- Accorgersi quando l’AdS, pur non intrusiva al pari dell’interdizione, sulla carta, minacci in quel certo contesto di essere vissuta come un quid pesante, dispotico: con rischi di contraccolpi emotivi/ansiogeni nella quotidianità degli assistiti.
- Diffidare applicativamente delle etichette di scuola, delle diagnosi accademiche; il fragile che rischierebbe, altrimenti, prima ancora di essere conosciuto di persona, di essere imprigionato entro una data cornice, presso gli altri, fatta di ritrosie e commiserazioni;
- Non abbandonare i bisognosi, combattere le finte perfezioni, le pseudo-autosufficienze, da parte delle autorità preposte; respingere o problematizzare ogni falsa impressione di indipendenza (‘’Non ho bisogno di nessuno’’, ‘’Occupatevi dei fatti vostri’’); andare fin che si può a obiettivo, intervenendo al meglio, mettendo in moto l’ala materna e combattiva della giustizia;
- Meglio quando la protezione, per l’assistito, diventi psicologicamente qualcosa di simile alle deleghe che ciascuno di noi, per l’impossibilità di fare tutto da solo, conferisce via via all’amministratore di condominio, al portiere di casa, al commercialista, all’amico fidato, al gestore del garage, alla badante.
- Adeguatezza gestionale, metro universale di misura per l’AdS: corrispondenza o meno, cioè, tra i comportamenti tenuti del soggetto, lungo un cert’arco di tempo, a fronte di un modello ideale di dare/avere, come astratta fragranza quotidiana, del cuore, della mente e del portafoglio.
- Tracciare sempre programmi di ritocco espansivo e di addolcimento grammaticale, a 360°, a favore dell’interessato, sul terreno cioè della casa, del trasporto, del lavoro, dei social, della scuola, delle vacanze, delle relazioni umane. ‘’Domani nella battaglia pensa a me’’