Il danno morale è forse quello rispetto a cui si constata, nelle discussioni correnti, il prodursi delle maggiori confusioni; ed è insieme quello dal quale il genus del danno esistenziale, per tanti versi, si distingue invece più nettamente.
Non soltanto sul terreno della disciplina (da un lato l’art. 2059 c.c., dall’altro le norme ordinarie sulla responsabilità), ma proprio per la specificità dei materiali - antropologici - destinati a venire in risalto nell’uno e nell’altro settore.
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In sintesi allora: il danno morale è essenzialmente un “sentire”, il danno esistenziale è piuttosto un “fare” (cioè un non poter più fare, un dover agire altrimenti).
L’uno attiene per sua natura al “dentro”, alla sfera dell’emotività; l’altro concerne il “fuori”, il tempo e lo spazio della vittima.
Nel primo è destinata a rientrare la considerazione del pianto versato, degli affanni; nell’altro l’attenzione per i rovesciamenti forzati dell’agenda, per ogni tratto epifaniaco messo in crisi.
Una sola nota comune – sul terreno formale - possono vantare le fenomenologie considerate: in ambedue i casi si tratta di “conseguenze” dell’evento iniziale. Per tutto il resto esse divergono profondamente.
Nel campionario della responsabilità potranno esservi, dunque, fatti illeciti che arrecano unicamente danni morali; altri soltanto danni esistenziali; altri ancora sia i primi che i secondi.
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In quest’ultima eventualità le differenze fra gli ambiti in questione spiccano con particolare evidenza. Un bambino che perda la madre – per ricordare uno dei casi più eloquenti - andrà incontro a due ordini di ripercussioni, ben distinte fra di loro: da un lato rivangherà il passato, rimpiangerà, si tormenterà, singhiozzerà, paventerà il futuro; dall’altro mangerà cibi meno buoni, sarà più solo a casa, balbetterà, si vestirà spesso disordinatamente, non saprà sempre di sapone, si ammalerà più spesso, non saprà con chi confidarsi, e così via.
Le possibilità di connessione fra i due territori sono palesi; ma ciò dipende dal fatto stesso che si sta parlando comunque di una persona umana - dello stesso individuo anzi - dove tutto è fatalmente destinato a toccarsi, a interloquire.
Non sarà una buona ragione, dunque, per cancellare le differenze strutturali fra i due universi, né – ben s’intende – per sovrapporre o unificare le due liste di voci risarcibili.
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