Cultura, società  -  Redazione P&D  -  30/10/2021

Credere per volere, sapere per potere - Gemma Brandi

A promuovere questa mia riflessione è stato il titolo dato a un evento cui ho preso parte: Volere è (e) potere, organizzato dalla Commissione Pari Opportunità interordinistica di Firenze, con occhio attento ai giovani e alle donne.

Ardisco a ritenere che, se davvero intendessimo essere di aiuto alle future generazioni nel coltivare una maggiore consapevolezza dei e una maggiore convinzione nei propri mezzi, sarebbe il caso di fare un passo indietro rispetto ai percorsi degli ultimi decenni, che hanno diffusamente alimentato una presunzione oziosa e senza fondamenta, una disillusione astenica, una prepotenza aggressiva, un ritiro depresso.

L’ho fatto inconsciamente, un passo indietro, andando alle parole di mio padre: “Se davvero desideri raggiungere un obiettivo, non devi volerlo troppo, perché l’affannosa ricerca potrebbe allontanarne la realizzazione…”. La filosofia paradossale di Domenico Brandi ha esercitato su di me una influenza inconsapevole quanto potente nel sospingermi a teorizzare ciò che l’evidenza malcela, a partire dal senso scontato e travisato di molte parole. Mio padre descriveva in qualche modo l’effetto miraggio. Cosa accade a un uomo assetato nel deserto? Di vedere laggiù uno specchio d’acqua, di rincorrerlo e di perdersi. Occorre governare il nostro desiderio, più che esserne governati. Ecco un piccolo suggerimento che rinvia a quella misura che la mamma trasmette ai piccoli, Madre Misura, oh rara avis!

Subito dopo ho pensato a Robert Pirsig e al suo modo speciale di pensare e mi sono detta che vale probabilmente la pena ripartire dallo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, con quella prodigiosa capacità del suo Autore di insegnare a noi tutti che la qualità è il perno della vita stessa, la qualità mista a una dose indispensabile di entusiasmo. Poi potremmo riprendere in mano Lila, il secondo e ultimo libro di Pirsig, e scoprire con lui come la forza dinamica necessiti di un bilanciamento statico. In tal modo archivieremmo su due piedi la smania di rottamazione che ha rischiato di rompere definitivamente i ponti tra passato e futuro, tra vecchie e nuove generazioni, tra il consolidato saper fare e apprendimenti in fieri, tra maestro e allievo, determinando una contrapposizione stolta e sfrenata che ha messo a repentaglio sapienze preziose, intese inestimabili, collaborazioni fertili.

Ho quindi utilizzato una frase presente in un antico tomo senese andato disperso, suggeritami da mia sorella, Maria Luisa Brandi: “Sapere, potere e amore volere”.

Con questo bagaglio attinto da altre teste, vale la pena ipotizzare strategie di rinforzo affidabili. 

Intanto direi che sia la psicologia di Sigmund Freud, inventore della psicoanalisi, che quella di Albert Bandura, padre dell’attuale cognitivismo, riconoscono l’esistenza di scogli nei quali si incaglia la speranza di raggiungere un obiettivo esistenziale, quando non di porsene uno proprio. Quello che in psicoanalisi fa riferimento al senso di colpa e ai suoi travestimenti autolesivi, definiti sintomi, da sottoporre a un paziente riconoscimento e a una decostruzione perseverante, il cognitivismo ha riguardato come impedimento da superare con tecniche mutuate dal behaviourismo, in modo da conseguire una Self-Efficacy che amplierebbe la capacità del soggetto non solo di confrontarsi con le sue paure consapevoli, ma anche di affrontare la vita con maggiore ardimento. Si tratta di teorie e dunque di metodi diversi per sfuggire a pastoie psicologiche. Confido per natura nel trattare i problemi alla radice e quindi mi ha sempre convinto di più l’orientamento psicoanalitico, anche perché tira in ballo un tema importante come la credenza: e chi mai potrebbe perseguire in maniera volitiva uno scopo, se non credendo in sé stesso?

Ecco un verbo da inserire tra le due parole del titolo: credere. La fede nei propri mezzi ha una radice antichissima ontogeneticamente, visto che è intorno ai quattro anni che il piccolo d’uomo costruisce le sue teorie, le sue credenze. Teorie bislacche, se confrontate con quel che i testi riportano e gli adulti conoscono, ma originali e indispensabili alla costruzione della fiducia che ci rende persone che pensano, creano, comunicano senza troppe remore. Bisognerebbe dare spazio alle teorie, specie alle teorie sessuali, dei bimbi di quella età, senza demolirle, irriderle, correggerle, distruggerle. Ogni buona cura passa per il restauro di dette teorie, ma siccome qui non si tratta di cura, ma di rinforzo, proviamo a tenere a mente tale occasione preventiva di supporto alla crescita umana. Mio padre credeva in me, quando mi esponeva le sue idee ardite sulla vita, credeva nella mia possibilità di raccogliere la calce con cui avrei cementato le mie teorie, non badando a metterle in discussione, piuttosto ascoltando incuriosito e divertito le mie teorie, qualora avessi osato esternarle.

In effetti accade poi che credere, in maniera laica e adulta, sia davvero il passo indispensabile per conseguire un risultato: credere nel maestro, crederci, credere di poterlo fare e dunque volere intraprendere un percorso. La credenza è alla base della dimensione volitiva dell’essere.

Il verbo fare ne introduce giocoforza un altro a favore delle nuove generazioni: sapere. Ho appena parlato di maestri, di buoni maestri, quelli che indicano la strada dell’impegno per arrivare a sapere, a saper fare. Tale ragionamento riporta in primo piano il concetto di qualità, perno del viaggio dal Minnesota alla Costa del Pacifico di Robert Pirsig e Chris, suo figlio dodicenne. Per raggiungere un obiettivo e dunque potere essere e fare quanto ci siamo proposti, serve un viaggio impegnativo che è percorso di apprendimento e di scoperta, ma serve anche entusiasmo, lo stesso chiamato in causa dall’ultima parte del motto senese: “amore volere”. Ci hanno insegnato che non si può volere amare e invece la passione, indispensabile al raggiungimento di qualsiasi obiettivo, va coltivata e alimentata. Occorre amare ciò che si fa più che fare ciò che si ama -battuta banale solo per chi non riflette. Anche nel matrimonio, serve la coltivazione quotidiana dell’amore, della passione, dell’attenzione, della cura dell’altro, anziché il ricorso a slanci sempre nuovi, pronti dietro l’angolo, anziché lo spreco del proprio contingente di entusiasmo in rivoli che assorbono e non moltiplicano le limitate energie di ciascuno, in rivoli che distraggono e rendono sempre meno raggiungibile l’obiettivo esistenziale, rilanciando deludenti e fuorvianti miraggi.

Mi sento di augurare a tutti la rinuncia alla superficialità, e dunque al vizio supremo, come Oscar Wilde imparò a sue spese, provando poi a insegnarlo al mondo. Ciascuno capirà in tal modo come conseguire il potere che conta e che tanto si distanzia dal senso comune infine dato al termine. 

Dobbiamo credere per volere e sapere per potere, puntando alla qualità, utilizzando entusiasmo/passione, imparando a bilanciare forze statiche e dinamiche e la oscillazione creativa tra elatio, estensione e allargamento esistenziale, e contractio, ripiegamento e riflessione, apprendendo a pensare e maturare convinzioni prima di agire. Acquisiremo in tal modo la capacità di respingere idee del potere che si arenano sulla certezza che una supremazia squalificata e squalificante arricchisca davvero la nostra vita. Diventeremo così persone davvero utili a noi stessi e ai più.




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