Le scienze c.d. “esatte”, al di là della qualificazione, sono davvero considerabili, ontologicamente, come tali?
Non sono anche esse espressione dell’esigenza umana di “approssimare”, “circoscrivere”, “racchiudere”, “definire”, “finire”?
Basti pensare allo 0, che tale non è, in realtà, poiché frutto della “volontà approssimativa” dell’uomo di porre fine a quel susseguirsi, all’“infinito”, di zeri che compongono il decimale 0,00000000000…
Se, allora, come intuì un illustre matematico, forse, lo zero e l’infinito tanto opposti non sono, ma, al contrario, graficamente, due linee che si accostano l’una all’altra, senza avere il coraggio di toccarsi, sapendo che non si possiederanno mai ma che, giorno dopo giorno, saranno sempre più vicine, il diritto non potrebbe essere, anche esso, accostato, comparativamente, a quelle scienze?
Anche ivi, tra le “infinite” soluzioni che in astratto si prospettano, alla fine, alla base vi è la medesima esigenza “approssimativa”, “semplificativa”, “riduttiva” per certi aspetti, dell’uomo di adottare quell’una sola che “meglio sta”, quasi come in un rapporto matematico, al caso concreto.