Deboli, svantaggiati  -  Redazione P&D  -  28/03/2024

Sud-est di Caserta, poco prima di Natale, aula magna del campus universitario - P.C.

CONVEGNO SULLA TUTELA DEI MALATI PSICHICI.

 A M. il compito di svolgere la relazione introduttiva, di moderare poi la discussione.

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Era l’una e quaranta quando una ragazza, da metà sala, aveva chiesto la parola; all’invito a farsi avanti si era schermita; aveva accettato poi, si era alzata, uscendo dalla fila. Trascinava un po’ le gambe, si era avvicinata a fatica al leggio. Il microfono le era stato passato da un’assistente di sala. Aveva cominciato: “Non parlo bene, sono poco abituata; spero riusciate a seguirmi lo stesso”.

 Vestita di scuro, gonna alle caviglie; capelli bruni, lunghi fino alle spalle: “Ho sentito che siete contro l’interdizione; per questo ho chiesto di intervenire, - aveva cominciato, - sono d’accordo con voi, bisognerebbe cancellarla”. Le usciva a fatica la voce dalle labbra, doveva ripetere a volte; l’effetto era di raddoppiare l’attenzione in sala.

 “Mi chiamo Isabel, - si era schiarita la voce, - ho trentun anni; ne avevo diciannove quando sono stata interdetta. Soffrivo di disturbi in quel periodo, crisi epilettiche anche; i servizi sociali hanno fatto una segnalazione in procura, è stato nominato un perito: alla fine il tribunale ha deciso di togliermi la capacità”.

 Si sforzava di essere precisa: “A quel tempo l’amministrazione di sostegno non c’era, mancava un anno all’approvazione in Parlamento; i miei non si sono opposti, più di tanto non sapevano”. Era appoggiata al banco ora, col braccio destro, microfono nella sinistra: “Bene non stavo allora; vuoti di coscienza, attacchi strani, parlavo da sola: così da quando ho dodici anni, alti e bassi”.

Spuntava dalla sua maglia un avambraccio sottile, l’insieme era di una strana eleganza: un misto fra una religiosa e una modella. “A ventun anni, – aveva ripreso, - mi è successo di incontrare altri medici; hanno cambiato i farmaci, in pochi mesi sono migliorata. Il diploma delle superiori ero riuscita a prenderlo; ho deciso di iscrivermi all’università, biologia”. Un sorriso triste adesso: “Papà era anche il mio tutore, mi ha sempre sostenuto; la mamma non ce l’ho più”.

 Si era voltata a guardare il professore, aria di scusa, “Mi dica se sto parlando troppo“; M. aveva scosso la testa. “Mi sono laureata in tempo, - sembrava meno tesa, - ho fatto poi il biennio magistrale: nessun problema. Con la salute meglio, ogni tanto piccole crisi; difficoltà nelle cose pratiche, banche, condominio, a volte ostacoli che non riesco a evitare; non male l’insieme comunque”. Aveva spostato il cordless nell’altra mano: “Ho trovato lavoro più tardi, facilmente; un laboratorio farmaceutico, a metà strada verso Napoli. Non hanno fatto questioni: mio padre se l’è sbrigata lui, per il contratto di lavoro si era fatto aiutare. Da allora ho cominciato a vedere tutto in maniera diversa”.

Gola secca, M. aveva riempito d’acqua un bicchiere, si era alzato per porgerglielo; Isabel aveva afferrato il vetro con un po’ di sforzo, bevendo due sorsi.

“Tre anni fa, -, si sentiva ascoltata ora, - ho inoltrato domanda per farmi togliere l’incapacità; con la nuova legge può farlo anche un interdetto”. Di nuovo gli occhi sul pavimento: “Ha controfirmato mio padre, dalla mia parte anche stavolta. Si è sempre un po’ vergognato di questa storia; cioè non di me, dispiaciuto del codice. Non sapeva che avrei perso ogni diritto, con la tutela, quella volta”.

 Si avviava a concludere. “Non so come finirà, dicono che il tribunale è severo qui. Richieste come la mia sono state già respinte”. Sembrava incerta se aggiungere un’ultima cosa. “C’è un ragazzo vicino a me da un po’ di tempo, sentimentalmente; non viviamo insieme, chissà un giorno. Lui lo sa che un’interdetta non può sposarsi; può avere un bambino comunque, io so che sono in grado biologicamente, non è assurdo? Se una ha un lavoro poi “.

 Un’aggiunta per finire: “Chi manca anche del poco che ho io … interdire le persone è sbagliato. Non voglio più essere così; e non perché ho un’occupazione adesso, è umiliante l’etichetta proprio; vorrei non succedesse più a nessuno”.

Aveva deposto il microfono, era tornata al suo posto, occhi bassi; commozione in sala. M. non sapeva cosa aggiungere come moderatore: “Qualcosa faremo, - si era limitato a sussurrare, - adesso più che mai, anche per Isabel”.

 




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