Amministrazione di sostegno  -  Giuseppe Piccardo  -  12/05/2023

Amministrazione di sostegno ed equa indennità: una questione aperta e in cerca di chiarimenti

La questione relativa alla liquidazione dell’equa indennità all’amministratore di sostegno terzo,  nella prassi generale un libero professionista, conserva la sua attualità, soprattutto nelle situazioni di totale “incapienza” della procedura, a causa della situazione patrimoniale e reddituale del beneficiario della misura di protezione.

La liquidazione dell’equa indennità è disciplinata dall’art. 379 c.c., relativo alla tutela e  applicabile in virtù del richiamo contenuto nell articolo 411, comma 1, c.c., anche all’amministrazione di sostegno e secondo il quale l’incarico è essenzialmente gratuito, fatta salva la possibilità, per il  Giudice Tutelare, della liquidazione contestuale all’approvazione del rendiconto, di un’equa indennità, in considerazione dell’entità del patrimonio del beneficiario e della difficoltà dell’amministrazione.

Il termine “equa indennità”, già dal punto di vista ontologico,  indica una somma che viene liquidata forfettariamente, a discrezione del giudice e non a titolo di compenso ma, appunto, di mero indennizzo per l’attività svolta. Peraltro, non esistono criteri univoci per la determinazione della stessa, che è riservata unicamente alla discrezionalità del Giudice Tutelare.

Sotto il profilo processuale, il decreto che liquida l’indennità può essere oggetto di impugnazione innanzi al Tribunale in composizione collegiale, qualora esorbitante o sproporzionato in relazione ai parametri di legge.

La questione è divenuta ancora più attuale anche a seguito della nota del 6 agosto 2022, pubblicata dalla Cassa Forense sul proprio sito, secondo la quale  seppur l’ufficio di ADS è presuntivamente gratuito, in quanto strumento pensato per affiancare al soggetto debole una figura familiare che le fornisca adeguata protezione, tuttavia, il Giudice, ai sensi dell’art. 408 c.c., può nominare amministratore “altra persona idonea”, purché sia opportuno e sussistano gravi motivi.

Con la nomina di un soggetto esterno alla cerchia familiare, come detto, di regola, un libero professionista, si pone il problema del riconoscimento di un’indennità annuale per il lavoro svolto, come previsto dall’articolo 379 c.c., parametrata alle capacità patrimoniali del beneficiario e all’impegno richiesto per lo svolgimento dell’ufficio.

I parametri che i Giudici utilizzano per la liquidazione dell’equa indennità sono variabili da Tribunale a Tribunale, in alcuni casi sono liquidati in conformità a protocolli e linee guida, in altri casi, invece, sono riconosciuti in considerazione:

a) dell’entità del patrimonio del beneficiario,

b) delle difficoltà incontrate dall’amministratore nell’espletamento dell’incarico;

c) dall’incidenza della misura e, quindi dell’incidenza dell’esercizio dei poteri di  rappresentanza sia sotto il profilo economico che personale.

La natura non reddituale dell’equa indennità, in quanto meramente compensativa – remunerativa, comporta, quale conseguenza, che essa non debba essere dichiarata come reddito da lavoro, da parte del professionista e che essa non sia soggetta ad oneri accessori, quali cassa previdenziale, spese generali e IVA (in questo senso si sono espresse la Commissione regionale tributaria Friuli Venezia Giulia 218/2016, la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 1073 del 1988  e la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 7355 del 4 luglio  1991).

Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Coordinamento Normativo, con la Risoluzione 2/E del 9 gennaio 2012, ha sviluppato un diverso ragionamento, ritenendo che anche se l’indennità venisse determinata in via equitativa e in misura forfettaria,  la sua liquidazione si porrebbe come riconoscimento di un compenso per lo svolgimento di attività professionale, costituente reddito da lavoro autonomo, ai sensi dell’articolo 53 del TUIR, rilevante ai fini IVA.

A prescindere dall’orientamento che si voglia ritenere maggiormente corretto, non vi è dubbio che la problematica della remunerazione dell’attività svolta dall’ADS professionista si ponga, sopratutto in tutti i casi in cui il beneficiario non disponga di risorse economiche, utili a poter provvedere alla  sua  liquidazione.

Infatti, in tali casi, il rischio concreto è che l’ADS professionista si trovi non solo ad assistere il beneficiario della misura di sostegno gratuitamente, ma che si trovi costretto ad anticipare spese e oneri, senza poter rientrare degli stessi, con una possibile fuga delle categorie professionali (avvocati e commercialisti in particolare) dalla disponibilità ad assumere detti incarichi, a danno delle persone fragili.

Ad avviso dello scrivente non è pensabile che lo svolgimento di un’attività di importanza sociale, quale è quella dell’amministratore di sostegno, da parte di liberi professionisti che, di fatto, sottraggono, soprattutto nelle grandi città, i beneficiari ad affidamenti ai servizi sociali dei Comuni, spesso impossibilitati, di fatto, a gestirli, non venga remunerato in alcun modo.

Dunque, sarebbe necessario che a livello legislativo e pubblico il problema venisse affrontato in modo chiaro, eventualmente con la destinazione di risorse ad un fondo  pubblico da utilizzare per il riconoscimento dell’equa indennità a favore degli amministratori di sostegno professionisti, al fine di risolvere un problema aperto che se trascurato non può che andare a svantaggio delle persone fragili, che lo Stato ha il dovere di non abbandonar e di proteggere.




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