C.D.L.: “Professor Cendon, sono lieta e sorpresa della Sua telefonata. Ho saputo da molteplici voci che la sua salute ultimamente è stata un po' zoppicante. Non sapendo cosa Le fosse accaduto Le ho inviato un “messaggio di pronta guarigione”, nella speranza che prima o poi lo avrebbe letto e che tutto sarebbe tornato come prima”.
P.C.: “Cara dott.ssa De Luca, effettivamente un male improvviso ed inaspettato ha deciso “sorprendermi”, cogliendomi impreparato, colpendo una parte del mio cervello che per poco tempo ha conosciuto il prevalere delle tenebre sopra la luce”.
C.D.L: “Professore, non sapevo né mi sarei aspettata della gravità dell’accaduto. Ma la mia fede è stata ben riposta considerando che ora le Sue condizioni stanno migliorando. Purtroppo, a causa di ciò, Lei si è assentato da un evento che avrebbe dovuto condurre nella Sua città natale, Trieste, al quale ho preso parte.
A condurlo, in Suo luogo, vi erano tutti i suoi più importanti collaboratori e vuol sapere quale è stata la mia considerazione all’esito della giornata e del termine dello stesso?
Non vi è stato nessuno di essi che non abbia iniziato e finito il proprio intervento ricordando Lei, professore. Sottolineando che tutte le loro significative parole trovavano un senso soltanto se ricondotte all’“anima” di una “realtà” che Lei ha costruito pazientemente in tutti questi anni di lavoro e, direi, di vita.
Il senso di tutto quello era Lei, professore, anche se “fisicamente” Lei è stato assente.
È così: le idee, quelle belle, buone, coraggiose, pure, quelle restano, diventano fonte e motore di vita. Tutto il resto può anche venire meno, ma le idee nutrono la speranza dell’essere umano”.
P.C.: “Mi spiace non esservi stato perché sarebbe stato diverso. Mi interesserebbe sapere Lei, Dott.ssa De Luca, cosa fa nel Suo percorso. Ma a prescindere da ciò si ricordi, De Luca: oltre al dovere, ed allo studio, dunque, per il giurista, è necessaria la “vita”. Lei deve vivere, penetrare la realtà, con la Sua mano destra cogliere un fiore, ammirare qualche paesaggio, ascoltare della buona musica, visitare qualche museo, perché tutto questo dà senso, e sostanza, al nostro “tecnicismo”.
E si ricordi che alla fine, dopo le tenebre, c’è sempre la “luce”, come quella che ho modo di osservare nella sua “giovinezza”.
C.D.L.: “La ringrazio di tutto, professor Cendon, e spero di aver modo di conoscerLa presto, augurandoLe un veloce recupero, e mandandoLe un caloroso abbraccio”.