Il decreto del Tribunale di Belluno numero 4 novembre 2021, in commento, consente, in questa sede, solamente una breve riflessione su una tematica importante, quanto molto delicata e complessa, che richiederebbe, e precisamente quella relativa ai poteri dell’Amministratore di sostegno in riferimento alla sospensione dei trattamenti c.d. “Salvavita” del paziente che si trovi in stato vegetativo permanente.
Il provvedimento trae origine dal ricorso proposto dalla Direttrice Medico di una struttura sanitaria, per la nomina urgente di un amministratore di sostegno ad una paziente, nella persona della figlia, al fine di compiere le valutazioni relative ai trattamenti sanitari necessari per la sopravvivenza della paziente stessa.
All'udienza, il giudice tutelare nominava Amministratore di sostegno provvisorio un avvocato, e contestualmente gli conferiva il potere di esprimere il consenso, in nome e per conto della beneficiaria della misura dell’amministrazione di sostegno, del compimento di tutte le necessarie attività diagnostiche, terapeutiche o chirurgiche sulla persona della paziente, secondo quanto indicato nel ricorso proposto dalla dottoressa ospedaliera, ed in particolare finalizzate all'assunzione alimentare (compreso l'intervento di posizionamento di dispositivo di nutrizione mediante PEG - gastrostomia endoscopica).
Il giudice, sentiti l'amministratore di sostegno, il medico curante dell’amministranda di sostegno, i congiunti della medesima ed il Presidente del Comitato Etico, invitava i familiari ed i sanitari a concordare il nominativo di specialista in neurologia cui sottoporre la valutazione della paziente.
Alla successiva udienza, veniva comunicato al giudice che i familiari della paziente avevano concordato con i medici dell'Ospedale di richiedere, ad uno specialista, una valutazione sulle potenzialità riabilitative della beneficiaria.
A seguito della valutazione clinica specialistica, la paziente veniva sottoposta ad intervento di posizionamento di dispositivo di nutrizione artificiale mediante PEG.
Con provvedimento depositato in data 8.6.2021, il Giudice Tutelare, confermava l'amministratore di sostegno provvisorio, con i poteri già conferiti dal decreto pronunciato, fissando a tale fine altra udienza.
Successivamente, l’Amministratore di sostegno comunicava che l'Ospedale di Vipiteno era disponibile ad accogliere la paziente presso la propria Struttura Riabilitativa ad alta intensità, con conseguente trasferimento, ivi, della medesima, in stato vegetativo.
Il Giudice Tutelare presso il Tribunale di Belluno, successivamente ad ampia istruttoria volta a ricostruire la effettiva volontà della paziente, come avvenuto nel caso di Eluana Englaro, concludeva che, in assenza di specifiche DAT, il consenso ad interrompere le terapie ed i trattamenti di sostegno vitale appariva conforme alla volontà della beneficiaria, desumibile in modo chiaro, univoco e convincente sia sulla base delle sue precedenti dichiarazioni, come riportate da tutti i familiari (e confermate, in particolare, dal fratello gemello), sia sulla base della sua personalità, del suo modo di intendere la vita e delle sue convinzioni in materia di dignità della persona umana. E cosi’ motivava, i poter conferiti in tal senso, all’amministratore di sostegno, in punto di diritto:
“L'art. 3, comma 4, della stessa legge (legge 22.12.2017 n. 219 n.d.r), dispone inoltre che, "nel caso in cui sia stato nominato un amministratore di sostegno la cui nomina preveda l'assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall'amministratore di sostegno ovvero solo da quest'ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere", mentre il comma 5 precisa che, qualora "l'amministratore di sostegno, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) di cui all'articolo 4, (...) rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare (….)
In questo contesto, la giurisprudenza afferma la necessità che il consenso all'interruzione dei trattamenti sanitari, manifestato dal rappresentante legale del soggetto incapace, sia realmente espressivo della volontà dell'interessato, da ricostruirsi sulla base delle sue precedenti dichiarazioni e della sua personalità, del suo stile di vita e dei suoi convincimenti etici e religiosi, risultanti da elementi di prova chiari, univoci e convincenti, affinché sia garantita una decisione nell'esclusivo interesse dell'incapace (v. Cass. 16.10.2007 n. 21748): "Nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla persona dell'incapace, la rappresentanza del tutore è sottoposta a un duplice ordine di vincoli: egli deve, innanzitutto, agire nell'esclusivo interesse dell'incapace; e, nella ricerca del best interest, deve decidere non "al posto" dell'incapace né "per" l'incapace, ma "con" l'incapace: quindi, ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche").
La valorizzazione delle volontà del paziente costituisce un criterio enunciato anche a livello sovranazionale.
Il riferimento va innanzitutto ai principi espressi dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, resa esecutiva con la legge di autorizzazione alla ratifica 28 marzo 2001, n. 145, ma non ancora ratificata dallo Stato italiano, ed in particolare all'art. 6 (il quale, in riferimento ai casi di persone che non hanno la capacità di dare il loro consenso ad un intervento, stabilisce che "questo non può essere effettuato senza l'autorizzazione del suo rappresentante, di un'autorità o di una persona o di un organo designato dalla legge. La persona interessata deve nei limiti del possibile essere associata alla procedura di autorizzazione") ed all'art. 9 ("I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione").
Tali elaborazioni sono state recepite nella "Guida al processo decisionale nell'ambito del trattamento medico nelle situazioni di fine vita" redatta dal Comitato di Bioetica del Consiglio d'Europa nel dicembre del 2014, con lo scopo di facilitare l'attuazione dei principi espressi nella Convenzione di Oviedo e di delineare il quadro di riferimento etico e giuridico per il processo decisionale nelle situazioni di fine vita.
In particolare, in tale documento viene dato rilievo ai principi di autonomia (mediante l'esercizio del consenso libero e informato) e di "beneficenza e non maleficenza" (riferiti al duplice obbligo del medico, da un lato di cercare di massimizzare il beneficio potenziale, dall'altro di limitare il più possibile ogni danno che può sorgere dall'intervento medico), in un bilanciamento tra benefici e rischi di danno nella prospettiva del migliore interesse del paziente.
Il decreto in commento, che tra l’altro, recepisce e si conforma ai più importanti atti internazionali in materia di consenso alla sospensione di trattamenti terapeutici, è da ritenere, ad avviso dello scrivente, assolutamente apprezzabile laddove rimette al personale medico la decisione in relazione alla decisione circa la desistenza terapeutica, seppur ritenendone necessaria la condivisione con familiari e amministratore di sostengo, in un’ ottica di azione nel miglior interesse della persona, non in grado di esprimere il consenso, sulla base della ricostruzione dell’effettiva volontà del paziente.
Resta fermo, tuttavia, che in situazioni quali quelle oggetto della decisione in commento, la soluzione indicata dal Tribunale di Belluno non è l’unica possibile.
Infatti, qualora i trattamenti si rivelassero inappropriati, i medici avranno il dovere di non iniziarli e in caso di disaccordo tra personale sanitario e amministratore di sostegno, quest0ultimo avrà la possibilità di rivolgersi al Giudice Tutelare, affinché valuti la miglior soluzione per il paziente.
Infine, ciò che emerge dalla motivazione del decreto del Tribunale di Belluno, ad avviso di chi scrive, è che la battaglia dei genitori di Eluana Englaro sembra non essere stato un sacrificio invano, in quanto sembrano essere stati ampiamente recepiti i principi e le modalità operative che la sentenza della Suprema Corte numero 21748 del 16 ottobre 2007 aveva fissato proprio con riferimento al citato caso, divenendo un vero e proprio leading case al riguardo.
Allegati