e padre. L’associazione “M’aMa”, definita rete delle Mammematte, «perché ci occupiamo di casi limiti, piccoli disabili, sindromi genetiche, gruppi di fratelli, adolescenti terribili», ad ogni appello dei giudici, contatta le proprie famiglie in attesa. «Ciò che accade purtroppo è che i tribunali respingono le nostre disponibilità, nell’attesa, molto spesso vana, di una coppia “normale”». Il risultato è che i ragazzi restano nelle case famiglia. Gran parte dei 23mila minori oggi presenti negli istituti fa parte della categoria “bisogni speciali”.