-  Mazzon Riccardo  -  15/05/2014

ABUSO O ECCESSO DI POTERE QUALE MOTIVO DI INVALIDITA' DELLA DELIBERA ASSEMBLEARE - Riccardo MAZZON

Anche l'abuso o eccesso di potere può costituire motivo di invalidità della delibera assembleare:

"l'abuso o eccesso di potere può costituire motivo di invalidità della delibera assembleare, quando vi sia la prova che il voto determinante del socio di maggioranza è stato espresso allo scopo di ledere interessi degli altri soci, oppure risulta in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell'esecuzione del contratto" (Cass. civ., sez. I, 20.1.2011, n. 1361, GCM, 2011, 1, 94 -  cfr., amplius, "LE SOCIETA' A RESPONSABILITA' LIMITATA - ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI", CEDAM 2013, Riccardo MAZZON -).

Peraltro, come intuibile, tale vizio non è di facile identificazione; in particolare, qualora l'interesse perseguito con la delibera de qua dovesse risultare extrasociale, non occorreranno altri elementi per definirla abusiva;

"con riguardo alla deliberazione di assemblea di s.p.a., la doglianza che la maggioranza dei soci non abbia consentito alla minoranza ampia informazione e discussione su un argomento all'ordine del giorno attiene a disciplina etica e di merito e non a questione di legittimità sindacabile da parte del giudice e non può di per sé costituire ragione di invalidità della delibera, denunciabile con l'impugnazione prevista dall'art. 2377 c.c. testo previgente, a meno che non si deduca e dimostri che proprio l'indicato comportamento prevaricatore, frutto di un disegno della maggioranza di realizzare propri interessi particolari oggettivamente in conflitto con quello sociale, abbia determinato in concreto scelte contrastanti con tale ultimo interesse; l'abuso o eccesso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società - per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale - ovvero sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza "uti singuli"; al di fuori di tali ipotesi resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della delibera di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze relative all'economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva" (Cass. civ., sez. I, 12.12.2005, n. 27387, Conferma App. Torino 12.4.2002, FI, 2006, 12, 3455, GCM, 2005, 7/8),

qualora, invece, dovesse risultare una compatibilità tra la delibera assunta e l'interesse della società, l'onere della prova dell'abuso si estenderà alla dimostrazione che l'interesse sociale era comunque perseguibile parimenti per altra via, o non sarebbe stato menomato per effetto di una decisione che avesse tenuto in maggior conto l'interesse della minoranza:

"la verifica dell'esercizio abusivo, contrario a buona fede, del diritto di voto in assemblea non può prescindere dal considerare come l'esercizio del diritto in concreto si sia atteggiato in relazione a tutti gli interessi in gioco; se una delibera assembleare sia impugnata per aver prodotto un danno alla posizione dei soci di minoranza, bisognerà verificare che tipo di interesse la maggioranza ha in concreto perseguito; qualora l'interesse perseguito dovesse risultare extrasociale, non occorreranno altri elementi per definire abusiva la delibera; qualora, invece, dovesse risultare una compatibilità tra la delibera assunta e l'interesse della società, l'onere della prova dell'abuso si estende alla dimostrazione che l'interesse sociale era comunque perseguibile parimenti per altra via, o non sarebbe stato menomato per effetto di una decisione che avesse tenuto in maggior conto l'interesse della minoranza" (Trib. Milano 28.5.2007, n. 6552, GDir, 2007, 30, 48).

Così, si è discusso di eccesso od abuso di potere, ad esempio:

  • in caso di iniziativa economica, dichiaratamente sottesa all'operazione di aumento di capitale, pretestuosa in quanto caratterizzata da un oggetto indefinito nonché da un esito incerto, al di là di ogni ragionevolezza;

"sussiste il "fumus" del vizio di eccesso di potere della deliberazione e, conseguentemente, gli estremi per la sospensione dell'esecuzione della delibera per gravi motivi, nel caso in cui, in presenza di un irriducibile contrasto fra i soci, l'iniziativa economica dichiaratamente sottesa all'operazione di aumento sia pretestuosa in quanto caratterizzata da un oggetto indefinito nonché da un esito incerto al di là di ogni ragionevolezza e comporti, per i soci, un costo non necessario perché sostenibile con le risorse di cui già la società disponga ed inoltre la delibera sia stata approvata dai soci in assenza di informazioni adeguate alla luce dell'importanza dell'investimento e dell'impegno economico ad essi richiesto (nel caso di specie l'iniziativa posta a fondamento della decisione dell'aumento del capitale era irrealizzabile anche per l'assenza delle necessarie autorizzazioni amministrative ed inoltre la riscossione di un ingente credito che la società vantava verso terzi avrebbe consentito la piena realizzazione delle ipotizzate operazioni)" (Trib. Cagliari 9.6.2009, GCo, 2010, 6, 1131);  

  • in caso di reiterato e immotivato rifiuto di approvare il bilancio di esercizio;

"il comportamento diretto ad ottenere lo scioglimento della società mediante il reiterato e immotivato rifiuto di approvare il bilancio di esercizio costituisce violazione dei canoni di correttezza (art. 1175 c.c.) e buona fede (art. 1375 c.c.) che a sua volta legittima l'annullabilità della delibera, seppur negativa, in quanto violazione di legge rilevante ai sensi dell'art. 2377 c.c. L'azione risarcitoria, a causa della pregiudizialità dell'azione volta ad invalidare la delibera è inammissibile in mancanza dell'esperimento del rimedio invalidatorio" (Trib. Catania, sez. IV, 10.8.2007, GCo, 2009, 1, 197, RDCo, 2009, 1-2-3, 17); 

  • nel caso di attribuzione all'amministratore di compensi sproporzionati o in misura eccedente i limiti della discrezionalità imprenditoriale;

"a fronte dell'attribuzione all'amministratore di compensi sproporzionati o in misura eccedente i limiti della discrezionalità imprenditoriale, è possibile impugnare la delibera dell'assemblea della società di capitali per abuso o eccesso di potere, sotto il profilo della violazione del dovere di buona fede in senso oggettivo o di correttezza, giacché una tale deliberazione si dimostra intesa al perseguimento della prevalenza di interessi personali estranei al rapporto sociale, con ciò danneggiando gli altri partecipi al rapporto stesso. In tal caso al giudice è affidata una valutazione che è diretta non ad accertare, in sostituzione delle scelte istituzionalmente spettanti all'assemblea dei soci, la convenienza o l'opportunità della delibera per l'interesse della società, bensì ad identificare, nell'ambito di un giudizio di carattere relazionale, teso a verificare la pertinenza, la proporzionalità e la congruenza della scelta, un vizio di illegittimità desumibile dalla irragionevolezza della misura del compenso stabilita in favore dell'amministratore, occorrendo a tal fine avere riguardo, in primo luogo, alla natura e alla ampiezza dei compiti dell'amministratore ed al compenso corrente nel mercato per analoghe prestazioni, in relazione a società di analoghe dimensioni, e, ma in funzione complementare, alla situazione patrimoniale e all'andamento economico della società; l'amministratore di una società di capitali che da una deliberazione dell'assemblea ordinaria dei soci si sia visto riconoscere e determinare in una certa misura il compenso per la sua attività, è portatore di un interesse ad intervenire "ad adiuvandum", per appoggiare le ragioni della società al fine di evitare che siano posti nel nulla gli effetti di detto atto, nel giudizio, promosso dal parte del socio assente (o dissenziente), di impugnazione della deliberazione per eccesso di potere: interesse non già di mero fatto, bensì giuridicamente qualificato, giacché egli è sì destinatario di una situazione di vantaggio in ragione della deliberazione adottata dall'assemblea, ma sul presupposto che tale deliberazione, quando presa nel rispetto della legge e dello statuto, vincoli anche il socio assente (o dissenziente)" (Cass. civ., sez. I, 17.7.2007, n. 15942, GCM, 2007, 7-8); 

  • nel caso di deliberazione di scioglimento anticipato di una società, in difetto delle ragioni tipiche all'uopo previste;

"la deliberazione di scioglimento anticipato di una società può essere invalidata, in difetto delle ragioni tipiche all'uopo previste, sotto il profilo dell'abuso della regola di maggioranza, quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci. La relativa prova incombe sul socio di minoranza il quale dovrà a tal fine indicare i "sintomi" di illiceità della delibera - deducibili non solo da elementi di fatto esistenti al momento della sua approvazione, ma anche da circostanze verificatesi successivamente - in modo da consentire al giudice di verificarne le reali motivazioni e accertare se effettivamente abuso vi sia stato. Peraltro, all'infuori della ipotesi di un esercizio "ingiustificato" ovvero "fraudolento" del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della delibera di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze relative all'economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva" (Cass. civ., sez. I, 12.12.2005, n. 27387, GCM, 2005, 7/8, GCo, 2007, 1, 86);  

  • nel caso di introduzione di una clausola di prelazione impropria, con contemporanea esclusione del diritto di recesso del socio dissenziente;

"è annullabile per abuso di potere la deliberazione con la quale il socio di maggioranza modifichi lo statuto della società introducendo una clausola di prelazione impropria, con contemporanea esclusione del diritto di recesso del socio dissenziente, qualora tale delibera sia stata adottata nell'ambito dell'adeguamento dello statuto alla Riforma del diritto societario (d. lg. 17 gennaio 2003 n. 6) al solo scopo di impedire il verificarsi della causa di recesso di cui al nuovo art. 2437, lett. b), c.c." (Trib. Vicenza, 31.10.2005, GCo, 2007, 2, 390); 

  • nel caso di aumento di dieci volte del capitale sociale, malgrado la situazione di dissesto:

"il vizio della deliberazione dell'assemblea di società di capitali costituito dal cd. eccesso di potere si verifica allorquando la deliberazione venga adottata da parte dei soci di maggioranza a proprio esclusivo vantaggio ed in danno dei soci di minoranza e non laddove la deliberazione risulti irrazionale, per avere la maggioranza agito per finalità contrarie a quelle per le quali la società era stata costituita (nella specie, la sentenza cassata aveva ravvisato l'eccesso di potere nell'aumento di dieci volte del capitale sociale malgrado la situazione di dissesto)" (Cass. civ., sez. I, 11.6.2003, n. 9353, FI, 2004, I, 1219, Soc, 2004, 188).

Atteso che l'abuso o eccesso di potere rappresenta, in concreto, il frutto di un comportamento prevaricatore della maggioranza, volto a realizzare il perseguimento di propri interessi particolari, oggettivamente in conflitto con quelli sociali,

"non può essere considerato provato l'abuso di potere della maggioranza in relazione alla scelta del voto palese in luogo del voto segreto, posto che tale decisione, operata nel pieno rispetto delle norme dello statuto, rappresenta un diritto statutariamente riconosciuto a tutti i soci" (Trib. Ariano Irpino 1.8.2003, GCo, 2004, II, 284),

ci si è chiesti se tale vizio implichi mera annullabilità (cfr. paragrafi 11. e ss. del capitolo dodicesimo del volume: "LE SOCIETA' A RESPONSABILITA' LIMITATA - ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI", CEDAM 2013, Riccardo MAZZON), ovvero possa applicarsi l'istituto della nullità, in virtù del fatto che tale comportamento possa configurare decisione avente oggetto illecito o impossibile, contrastando, il contenuto dell'atto, con norme dettate a tutela degli interessi generali ed essendo la delibera diretta a conseguire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società:

"con riguardo alla deliberazione di assemblea di società per azioni, la dedotta carenza di informazione e discussione sull'argomento all'ordine del giorno - nella specie, l'autorizzazione all'esercizio dell'azione di responsabilità contro gli amministratori - costituisce, ove sia frutto di comportamento prevaricatore della maggioranza volto a realizzare il perseguimento di propri interessi particolari oggettivamente in conflitto con quello sociale, ragione di mera annullabilità ex art. 2377 c.c., in quanto per le predette delibere si applica il principio per cui la previsione della nullità, ex art. 2379 c.c., è limitata ai soli casi di impossibilità o illiceità dell'oggetto, ricorrenti allorché il contenuto dell'atto contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali e dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società" (Cass. civ., sez. I, 11.7.2008, n. 19235, GCM, 2008, 7-8, 1129),

la giurisprudenza maggioritaria è senz'altro orientata verso la sanzione dell'annullamento:

"nell'ambito dell'autonoma disciplina dell'invalidità delle deliberazioni dell'assemblea delle società per azioni - nella quale, con inversione dei principi comuni (art. 1418, 1441 c.c.), la regola generale è quella dell'annullabilità (art. 2377 c.c.) - la previsione della nullità è limitata ai soli casi, disciplinati dall'art. 2379 c.c., di impossibilità o illiceità dell'oggetto, che ricorrono quando il contenuto della deliberazione contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali, che trascendono l'interesse del singolo socio, risultando dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società. Deve pertanto escludersi che - operando una scissione tra "oggetto" e "contenuto" della delibera (il primo sottoposto alla disciplina di cui all'art. 2379 c.c., il secondo alle regole generali in tema di invalidità dei negozi giuridici) - possa dichiararsi la nullità di una deliberazione assembleare ai sensi degli art. 1324 e 1345 c.c., in quanto determinata da motivo illecito: rientrando tale ipotesi nella categoria dell'annullabilità di cui all'art. 2377 c.c. (con conseguente applicabilità del relativo regime in tema di legittimazione attiva e del termine di decadenza per l'esperimento dell'azione), la quale comprende qualunque altra inosservanza di norme inderogabili attinenti al procedimento di formazione della volontà dell'assemblea. (Sulla base dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto nulla la deliberazione assembleare con la quale una società per azioni aveva rinunciato a tutte le autorizzazioni rilasciatele ai fini dell'esercizio dell'attività assicurativa, in quanto determinata esclusivamente da un motivo illecito ex art. 1345 c.c., costituito dall'intento dei soci di sottrarsi, in presenza di una grave situazione di insolvenza e di irregolarità nella gestione, al provvedimento di revoca delle predette autorizzazioni ed alla già preannunciata procedura di liquidazione coatta amministrativa)" (Cass. civ., sez. I, 27.7.2005, n. 15721, GCM, 2005, 6).




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