Il Tribunale di Bari con la sentenza in commento, guarda al passato, con una pronuncia che, ad avviso dello scrivente, cancella quasi vent’anni di progresso nel campo della tutela dei soggetti deboli; progresso che ha preso avvio, con il contributo decisivo del prof. Paolo Cendon, con l’introduzione della figura dell’amministrazione di sostegno, nel codice civile, con la legge 9 gennaio 2004 n. 6.
Il tribunale pugliese, infatti, pronunciandosi su un ricorso per interdizione, proposto dai parenti di un ragazzo incapace di intendere e volere, in quanto affetto, sin dalla nascita, da una grave e irreversibile lesione cerebrale (paralisi cerebrale, tetraplegia, tetraparesi spastico-distonica, incapacità nell'eloquio in assenza di patrimonio verbale), ha confermato l’applicazione della misura dell’interdizione, come richiesto dai ricorrenti, ritenendola misura adeguata a tutela degli interessi della beneficiaria, senza prendere in considerazione la possibilità di nomina di un amministratore di sostegno.
I giudici rilevavano, in particolare, in punto di fatto, che le condizioni di salute del ragazzo si erano progressivamente aggravate, così come le connesse esigenze assistenziali, tanto da dover essere gestito a letto o in una carrozzina manuale con appoggiatesta adattato per allineare il capo e migliorare la respirazione, con necessità di tutore e corsetto a doppia valva e necessità di assistenza diurna e notturna; di conseguenza, valutavano positivamente la fondatezza delle conclusioni dei ricorrenti circa l’adeguatezza di una pronuncia di interdizione e la nomina di un tutore al ragazzo disabile.
In punto di diritto, il Tribunale di Bari, dopo aver evidenziato, correttamente, come l’interdizione costituisca, nell'attuale sistema giuridico, l'extrema ratio di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia, con richiamo agli insegnamenti della Corte Costituzionale e della Suprema Corte, ha rilevato come la complessiva condizione di menomazione psico-fisica del beneficiario avesse comportato deficienze assolute sul piano della comprensione, del ricordo e della volizione e che dalla medesima condizione di menomazione psicofisica dovesse discendere l'incapacità dell'interdicendo di compiere in autonomia i più importanti atti della vita quotidiana.
In conseguenza di quanto sopra, secondo il Tribunale pugliese, discende un grave stato patologico, che incide sulla necessità di una complessiva condizione di infermità che, oltre ad essere abituale, è anche di entità tale da comportare la completa compromissione delle funzioni cognitive, cosicchè l'interdicendo “è da ritenersi del tutto incapace di provvedere autonomamente ai propri interessi, così come indicato dall'articolo 414 citato, né vi sono realisticamente possibilità concrete che la patologia menzionata regredisca in futuro”.
I giudici hanno, successivamente, posto in evidenza che “Le elevate esigenze di protezione, derivanti dalla condizione di totale dipendenza da terzi in cui versa l'interdicendo (a causa dell'oggettiva gravità degli stati morbosi da cui è affetto) e dalle necessità di gestione e conservazione delle sue risorse economiche, portano ad affermare che, per l'interdicendo, la tutela più adeguata ed idonea, sia da individuare nella misura dell'interdizione, dovendo escludersi che possa farsi luogo alle meno invasive forme di tutela rappresentate dall'inabilitazione e dall'amministrazione di sostegno”.
Ad avviso dello scrivente, la sentenza non è condivisibile, in quanto giunge a conclusioni che non colgono lo spirito della legge sull’amministrazione di sostegno.
Infatti, i giudici baresi, pur partendo dall’assunto secondo il quale l’amministrazione di sostegno deve essere considerato lo strumento ordinario di tutela delle persone prive di autonomia, lo applica in modo non solo errato, ma abnorme, traendo poi conclusioni incoerenti con la premessa effettuata.
I principi affermati, inoltre, sembrano ormai, ampiamente superati, non solo in dottrina(1) ma anche dalla più recente giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, la quale, infatti, nell’applicare e recepire gli insegnamenti della Corte Costituzionale prima della Suprema Corte, successivamente, ritiene che l'interdizione e l'inabilitazione siano misure di protezione di carattere residuale, di cui si possa fare applicazione solo una volta esclusa la possibilità di fare ricorso alla meno afflittiva misura dell'amministrazione di sostegno, in quanto la scelta della misura non deve essere effettuata in astratto, alla luce di un criterio quantitativo legato alla gravità della patologia, ma in concreto e in considerazione delle esigenze che la misura è destinata a soddisfare.
In questa prospettiva, dunque, il criterio distintivo tra l'amministrazione di sostegno e gli altri istituti a tutela dell'incapace è qualitativo e non quantitativo e deve, quindi, essere individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi da parte del soggetto carente di autonomia, ma, con riferimento alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze del soggetto stesso, tenuto conto della sua complessiva condizione psico-fisica e di tutte le circostanze caratterizzanti la fattispecie, con riguardo, in particolare, alla rete di protezione di cui la persona gode e alle esigenze che con la misura protettiva si mirano a soddisfare, in forza del carattere estremamente più duttile dell'amministrazione di sostegno, rispetto alle misure dell'interdizione e dell'inabilitazione (2).
Da quanto sopra discende che alla misura dell'amministrazione di sostegno può farsi ricorso anche in caso di patologie particolarmente gravi, quando le circostanze del caso concreto consentano di perseguire lo stesso livello di protezione senza il ricorso alla ben più invasiva misura della interdizione.
Peraltro, non si vede quale problema possa creare l’impossibilità, per il ragazzo disabile, di interagire con l’esterno, considerato che il decreto di apertura di amministrazione di sostegno, come sopra precisato, può modellare i poteri dell’amministratore nominato in modo specifico, vale a dire in relazione al caso concreto, a differenza della tutela, misura rigida che mira, di fatto, all’esclusione sociale della persona disabile.
Inoltre, lo scrivente non condivide l’applicazione della misura dell’interdizione, in correlazione con l’entità del patrimonio del tutelato, considerato che l’amministratore di sostegno può gestire, in modo altrettanto efficiente, i beni del beneficiario, nell’interesse di quest’ultimo ed in accordo con il beneficiario medesimo, se in grado di interagire.
In sintesi, non sembra che le motivazioni addotte dal Tribunale di Bari, a sostegno della decisione presa, siano coerenti con le conclusioni tratte dalle premesse esposte in sentenza, né si possa dire che la misura dell’interdizione protegga maggiormente un ragazzo disabile, rispetto all’amministrazione di sostegno, considerata la duttilità di quest’ultima misura e che la medesima possa assumere la forma di misura sostitutiva, o di mero affiancamento del beneficiario, a secondo delle concrete necessità che insorgono nel caso concreto.
A conclusione di questa breve nota, ritengo opportuno trascrivere l’auspicio espresso da colui che la legge sull’amministrazione di sostegno la ha concepita, e da sempre la promuove, con profonda sensibilità umana e giuridica; il riferimento è al prof. Paolo Cendon, il quale, su questa pagina online, così si è espresso, il 6 febbraio u.s., con riferimento al tema dei rapporti tra interdizione e amministrazione di sostegno: “Cancellati i vecchi istituti ottocenteschi, l’intero fronte della “protezione stabilizzata’’ sarà destinato a reggersi in Italia, per il futuro, sull’amministrazione di sostegno; fruitori del presidio giudiziale diverranno, potenzialmente, tutti gli esseri i quali appaiano - non importa in che misura, o con quali sfumature - privi di autonomia nell'espletamento delle attività della vita quotidiana.
È una generalizzazione possibile (va rimarcato) in forza della natura quantomai duttile dell'AdS, grazie cioè alla modulabilità della salvaguardia civilistica in esame a seconda delle esigenze dell’interessato - con un’applicabilità tale da abbracciare, sul piano disciplinare, la “clientela pesante’’ nella sua interezza: allorquando si tratti, in concreto, di far fronte a gravi pericoli di autolesionismo dell’individuo, o a gestioni segnatamente complesse e delicate. A ciò va aggiunta la considerazione che, sul piano psicologico, l’amministrazione di sostegno - dal momento che non postula come default incapacitazioni in via automatica - si presenta quale risposta non stigmatizzante per la persona o per la sua famiglia: al contrario di quanto non avvenga per le misure che ci si propone oggi di cancellare dal codice. “Non abbandonare” e “non mortificare” costituiscono, è stato scritto, i due principi cardine della riforma del 2004.
1. In dottrina v. per tutti CENDON, Un nuovo diritto per i malati di mente( e non solo), in www.filodiritto.com; CENDON – ROSSI, Amministrazione di sostegno – Motivi ispiratori e applicazioni pratiche, I, Torino, 2009, 371, i quali evidenziano che presupposto dell’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno è quello della fragilità del soggetto, e non il dato clinico della malattia; SPALLAROSSA, Le persone da proteggere, in Amministrazione di sostegno – Interdizione, inabilitazione e incapacità naturale, a cura di Ferrando, Bologna, 2012, 22, la quale rileva come la riforma del 2004 non sia stata abbastanza coraggiosa nell’abolire l’interdizione e l’inabilitazione.
2. Il riferimento è alla recente sentenza Trib.Pisa 13 settembre 2022, n. 1102, reperibile in banca dati One legale; nello stesso senso si veda, tra le altre, già Tribunale Venezia, Sez. III, 13 ottobre 2005, n. 2086; Corte Costituzionale 9 dicembre 2005, n. 440, in Familia, 2006, 361, con note di L.BALESTRA, Sugli arcani confini tra amministrazione di sostegno e interdizione, e di M.A. LLUPOI, Profili processuali del rapporto tra l’amministrazione di sostegno e le altre misure di protezione dell’incapace; in Fam., pers. e succ., 2006, 134, con nota di S.PATTI, Amministrazione di sostegno: la sentenza della Corte costituzionale; in Fam. e dir., 2006, 121, con nota di F.TOMMASEO, L’amministrazione di sostegno al vaglio della Corte costituzionale; in Corr. giur., 2006, 775, con nota di M.N BUGETTI, Ancora sul discrimen tra amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione; in Nuove leggi civ. Comm., 2006, 851; Cass.12 giugno 2006, n. 13584, con nota di M.N. BUGETTI, Amministrazione di sostegno e interdizione tra tutela della persona e interessi patrimoniali; in Fam. e dir., 2007, 31, con nota di M.SESTA, Amministrazione di sostegno e interdizione: quale bilanciamento tra interessi patrimoniali e personali del beneficiario?; Cass. 26 ottobre 2011, n. 22332; Cass. 4 marzo 2020, n. 6079, tutte reperibili in banca dati One legale.