Ciò anche per ragioni personali: non c’è tratto che non ammiri della Spagna, dall’architettura al paesaggio, dalla letteratura alla musica, dal cinema alla pittura, dai colori ai profumi, oltre alla gente beninteso. E sarei particolarmente orgoglioso se il danno esistenziale avesse successo in questo paese.
Non è un esito scontato.
Nessun popolo al mondo - mi sembra - adora la vita tanto quanto gli spagnoli. Dovrebbe penetrare come il coltello nel burro, quindi, una figura ristoratrice che mette al centro il presidio dell’esistenza; in tutte le sue manifestazioni, grandi o piccole che siano.
Quando giro per le città iberiche, e vedo tanti individui giocare, correre dietro ai tori, mangiare, ballare, cantare, fare all’amore fino alle ore piccole - e mille altre nobili occupazioni - mi dico sempre: ‘’Non può non essere questo il paese che ha inventato il danno esistenziale’’.
Poi mi ricordo che è una voce del diritto, quella di cui stiamo parlando; e si sa quanto prudenti siano allora i giuristi, fieri del proprio pedigree, scettici nei confronti delle novità, burberi verso quanto arrivi dall’estero.
È vero che il libro di Eva Martin Azcano è particolarmente ben fatto: così professionale, equilibrato e misurato, accademico quel tanto che occorre, rigoroso, umile e anti-ideologico; interessato a quanto succede altrove e tuttavia sensibile al modo in cui in Spagna si pensa, si ragiona e si decide.
E’ vero però che il danno esistenziale, per la sua semplicità rivoluzionaria, si presenta come una realtà contagiosa, prepotente - diversa chimicamente rispetto a tante new entry. Molti sono i risvolti del pensiero, non familiari all’interprete canonico, che dovrà recepire chi lo accolga.
Occorre aver letto almeno tre volte il Don Quijote.