Deboli, svantaggiati  -  Redazione P&D  -  21/10/2024

Bimbo di 4 anni tolto ai genitori, ma è un errore dei servizi sociali

IL CASO IN TOSCANA, LA CONDANNA E IL RISARCIMENTO

Tolto dalla famiglia per le accuse della sorella contro i genitori su violenze e botte ai danni dei figli, un bimbo di 4 anni era rimasto per 40 giorni in una comunità. Un trauma per tutti, ma con un epilogo che fa ancora più male. Quelle accuse non erano state verificate a dovere dai servizi sociali. Ora quella “sottrazione” non giustificata diventa una condanna a risarcire genitori e bimbo con una cifra che supera i 200mila euro per i danni morali e biologici subìti a livello psicologico da quelle che si sono trasformate strada facendo nelle vittime di una vicenda in cui la delicatezza del caso non ha ricevuto un’attenzione professionale che avrebbe meritato.

La storia inizia con la fuga da casa della figlia maggiore, all’epoca 17enne, siamo nel 2018. Viene ritrovata e portata in ospedale a Lucca. Racconta di maltrattamenti domestici di cui lei e il fratellino sarebbero le vittime. Scattano le procedure di rito con l’allerta di servizi sociali e carabinieri. Nel giro di una manciata di giorni il sindaco dispone il trasferimento del bimbo in una comunità protetta. Per i genitori è una tragedia di cui non si capacitano. È l’inizio di un calvario alimentato da una denuncia che poi si rivelerà priva di fondamento da parte della figlia affetta da disturbo bipolare (e che nel frattempo è tornata in famiglia, ndr) .

Dopo 40 giorni a porre fine all’allontanamento del piccolo è il provvedimento del presidente della Corte d’Appello di Firenze. Lui ritorna a casa in una famiglia devastata. Di qui la decisione di chiedere i danni al Comune. Il Tribunale (giudice Giampaolo Fabbrizzi) sottolinea che l’ente aveva avuto «un lasso di tempo non trascurabile di ben 6 giorni, durante i quali avrebbe potuto compiere una pluralità di accertamenti istruttori onde appurare la effettiva realtà della situazione del minore che, se diligentemente espletati, avrebbero ragionevolmente indotto a soprassedere al provvedimento di allontanamento». La famiglia non era stata oggetto di segnalazioni, né i servizi sociali conoscevano eventuali situazioni di disagio.

Altra stoccata del giudice: «Il servizio sociale, nell’assumere le determinazioni di competenza, si è basato sulle dichiarazioni (della sorella, ndr) e sul materiale audio e fotografico da quest’ultima consegnato. Negli screenshot presenti nel fascicolo trasmesso dai carabinieri, concernenti conversazioni di messaggistica istantanea della minore con il luogotenente, la ragazza si scaglia con gravissime accuse nei confronti dei genitori, aventi ad oggetto reiterati episodi di violenza, ma privi di circostanze individualizzanti lo specifico evento».

Le liti in casa per la Corte d’Appello «possono verosimilmente ricollegarsi a momenti di tensione familiare di lesività relativamente modesta rispetto all’estrema gravità ed alle potenziali ripercussioni negative del provvedimento adottato senza il conforto di approfondite indagini». Sono le mancate verifiche sulle accuse dell’allora minorenne a pesare sul comportamento dei servizi sociali che «a fronte di una potenziale minaccia per l’incolumità del minore, è l’aver manifestamente travisato le evidenze probatorie disponibili, omettendo incautamente al contempo di svolgere ogni pur minima indagine confermativa della delazione di ciò che va addebitato al servizio sociale».

Il personale aveva, secondo il Tribunale, gli strumenti per orientare e analizzare con giudizio i racconti della ragazza che, al contrario, vennero presi per buoni e sinceri. Sarebbe bastato verificarli con attenzione per arrivare alla conclusione di astenersi dal proporre l’allontanamento del minore dalla famiglia di origine, a vantaggio, di provvedimenti meno invasivi, come ad esempio affidare il bambino ai nonni.

Nell’accogliere la richiesta della coppia, sulla base di consulenze mediche circa i danni provocati da un tsunami del genere, il giudice mette in fila le lacune all’origine della vicenda: «Gli episodi sono stati anzitutto macroscopicamente travisati nella loro intrinseca, ma moderata gravità e, in secondo luogo, colpevolmente sopravvalutati dal servizio sociale con l’acritica adesione all’iperbolica narrazione (della ragazza, ndr) che, se non superficialmente analizzata, ma apprezzata con gli opportuni riscontri di cui si è dato conto, si sarebbe rivelata palesemente inattendibile». Non solo mancarono gli accertamenti doverosi, ma tra gli addebiti ai servizi sociali il Tribunale «somma la negligente omessa attivazione tempestiva degli incontri tra genitori e figlio allontanato e, prima ancora, l’omessa valutazione di alternative alla misura concretamente sperimentabili, quali la collocazione di presso la nonna materna».




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