Letteratura  -  Redazione P&D  -  14/06/2021

Alcune note a margine di “Storia di Ina” - Patrizio Sisto

Non so se Paolo Cendon scrivendo la sua seconda opera narrativa avesse in mente il memorabile passo poetico sull’incontro amoroso fra due esseri umani in cui Rainer Maria Rilke auspica che le relazioni e l’amore possano essere pensabili e realizzarsi in modo che  “due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda”… Comunque sia, è questa l’immagine che sin dalle primissime pagine di “Storia di Ina” si è delineata in modo plastico ai miei occhi, progressivamente approfondendosi in questo senso nello sviluppo del rapporto fra Ina e il professore, che viene descritto dall’amico e collega avvocato di quest’ultimo, la voce narrante che percorre tutto il romanzo. 

A partire dall’iniziale casualità e improbabilità dell’incontro fra due mondi così diversi, quello di un docente e giurista di affermato prestigio, vedovo con due figli, conosciuto da sempre dagli amici come “il Maestro”, e quello di una giovane donna sua ex allieva, si assiste poi via via al loro reciproco avvicinarsi in modo indiretto e tangenziale, attraverso un’esplorazione che con un implicito pudore li conduce, nei piccoli gesti del quotidiano, a conoscersi sempre più nelle reciproche differenze, nell’emergere e delinearsi di aspettative corrisposte ma anche disattese, così come in ulteriori evoluzioni di un sentire che trasporta verso nuove forme di vita per entrambi.           

Ma immediatamente una seconda impressione ha rimescolato per così dire le carte delle mie iniziali aspettative di lettore, quando dapprima a latere e poi con incursioni sempre più evidenti lo scenario della storia della formazione di una coppia, topos letterario in sé familiare, si apre progressivamente, scardinando quella che appariva essere una parabola di coppia, per aprirla a una pluralità di soggetti e vicende umane e giuridiche, in tal modo trasformando quella storia a due in un vero e proprio catalizzatore di storie.   Pur rimanendo il filo rosso che attraversa il romanzo, quella relazione tra Ina e il professore permette infatti la costruzione di un grande puzzle di tasselli che si richiamano, incrociano, collidono, poi si accostano e integrano in un affresco corale, la cui composizione finale si disvela pian piano, fino al capitolo conclusivo emblematicamente intitolato “Verso dove”.                   

La “faccenda” con cui si apre il romanzo, un sospetto tentato stupro di cui la ragazza è rimasta vittima, si rivela l’avvio in realtà di una raccolta di storie fatte di vicissitudini umane ed esistenziali, in cui anche i personaggi minori, che per brevi flash si affacciano sulla scena della vita incrociando i destini dei protagonisti principali, il professore e Ina (o Ina e il professore?), concorrono comunque, ognuno a modo suo, a costruire l’affresco di un’umanità variegata, che si snoda attraverso una pluralità di avvenimenti. Si toccano e sfiorano, talvolta occupano prepotentemente la scena, molti piani dell’esistenza, ambienti socio culturali e di vita fra loro sideralmente lontani come i Lions club, i convegni di giuristi e psichiatri o le aule magne accademiche e le commissioni parlamentari da un lato, e gli appartamenti sgangherati e un po’ goliardici di studenti alternativi animati da  feste trash, le gite sulle sponde del Ticino, ma anche gli incontri intimi e i pasti conviviali in trattorie rustiche dall’altro, oppure ancora i circuiti limitati e sempre uguali delle città di provincia, dove “custodire i segreti è difficile”, fra “racconti al bar, vetri oscurati che poco nascondono, in una macchina”, che fanno da contraltare alle scene metropolitane romane o agli scenari delle bellezze naturali dolomitiche.   

Il tutto caratterizzato nel racconto della voce narrante attraverso una scrittura essenziale, dotata di un suo originale ritmo interno, senza fronzoli superflui o estetizzanti, parsimonioso  di strutture verbali, a vantaggio di un procedere sincopato che restituisce bene il senso dell’incalzare e susseguirsi in un flusso continuo sia degli accadimenti esterni sia dei correlati moti della psiche: un po’ come avviene, in altro contesto espressivo, nell’haiku, la forma poetica breve giapponese, con la sua struttura sintattica così asciutta e paratattica.   

Ecco quindi, attraverso la storia del professore e della sua ex allieva -entrambi  sopravvissuti a naufragi esistenziali e lutti che hanno lasciato ferite e cicatrici non sempre a prima vista visibili- l’emergere via via di quelle “voci che il professore si portava dietro”. Compaiono così in scena, come effettivi coprotagonisti, incontri con figure e vicende che trascolorano lungo un’ampia gamma di sentimenti umani e situazioni, compresi i i rapporti padri-figli e il sentimento della colpa e della responsabilità personale.

Dalle storie più cruente, giuridicamente controverse  e moralmente sconcertanti alle più tenere e commoventi, intrise di solidarietà e di quella forma di attenzione per l’altro che può richiamare quella disposizione d’animo che Simone Weil esaltava come vero antidoto al male del mondo, condensata nella cruciale domanda rivolta all’altro da sé: “qual è il tuo tormento?”

È così che - cito in ordine sparso alcuni dei temi che vengono messi in gioco nel corso del romanzo-  si assiste a vicende umane piccole e grandi raccontate attraverso le voci dei protagonisti, figure talora ai margini della società, oppure in accesi scontri nell’ambito di convegni accademici. Dove, per esempio, l’avvocato-amico e voce narrante ricorda come “essere un giudice, per M., significava «non servire i potenti: mai sacrificare le vittime», e ancora sottolinea l’importanza per il professore di «non umiliare creature già sfortunate per proprio conto». 

Sfilano, soprattutto, dibattiti su temi caldi che interessano la giurisprudenza e la vita dei soggetti più vulnerabili, come il ruolo delle cliniche private nella sanità, la liceità e l’opportunità dei trattamenti sanitari obbligatori, il “dopo di noi” che dolorosamente tocca i familiari di soggetti con disabilità e più in generale le fragilità, anche di coloro che rientrano nelle categorie cosiddette “normali” soltanto perché privi di deficit fisici o psichici conclamati. 

Ma anche le domande etiche che sollevano l’esigenza di pensare il danno esistenziale (“M. aveva spiegato perché il danno esistenziale fosse nato: «Non c’è solo la salute a questo mondo. Un padre che abbandoni la famiglia, come staranno i suoi bambini? Pochi soldi per mangiare, nessuno più a proteggerli»)

E, last but not least, in un sorprendente intreccio fra diritto e ambito professionale da un lato e vita privata del professore dall’altro, l’irrompere inaspettato di un curioso paradosso dato dal fatto che l’amministrazione di sostegno, creatura giuridica promossa e appassionatamente caldeggiata dal professore stesso, come in un singolare contrappasso finisce per riguardare proprio lui. In un susseguirsi di accadimenti spiazzanti eppur dotati di una loro logica coerenza interna, che in fondo mostrano anche come il rapporto diritto-vita risulti sempre più complesso e articolato di quanto una astratta giurisprudenza possa lasciar supporre…     

Negli ultimi capitoli dopo una passeggiata prende infine forma progressivamente nella conversazione in salotto fra il professore e Ina la “carrellata”, vero e proprio riepilogo panoramico delle vite incontrate, incrociate o talora anche solo sfiorate nel corso delle pagine precedenti:  il “gioco degli aggiornamenti”, che rilancia in un’apertura degli animi i temi e le disposizioni affettive che come un filo rosso hanno percorso l’intero  romanzo. Lì si avverte bene, in controluce,  come poco di quanto accaduto nelle diverse storie che in precedenza hanno preso forma sia  davvero scontato e leggibile secondo schemi di pensiero e comportamento convenzionali, a fronte della magmatica caoticità ma anche della bellezza imprevedibile delle vite, per quanto martoriate e ferite siano state.    

Si snoda così nuovamente una galleria di tipi umani di volta in volta conformisti e omologabili oppure bizzarri ed eccentrici: come il brillante e gelido giudice Formaldi propenso a rivalse ideologiche personali, Tagliolo, “metà psichiatra e metà politico”, il baroccheggiante ritrattista di modelle e maestro di disegno Corridoni, la piccola e trasgressiva studentessa Marylin, il compagno di fienile dell’infanzia di Ina , il camionista serbo …Ognuno trasportato dalle correnti della vita verso direzioni variegate, talora prevedibili, talora invece sorprendenti, segno della capacità dell’essere umano di risultare spiazzante nel corso del suo arco evolutivo, agli occhi degli altri e forse anche di se stesso.   

Arrivato alle ultime righe di Storia di Ina la sensazione che emerge, in una scia di immagini e riflessioni, è quella complessiva di una galleria di figure e storie, colte da uno sguardo appassionato e libero da giudizio e pre-giudizio per le umane vicende, che si apre a una prospettiva non dogmatica di possibilità di redenzione che, soltanto evocata, talora si affaccia cogliendo della persona la sua singolarità unica e il suo imperscrutabile libero arbitrio.

Rimane, anche, la sensazione palpabile di uno sguardo intriso di genuina e inesausta curiosità per l’essere umano, che conduce in regioni dove -lo dico da non addetto ai lavori- il diritto sembra corrispondere allo sforzo lucido e coraggioso  di conciliare la legge e la vita entro i pur fallibili limiti umani. Avendo sempre presente, si potrebbe dire, che, come ci ricorda il detto evangelico,  il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato. 

Patrizio Sisto 


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