Facevamo ogni tanto il “gioco delle mescolanze”, io e Sabina. Accostare gli ospiti reali del Centro a personaggi di fantasia, presi dai libri, da un film.
Per lei, che formava le coppie o i terzetti, stanza per stanza, il criterio base erano gli sbalzi d’umore, la fatica quotidiana nel campare: per me si trattava piuttosto delle indicazioni da mettere a punto, sul terreno statutario: esseri umani non abbastanza malandati da giustificare una pronuncia d’interdizione - vedremo fra un attimo cosa significhi - e non in grado di destreggiarsi, di cavarsela da soli, nelle pieghe della “giungla metropolitana”.
La piccola Egle G. allora, di Grado, espansiva, pronta al sorriso, al punto da far dimenticare trattarsi di una ragazza con s.d. down; accanto a lei in corridoio Norman Bates, coi suoi tic perenni, lo sguardo teso, la fida parrucca grigia in tasca. Don Chisciotte, si era appena tolto l’armatura, impolverata di farina, la lancia contro un angolo della biblioteca; eccolo confidarsi con due fratelli siamesi, oligofrenici, Marco e Luca L., di Treviso, mai d’accordo tra loro sul da farsi.
David in tinello, coi suoi eterni timori d’essere toccato, polpastrelli in fiamme, guardava Lisa, murata in se stessa, che si esprimeva solo in versi rimati; a due metri Trelkowski, vestito da donna, il braccio rotto, dopo il salto dal terzo piano. Sulla scala Quasimodo, uno sgorbio dalla schiena curva, innamorato, confidava le sue pene a Elsa F., forte dei suoi centosettanta chili, scatola di cioccolatini sempre in mano; nonché a Virginia, bambole di pezza nella tasca e il terrore per la fossa dei serpenti.