Un passaggio fra i più indicativi, anche ai fini del danno esistenziale, mi è parso fin dal principio quello della responsabilità per grave invalidazione - imputabile a un terzo, ad esempio a un chirurgo distratto, a un automobilista frettoloso - in danno a un componente del nucleo domestico.
La macro-lesione di un figlio, poniamo, del consorte, della madre, di un fratello, soprattutto nelle eventualità peggiori: coma profondo e irreversibile, alienazioni psichiche, disabilità estreme.
Rovesciata come una clessidra l’agenda quotidiana, allora, per i membri restanti; le mille nuove incombenze burocratiche, dentro e fuori casa: rinunce forzate alla normalità, ai progetti giovanili, alle opportunità del tempo libero.
Frequentare sistematicamente ospedali, ambulatori; code agli sportelli, di continuo sugli autobus, un giorno sì e un giorno no in farmacia; troncare relazioni, persino amori insostenibili ormai. Inseguire illusioni sapendo che sono tali e che si tradurranno, verosimilmente, nell’ennesima beffa.
Scoprirsi esasperati qua e là, vergognarsene magari; abbandonare questo o quell’hobby, accantonare studi, speranze di carriera, vacanze, impegni sociali.
Andare solo alle conferenze sulla riabilitazione, in sanità, dover vendere qualche gioiello; invecchiare anzitempo, sentirsi accerchiati, infilati dal destino entro qualcosa - come un personaggio di Beckett.