Deboli, svantaggiati  -  Redazione P&D  -  22/08/2021

Save the children - Anna Berghella

Nel matrimonio la rottura del patto “finché morte non ci separi”, da parte di uno dei due coniugi, è un danno non risarcibile. Entro certi limiti, cioè se non implica una lesione di diritti costituzionalmente garantiti. E’ infatti diritto di ogni coniuge separarsi e poi divorziare, indipendentemente dal fatto che l’altro sia d’accordo o meno, prescindendo dai legami personali, economici e logistici che un rapporto coniugale ha creato negli anni.

Il sistema normativo a nostra disposizione, nato per una famiglia di tipo tradizionale anni ’70, moglie a casa con i figli e uomo al lavoro, si è rivelato nel tempo insufficiente a tutelare le persone, soprattutto nei tempi dilatati dell’applicazione degli strumenti di difesa dei diritti, e quindi ad ogni legislatura abbiamo subito riforme nel settore senza però conseguire con esse i frutti di un vero miglioramento.

E questo quadro di disattenzione normativa spesso favorisce comportamenti fuorvianti che le parti e, purtroppo, i loro avvocati, per assecondarne i desideri dei clienti, pongono in essere. Quello in cui spesso ci si imbatte è la strumentalizzazione della prole generata dalla coppia per intimidire l’altra parte, o anche per creare nell'altro, ispirati da spirito di vendetta, sofferenza, come impedirgli o ostacolare la frequentazione dei figli. Finisce così che gli ex coniugi, anziché sedersi intorno ad un tavolo per individuare la migliore strada per regolare senza traumi le condizioni della separazione o del divorzio, preferiscono avanzare richieste assurde, quasi sempre di ordine economico, esasperando il loro conflitto.

Essi finiscono con il dimenticare di essere genitori che, come tali, dovrebbero cercare al contrario di “normalizzare”  la situazione della loro separazione, evento già in sé traumatico per i figli.

E la condivisione dell'affido della prole ad entrambi i genitori, affido che presuppone il “pieno consenso di gestione” (Cass. Civ. 1777/2012), diventa così inattuabile ed esasperante.  

La guerra che ne discende è la tomba psichica dei figli, non certo la rivalsa del genitore.

Chi la suggerisce mettendo in campo artifici e raggiri, o almeno non ne dissuade l’attuazione, è complice di un gioco al massacro che colpisce direttamente e permanentemente i minori. Rien ne va plus.

I ricorsi ex art. 709 ter c.p.c.  su questioni di gestione quotidiana, gli accessi con le forze dell’ordine, le perizie strumentali sulle capacità genitoriali restano metodi  che nulla posso restituire se non acuire l’acredine tra le parti, la distruzione del rapporto effettivo dei figli con ambedue i genitori e un disequilibrio altalenante che durerà anni.

Prima ancora che ricorrere a strumenti di mediazione familiare o di coordinazione genitoriale, la trattativa intelligente e possibile va fatta nello studio dell’avvocato per evitare, senza deroghe, ogni pregiudizio per i figli. Prima dell’assegno va proposto un piano genitoriale, prima dell’assegnazione della casa vanno letti i diritti dei figli così come individuati dall’Autorità Garante per l’Infanzia nella “Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori”. Prima ancora vanno aggiornate la parti sul significato della responsabilità genitoriale che non è più patria potestà ma responsabilità piena e concreta.

Il mondo si evolve e la nostra professione deve seguire le linee europee soprattutto riguardo all’interesse del minore che deve essere effettivo e non sterile enunciazione di principio.




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