Se la vittima di mobbing finisce in un perdurante stato di ansia o di timore allora si ricade nella fattispecie di stalking occupazionale. La sentenza della Cassazione
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Dal mobbing allo stalking occupazionale: la Cassazione è intervenuta con la sentenza n. 32770 del 21 agosto 2024 per definire i contorni degli atteggiamenti vessatori reiterati sul posto di lavoro. La Corte ha sottolineato che “il mobbing, quando esercitato con modalità vessatorie reiterate e idonee a determinare un perdurante stato di ansia o di timore nella vittima, può essere ricondotto alla fattispecie dello stalking“. Tale interpretazione offre nuove armi ai lavoratori vittime di atteggiamenti non appropriati da parte del datore di lavoro, di un superiore o di un collega.
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La Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sul caso di un docente universitario accusato di una serie di reati, tra i quali anche molestie sessuali sulle studentesse e abuso di autorità sugli specializzandi. Il docente ha messo in atto azioni sistematiche e prolungate travalicando, secondo le toghe, i confini del reato di mobbing: la Cassazione ha dunque ricondotto gli eventi allo stalking in ambito lavorativo, comunemente noto come stalking occupazionale.
Le azioni del docente sono state sistematiche e prolungate, creando un ambiente di lavoro ostile. Nello specifico, fra le condotte riscontrate in giudizio figurano la marginalizzazione professionale e l’adozione di atteggiamenti intimidatori e persecutori nei confronti degli specializzandi dissidenti.
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La Corte ha riconosciuto che il mobbing può configurarsi come “stalking occupazionale” quando comportamenti vessatori superano la normale conflittualità presente in un ambiente di lavoro e diventano un “accanimento psicologico” verso le vittime.