Episodi casuali possono spingere a riflessioni di natura sociale e conseguentemente giuridica. Se poi gli episodi, pur diversi nel loro genere, si replicano tali riflessioni appaiono dovute.
Cammino su un marcipiede in un giorno qualunque ed in lontananza vedo una fila di persone prossime a scegliere frutta e verdura che, per l'occasione, era stata offerta dal commerciante a prezzo "scontato". Fra le persone astanti anche una persona anziana che guardava la frutta esposta cercando di scegliere quella meno "rovinata" o più saporita. Transita su quel marciapiede una persona in bicicletta che, vedendo il gruppetto di persone, chiede permesso per poter passare. Certo molti si scostano ma non la donna anziana che, forse per un udito debole o per una sua distrazione, non percepisce la richiesta di permesso. L'uomo in bicicletta passa e con il pedale urta la gamba della persona anziana che percepisce subito il dolore. Niente di che, nessun grave infortunio o altro simile accadimento, una escoriazione poca cosa.
La donna anziana abbozza un richiamo, un rimprovero ma l'uomo in bicicletta la ferma subito con l'esclamazione " Ma io ho chiesto scusa!".
Altro giorno, altra quotidianità. Bambini in cortile che giocano. Alcuni di loro si arrampicano su un cancello pedonale facendolo dondolare con il loro peso come un'altalena. Un adulto, ivi transitando, li richiama e li rimprovera non solo per la preoccupazione che potessero farsi male ma anche per il danno che avrebbero potuto procurare al cancello che, a quanto pare, era già stato oggetto di diverse riparazioni. Uno dei bambini, senza alcun timore di rispondere, afferma "non mi importa tanto i miei genitori sono ricchi e possono pagare la riparazione".
Episodi diversi ma come non riflettere? Entrambi, a mio parere, presentano caratteri di antigiuridicità del fatto (nell'uno il transito procura un danno seppur di lievissima entità e nell'altro il comportamento può essere causa di un danno materiale) ma in entrambi gli "autori" legittimano il proprio comportamento, ritengono esistenti esimenti di responsabilità che, perdonate il gioco di parole, li deresponsabilizzano.
Evidente che tali episodi rappresentano uno spaccato della realtà di oggi ove l'illecito (civile ma non solo) è ritenuto giustificabile o giustificato da fattori o circostanze talvolta non codificate né regolamentate ma oramai ritenute "prassi".
La stessa percezione comune della lesività del fatto è indebolita: nel caso della persona anziana gli altri avventori non si sono minimamente preoccupati dell'accaduto e parimenti per la risposta del bambino che non ha scosso l'adulto che lo ha ascoltato.
Se oggi è prassi legittimare un comportamento cui consegue, ad esempio, una scusa pur banale quanto tempo trascorrerà finchè quella prassi diventi consuetudine in senso normativo? Quanto rileva ancora l'elemento soggettivo nella ricostruzione di un fatto e quale colpa? La risposta a tali domande, certamente varia secondo gli orientamenti dottrinari e giurisprudenziali, ma a me viene in mente la descrizione della colpevolezza compiuta dall'Antolisei: "la volontà colpevole, quindi, se formalmente è un comportamento antidoveroso del volere in quanto causa del fatto esterno, sostanzialmente è un'espressione di indisciplinatezza sociale"