Biodiritto, bioetica  -  Redazione P&D  -  23/03/2023

Brevi riflessioni de jure condendo sulla penale rilevanza della maternità surrogata - Adelmo Manna

In base all’art. 12 della Legge 19 febbraio 2004 n. 40 recante: “Norme in mate- ria di procreazione medicalmente assistita”, la pratica del c.d. utero in affitto è nel nostro Paese penalmente rilevante senza alcun tipo di distinzione. Per di più, l’attuale Governo, mediante la proposta di legge n. 2599, di iniziativa dei deputati Carfagna ed altri, presentata alla Camera dei deputati il 22 luglio 2020, e la proposta di legge n. 306 di iniziativa dei deputati Meloni ed altri, presentata alla Camera dei deputati il 23 maggio 2018, intende anche sottoporre tale reato al principio di uni- versalità a livello di legge penale nello spazio, così da poter inquisire, secondo la leg- ge penale italiana, anche tali fatti, pur se commessi all’estero da cittadino italiano, ex art. 3, secondo comma, c.p.1.

Sotto quest’ultimo profilo ci sembra però che utilizzare il principio di universa- lità, quasi come se fosse un c.d. crimine internazionale, risulti una soluzione del tut- to sproporzionata, non solo perché sarebbe estremamente difficoltoso per la polizia giudiziaria andare ad individuare tali fatti criminosi anche all’estero, ma soprattutto perché il richiamo a tale principio assume il sapore di un diritto penale a forti tinte populistico-sicuritarie, che, come tale, appare principalmente funzionale a calmare i c.d. “bisogni emotivi di pena”2.

Stabilito ciò in linea generale, poniamoci ora il delicato problema del se sia op- portuno punire ogni forma di maternità surrogata, oppure operare, a livello penali- stico, una, a nostro giudizio, opportuna distinzione.

Se è pur vero che nella stragrande maggioranza dei casi, la pratica dell’utero in affitto è frutto di mercimonio, ove sono “sfruttate” spesso le classi meno abbienti di donne, sovente di colore, per cui la penale rilevanza risulta ampiamente giustificata, esiste, però, una, magari più ridotta, percentuale in cui emerge che la maternità surro- gata appare frutto del principio di solidarietà, menzionato anche nell’art. 2 Cost., che infatti richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà anche sociale3.

Intendiamo riferirci a quelle ipotesi in cui una donna non riesce a portare avanti la gravidanza e, quindi, chiede alla sorella o. comunque. ad una parente, op- pure ad una amica intima, di prestarle l’utero, per potere, quest’ultima, portare a termine la gravidanza al posto della madre biologica. Risulta evidente, da quanto so- pra, che tale accordo non ha nulla a che vedere con la commercializzazione, ma è frutto dell’affetto intra-familiare o intra-amicale.

In questi ultimi casi riteniamo che proprio il richiamo al principio di solidarie- tà dovrebbe rendere non penalmente rilevanti tali pratiche, a condizione, però, che la madre gestante resti pubblicamente anonima come tale, così che il figlio venga re- gistrato all’anagrafe dai due genitori biologici, senza, quindi, che la madre gestante possa, in futuro, accampare alcun diritto nei confronti del bambino che ha portato in grembo per conto altrui.

Discorso più complesso riguarda il caso di genitori omosessuali, che chiedono ad una terza persona addirittura di essere inseminata e di portare avanti una gesta- zione per conto della coppia omosessuale. In quest’ultimo caso, non si possono con- siderare genitori biologici entrambi i componenti della coppia omosessuale, ma sol- tanto chi ha prestato il seme per fecondare l’ovulo e la persona cui appartiene l’ovulo medesimo. Solo questi ultimi risultano i genitori biologici e, quindi, soltanto loro, a nostro avviso, hanno diritto di iscrivere il bambino come loro figlio all’anagrafe, per cui l’unica strada praticabile che resta all’altro componente della coppia omosessuale è quella di una futura adozione, subordinata, però, al consenso dell’altro genitore biologico.

In conclusione, come si può facilmente arguire, si tratta di una materia ove le rispettive “concezioni del mondo”4 rischiano di prevalere, a livello emotivo, su di un discorso giuridico di tipo razionale.

A questo proposito, però, non dimentichiamo che il principio di solidarietà è già stato applicato, ad esempio, verso la fine degli anni ’60 del secolo breve, con la Legge 26 giugno 1967 n. 458, sul trapianto di rene tra persone viventi, che costitui- sce una espressa eccezione all’art. 5 del codice civile, che invece vieta gli atti di di- sposizione del proprio corpo “quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica”5.

Orbene, non v’è dubbio che la donazione di un rene inter vivos comporti una diminuzione permanente dell’integrità fisica del donante, ma, almeno a nostro avvi- so, tale eccezione alla disposizione su richiamata del codice civile è stata posta in es- sere dal legislatore ispirandosi proprio al già richiamato principio di solidarietà.

In allegato l'articolo integrale con note.


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