LO SCOPO DELLA LEGGE È QUELLO DI CONFERIRE PRIORITÀ ASSOLUTA AI BISOGNI DELLA PERSONA BENEFICIARIA. NEI FATTI ACCADE DI FREQUENTE, PER FINI MOLTO SPESSO NON DICHIARABILI, CHE PRENDA IL SOPRAVVENTO IL CALCOLO ECONOMICO E LA LOGICA DELLA PRESERVAZIONE DEI BENI.
>>>>>>> La ’qualità della vita’ - del beneficiario, come realtà operativa da preservare/recuperare - è il criterio base dell’Amministrazione di Sostegno (AdS). Il legislatore del 2004 lo sottolinea in maniera quasi ossessiva: agio, pulizia, ascolto, il meglio che si può, igiene, confort, tepore, gradevolezza, ogni articolo - dal 404 c.c. in poi - ripropone quel motivo in varie salse. Ciò che conviene esistenzialmente all’assistito è quanto occorrerà (a) apprestare giudizialmente, (b) realizzare praticamente; ciò che frustra o delude la persona, fisicamente o psichicamente, è sbagliato, illecito. Dominano i ‘bisogni’ del fragile, come fatto oggettivo e uniforme (mangiare bere dormire respirare), contano poi le ‘aspirazioni’, i desideri, come passaggio individuale, magari strambo o idiosincratico (dire fare baciare lettera testamento); qua e là bisognerà armonizzarli. Fra il livello dei sogni, irreali o esagerati, e quello del patrimonio, non proprio da Rockfeller, c’è un conflitto? In tal caso andranno abbassate le ali: antipsichiatria e dissipazione no grazie. Per l’Autorità la prima cosa da fare, entrando nella vita di un altro, rimane in ogni caso l’inventario delle necessità giornaliere, delle concrete esigenze; dopodiché avranno le mani legate sia il magistrato sia il vicario. Il beneficiando è un anziano, centenario, decrepito? Non cambia niente, sarà il suo ‘best interest’ comunque a orientare, a comandare.
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LA LEGGE CONFERISCE DI FATTO ALL’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO UN POTERE SULLA VITA DEL BENEFICIARIO, ESSENDO UNICO RESPONSABILE SIA DEI SUOI BENI CHE DELLA GESTIONE DELLA SUA SALUTE. RITIENI CHE L’APPROSSIMATIVO CONTROLLO EX POST DEL GIUDICE TUTELARE SIA SUFFICIENTE A IMPEDIRE ABUSI O ANCHE PIÙ SEMPLICEMENTE FORME DI DISINTERESSE BUROCRATICO DEI BISOGNI PIÙ AUTENTICI DEL BENEFICIARIO?
>>>>>>>> Non è proprio così. Chi conferisce all’Amministratore i poteri è non tanto la Legge, bensi il Giudice tutelare. E anche il giudice non è libero: dovrà fare un decreto che tratteggi, sulla carta, la ricerca e il presidio della miglior qualità di vita per ‘quel’ beneficiario; oggi, subito, puntigliosamente, altrimenti il provvedimento sarà impugnabile. Il soggetto fragile, se è uno che ci sta con la testa, manterrrà intatta la propria sovranità; avrà semplicemente per le cose che stenta a fare da solo (carrozzina, cecità) qualcuno accanto, in grado di farle in sua vece: volendo se le farà lui comunque, da solo. Se invece è uno che sbanda mentalmente, che rischia di combinare guai (droghe, alcol, gioco, Alzheimer), allora il giudice gli toglierà un po’ di sovranità, momentaneamente. Sempre un vestito su misura comunque; tagliato in funzione della più ampia ‘fragranza quotidiana’ per lui: cyclette, tipo di badante, materasso, scuola, domotica, bagno attrezzato, sky, vacanze, tempo libero, ascensore. “Come stai, cosa ti serve, sei contento così?”, ecco la chiave, sempre quella, fin che possibile.
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LA LEGGE RICONOSCE GIURIDICAMENTE SOLO I PARENTI DEL BENEFICIARIO, ESCLUDENDO DA QUALSIASI POSSIBILITÀ DI PARTECIPAZIONE E CONTROLLO PERSONE A VARIO TITOLO A LUI AFFETTIVAMENTE LEGATE. ESSENDO MOLTO SPESSO IL PARENTE DEL BENEFICIARIO ANCHE SUO EREDE, SI FINISCE IN QUESTO MODO PER FACILITARE, SOPRATTUTTO NEL CASO DI UN CONSISTENTE ASSE PATRIMONIALE, UNA GESTIONE DELL’ISTITUTO PROFONDAMENTE
>>>>>>>>>> Non sono poi essenziali I familiari nell’AdS. ‘Fratelli coltelli’, ‘parenti serpenti’, il legislatore lo sa bene, un po’ diffida. E’ nel focolare che andrà cercato, in prima battuta, l’amministratore; ok, ma se ci sono motivi per fare diversamente il giudice pescherà altrove; e se quei motivi non ci sono, comunque il familiare-amministratore dovrà fare giorno per giorno ‘the best’, per il congiunto. Altrimenti, se ragiona da futuro erede, con spirito taccagno, in comprovato confitto d’interessi, andrà rimosso.
Vero, gli amici del beneficiario sono stati un po’ trascurati da legislatore; ma i principi generali restano dalla loro parte. L’amico caro, se vede che le cose non funzionano, può avvertire il Giudice tutelare, oppure il Pubblico ministero, oppure i Servizi sociali: i quali dovranno controllare, intervenire. Spesso va così, l’amministratore trucido viene rimosso. Anche se questo è, in effetti, un punto su cui occorrerà lavorare nel territorio, organizzando meglio la vigilanza; troppo spesso le cose vanno assurdamente per le lunghe …
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NEL CASO IN CUI SI ARRIVI ALL’ACCERTAMENTO DI ABUSI PER QUALE STRADA IL BENEFICIARIO PUÒ OTTENERE UN RISARCIMENTO PER I DANNI SUBITI.
>>>>>>>> Sostituito l’amministratore ‘sordo e cieco’, il nuovo amministratore potrà/dovrà (autorizzato da giudice) citare quello precedente per danni.
In tutti i casi in cui il beneficiario sia – ad ogni modo- persona cui non è stato tolto un grammo di sovranità (non comunque il potere di agire in giudizio) potrà pensarci lui stesso; si rivolgerà all’avvocato, come e quando vuole, non ha bisogno del permesso di nessuno.
Più complicato citare per danni il Giudice tutelare o il Pubblico ministero, i quali siano restati, malgrado denunce e segnalazioni, sordi e ciechi (una sorta di complici oggettivi). La cosa è in teoria possibile, anche se ad oggi non ci sono precedenti. È vero però che giudici e p.m. ogni tanto se ne infischiano, clamorosamente; e quindi sarà bene perseguirli civilmente, se ci sono gli estremi: dimostrando che entrambi avevano la possibilità, senza proprio spolmonarsi, di fare meglio.
Pure il Servizio sociale inefficiente/neghittoso sarà, se del caso, “responsabilizzabile” ex post.
Danni poi - ricordiamolo - significa sia danni patrimoniali sia non patrimoniali: ‘biologici’ (per colpa vostra mi sono ammalato, sono piombato nella depressione), ‘esistenziali’ (mi avete fatto fare una vita da cani), ‘morali’ (umiliazioni, sofferenze, lacrime).