-  Gasparre Annalisa  -  03/11/2012

SANITA E RIFIUTO DI ATTI DUFFICIO - Cass. pen. 39745/2012 – Annalisa GASPARRE

SANITA' E RIFIUTO DI ATTI D'UFFICIO. A MARGINE DELLA SENTENZA CASS. PEN. 39745/2012 – Annalisa GASPARRE

Rifiuto di atti d'ufficio per ragioni di sanità: irrilevante il giudizio sulla colpa medica

1. Premessa. 2. Il delitto di rifiuto di atti d'ufficio in breve. 3. Elemento oggettivo: rifiuto anche con semplice inerzia. 4. Elemento soggettivo: nessuna indagine di responsabilità medica. 5. La sentenza Cass. pen. sez. VI n. 39745 del 27 settembre 2012 dep. 8 ottobre 2012. 6. Casistica a confronto. Per un approfondimento sul merito.

1. Premessa

Molti sono i reati che possono commettersi in ambito medico-sanitario. Dai più noti, quale l'omicidio e le lesioni colpose, l'esercizio abusivo della professione medico-sanitaria, il falso ideologico, l'abuso d'ufficio, (addirittura) il sequestro di persona (vedi, "MORIRE DI CURE, su questo sito http://personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=40703&catid=236&Itemid=481&contentid=0&mese=10&anno=2012), per arrivare ad un delitto con caratteristiche omissive, qual è il rifiuto di atti d'ufficio, previsto e punito dall'art. 328 c.p.

Soggetto attivo del reato non può essere "chiunque", bensì solo un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio. Il reato appartiene al novero dei delitti contro la pubblica amministrazione e, nello specifico, dei delitti commessi dai pubblici ufficiali (o soggetti equiparati). Per questa riconducibilità ad una categoria specifica di soggetti agenti, una diffusa terminologia utilizza l'espressione di "reato proprio".

Tra questi soggetti spiccano quelli che compiono (rectius: dovrebbero compiere) atti per "ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità". Quest'ultima è la ragione a fondamento dell'imputazione con cui la sentenza annotata confermava la condanna pronunciata dai giudici di merito nei confronti dell'imputata, un medico cardiologo, che si era ingiustificatamente rifiutata di effettuare una consulenza cardiologica urgente sul paziente ricoverato nel reparto di chirurgia maxillo facciale della medesima struttura ospedaliera.

2. Il delitto di rifiuto di atti d'ufficio in breve

La fattispecie è costruita in termini di omissione di atto d'ufficio, al quale il soggetto agente sarebbe tenuto in forza dell'ufficio ricoperto, da cui derivano specifici obblighi motivati da ragioni di giustizia, sicurezza o ordine pubblico, igiene o sanità. L'interesse (o bene giuridico) tutelato dalla norma incriminatrice è quello al corretto svolgimento della funzione pubblica.

Il primo comma sanziona la condotta del soggetto che indebitamente rifiuti un atto del proprio ufficio che deve essere compiuto senza ritardo, quando vi siano le ragioni summenzionate. Il comma successivo estende la punibilità ai casi, diversi da quelli del primo comma, in cui il soggetto, in presenza di una richiesta avanzata da chi vi abbia interesse, non compie l'atto e non risponde per esporre le ragioni del ritardo.

La fattispecie di cui al primo comma costituisce un reato di pericolo che, indipendentemente dall'avverarsi di un nocumento in concreto, si perfeziona con il semplice diniego di un atto non ritardabile, tale da incidere, in astratto, su beni di rilevanza primaria quali la giustizia, la sicurezza o l'ordine pubblico, l'igiene o la sanità (Cass. pen. sez. VI, 19 marzo 2009 n. 12147), il che significa che il (buon) esito concreto dell'omissione non assume alcun peso nel giudizio di impunità.

3. Elemento oggettivo: rifiuto anche con semplice inerzia

Il "rifiuto" – fulcro della condotta omissiva – si configura non solo in risposta ad un ordine o ad una richiesta espressa ma anche quando vi sia un'urgenza sostanziale che si impone alla realizzazione dell'atto, di talché anche la semplice "inerzia" di chi sia tenuto a compiere l'atto assume la valenza di rifiuto, al quale è parificata (Cass. pen. sez VI, 13 marzo-22 maggio 2006 n. 17570). Quel che rileva è la situazione d'urgenza, non una richiesta o un ordine espresso (Cass. pen. sez. IV, sentenza n. 17069/2012), né procedure burocratiche o formalità.

4. Elemento soggettivo: nessuna indagine di responsabilità medica

L'elemento soggettivo deve essere accertato avuto riguardo alla natura di delitto doloso, e cioè verificando la sola consapevolezza del contegno omissivo: valutazioni che sconfinano nel campo della responsabilità/colpa sanitaria sono fuori dal campo di indagine dell'elemento psicologico del reato. L'unico aspetto rilevante e meritorio di verifica è quello circa la consapevolezza del soggetto riguardo alla circostanza che il contegno assunto è omissivo (e, dunque, illecito) perché in violazione di quanto sarebbe tenuto a compiere.

5. La sentenza Cass. pen. sez. VI n. 39745 del 27 settembre 2012 dep. 8 ottobre 2012

L'imputata, medico cardiologo, era stata contattata telefonicamente da parte del medico rianimatore che aveva descritto le condizioni di salute in cui si trovava il paziente: dati che, a giudizio del cardiologo, non erano indicativi della necessità di un intervento urgente.

Nonostante i ripetuti solleciti a visitare il paziente, anche dopo l'aggravarsi delle condizioni cliniche che ne rendevano più urgente un intervento specialistico, l'imputata continuava a rifiutarsi di espletare quanto le veniva richiesto dai colleghi. A ciò deve aggiungersi che le richieste pervenivano telefonicamente e che l'unico modo per decidere sulla opportunità della consulenza cardiologica era la visita diretta del paziente, anziché una valutazione "a distanza" e "mediata", tramite colleghi medici, specialisti in altro campo.

6. Casistica a confronto. Per un approfondimento sul merito.

In materia, si registra una pronuncia apparentemente di senso contrario (Cass. pen. sez. VI, 29 settembre 2005 n. 35035) che ha affermato come il reato de quo si perfezioni solo quando sia comprovato che l'urgenza prospettata fosse effettiva e reale (nella specie si trattava di un sanitario addetto al servizio di guardia medica che non aderiva alla richiesta di intervento rifiutandosi di recarsi alla casa di riposo dove vi erano due anziani pazienti in stato di iperpiressia, limitandosi a prescrivere telefonicamente un antibiotico).

Sempre nel settore sanitario, altrove si è sottolineato che il rifiuto del medico di base di visitare a domicilio una paziente, in cura da anni per la patologia premestruale da cui era affetta, non costituisce reato ex art. 328 c.p. perché a mancare è l'elemento soggettivo, cioè il dolo che qualifica il rifiuto sic et simpliciter (così, Cass. pen. sez. VI, 18 settembre 2008 n. 35857).

E ancora, si confronti con la sentenza – sempre in ambito sanitario – che ha affermato che non tutti i rifiuti di ricovero ospedaliero da parte del medico di turno integrano la fattispecie penale, ma soltanto quelle indifferibili, vale a dire i casi in cui l'urgenza del ricovero sia effettiva e reale, perché effettivo e reale è il pericolo di derive dannose alla salute della persona, valutabile in base alle indicazioni fornite dall'esperienza medico-scientifica e rapportate al caso concreto (Cass. pen. sez. VI, 3 dicembre 2009 n. 46512).

Laddove la richiesta di intervento provenga da un medico, cioè soggetto qualificato, è stato affermato che il medico richiesto di intervenire non ha potere di sindacare "a distanza la necessità e l'urgenza della chiamata" (Cass. pen. sez. VI, sent. n. 48379/2008).

In verità, al di là dell'esito dei procedimenti indicati, per quanto attiene ai principi di diritto enunciati, la pronuncia annotata non si scosta rispetto alla giurisprudenza precedente. La sentenza coglie nel senso di imporre una riflessione sulla "sostanza" del rifiuto, escludendo ogni automatismo.

E infatti, oltre a riscontrare il rifiuto/omissione, occorre prestare debita attenzione alla connotazione che tale rifiuto deve avere: non essere giustificato ("indebitamente" è l'avverbio utilizzato dal legislatore). Una conferma sistematica – identica essendo la ratio legis – è quella che si trova nel secondo comma dell'art. 328 c.p., laddove si evidenzia la possibilità per il pubblico ufficiale (o incarico di pubblico servizio) di motivare le ragioni del rifiuto o del ritardo (e dunque l'esigenza che per assurgere a condotta degna di incriminazione, quello del rifiuto, o inerzia, sia contegno privo di giustificazione, quindi contra jus).

Da quanto premesso segue che l'indagine deve spostarsi sulla distinzione tra rifiuto/omissione giustificata o indebita: giustificato – secondo le pronunce della Suprema Corte – è il rifiuto del medico di base di effettuare visita a domicilio, quando la telefonata concerne una sintomatologia riconducibile a quelle della nota sindrome patita e curata da anni, oppure il medico di guardia che prescrive un antibiotico per telefono per curare la febbre alta; da valutare è il rifiuto di ricovero ospedaliero secondo i canoni della indifferibilità, non essendo automaticamente ogni mancato ricovero elemento integrante il reato in parola.

E infatti la nota dolente della fattispecie è la locuzione "senza ritardo" o "urgente" o "indifferibile" (come si esprime la giurisprudenza).

Per sciogliere questo punto non può che farsi riferimento al vaglio discrezionale compiuto storicamente dall'agente, unitamente però agli altri elementi concreti emersi in istruttoria, così da aver un quadro che possa far emergere aspetti che, complessivamente valutati, siano tali da deporre in senso difforme alle valutazioni effettuate dal pubblico ufficiale e che – discrezionalmente e consapevolmente – lo hanno portato a rifiutare/omettere l'atto del proprio ufficio (dovuto o richiesto).

È intuibile come ancora più difficile sia questo giudizio laddove – come nel caso in questione – si cammini sul terreno impervio delle scienze mediche, ambito in cui "il giudice può valutare l'esercizio della discrezionalità tecnica opposta dal sanitario a giustificazione del suo comportamento" (Cass. pen. sez. VI, sent. 35526/2011).

Tornando al caso del medico cardiologo la cui condanna è stata confermata con la sentenza annotata, si è sottolineato come una adeguata valutazione sulla necessità di consulenza cardiologica poteva essere effettuata solo dopo aver visitato il paziente: l'omessa ingiustificata visita integrava l'elemento oggettivo del reato ex art. 328 co. 1 c.p., soprattutto avuto riguardo al fatto che vi era stata una richiesta da parte di altro sanitario della medesima struttura, richiesta sollecitata via via che la situazione del paziente si aggravava.

 Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 settembre - 8 ottobre 2012, n. 39745
Presidente Agrò – Relatore Gramendola

Fatto e diritto

Con sentenza in data 5/4/2011 la Corte di Appello di Palermo confermava la decisione in data 3/12/2009, appellata dall'imputata, con la quale il G.I.P. in sede, a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato L.P.L. alla pena sospesa di mesi sei di reclusione, siccome ritenuto. colpevole del reato di rifiuto di atti di ufficio ex art. 328/1 cp. - perché quale medico di turno nel reparto cardiologia dell'Ospedale (omissis) si era rifiutata di effettuare ingiustificatamente una consulenza cardiologia urgente sul paziente A..V. , ricoverato nel reparto di chirurgia maxillo facciale della medesima struttura.

Contro tale decisione ricorre l'imputata a mezzo del suo difensore, che a sostegno della richiesta di annullamento articola tre motivi.

Con il primo motivo eccepisce la nullità del decreto di citazione per il giudizio di appello, la cui notifica, era avvenuta ai sensi dell'art. 161/4 cpp presso il difensore di fiducia avv. Fausto Maria Amato, dopo che era fallita la notifica disposta presso il reparto di cardiologia dell'Ospedale di (...), nonostante che la ricorrente in data 14/6/2006 avesse eletto domicilio presso lo studio del difensore di fiducia dell'epoca avv. Vincenzo Lo Re, revocando la precedente dichiarazione presso l'Ospedale (...), riguardante peraltro il diverso procedimento penale per omicidio colposo, del quale il presente costituiva uno stralcio.

Con il secondo motivo denuncia la violazione della legge penale e processuale e il vizio di motivazione in riferimento: 1) alla sussistenza degli elementi costituivi del reato, sostenendo che la ricostruzione della condotta dell'imputata, operata dai giudici del merito non corrispondeva alla realtà, essendo state inspiegabilmente disattese le giustificazioni rese dall'imputata.
la quale non ritenne di aderire all'invito di recarsi a visitare il paziente, dal momento che le condizioni di salute a lei riferite per telefono dalla collega B. , medico rianimatore, non rendevano necessaria a suo giudizio la consulenza cardiologia, tenuto conto che le erano stati prospettati un semplice calo pressorio e dati anamnestici e clinici incompleti e non significativi della necessità di un intervento urgente; 2) allo scarso rigore con cui erano state valutate le testimonianze assunte ed in particolare, quella della B. , le cui dichiarazioni, rese quale persona anch'essa coinvolta nel procedimento, poi archiviato, teso a verificare se il successivo decesso del V. fosse dovuto a colpa professionale, provenendo da soggetto indagato per reato collegato necessitavano di riscontri e dovevano essere valutate con estremo rigore, 3) alla sussistenza di un obbligo giuridico, gravante sull'imputata di effettuare la consulenza specialistica, richiesta da altro sanitario e della fonte normativa, dal quale esso scaturiva. Con il terzo motivo lamenta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che il giudice del gravame aveva negato senza indicare la ragione, e limitandosi a richiamare semplicemente la gravità del fatto e il contegno dell'imputata.

Il ricorso non ha fondamento e va rigettato.

Non coglie nel segno la censura di cui al primo motivo, che pone in discussione il principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte a mente della quale la notificazione del decreto di citazione in giudizio con consegna di copia al difensore di fiducia ex art.161/4 cpp., invece che presso il domicilio eletto o dichiarato, da luogo ad una nullità a regime intermedio, che deve ritenersi sanata, quando risulti provato che non ha impedito all'imputato di conoscere l'esistenza dell'atto, ed è comunque priva di effetti, se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all'art.184/1, alle sanzioni generali di cui all'art.183, alle regole di deducibilità di cui all'art.182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all'art.180 c.p.p..
Nel caso in esame all'udienza dibattimentale del giudizio di appello era presente il difensore di fiducia, che nulla ha eccepito al riguardo.

Infondate sono le censure in diritto formulate con il secondo motivo.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che il reato di rifiuto di atti di ufficio è un reato di pericolo, onde la violazione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice al corretto svolgimento della funzione pubblica ricorre ogniqualvolta venga denegato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze prese in considerazione e protette dall'ordinamento, prescindendosi dal concreto esito della omissione (ex plurimis Cass. Sez. VI 23/3-18/4/1997 n. 3599 Rv. 207545).

Quanto all'elemento oggettivo, è stato affermato che il rifiuto si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un'urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell'atto in modo tale che l'inerzia del pubblico ufficiale assuma la valenza di rifiuto dell'atto medesimo, tanto che esso non è integrato solo nell'ipotesi, in cui l'atto, pur rispondendo alle ragioni indicate dalla norma incriminatrice, non riveste carattere di indifferibilità e doverosità (Cass. Sez. VI 13/3-22/5/2006 n. 17570 Rv. 2338 58; 11/2-5/5/1999 n.55 96 Rv.213899).

Quanto all'elemento soggettivo, va osservato che il rifiuto di atti professionali, dovuti - come nel caso in esame - per ragioni sanitarie, deve essere verificato, avendo riguardo alla sua natura di delitto doloso, ossia alla consapevolezza del contegno omissivo, senza tracimare in violazioni sulla colpa professionale sanitaria, che esula dalla struttura psicologica del reato Cass. Sez. VI 6/12/95-9/2/96 n. 1602 Rv. 204468).

Orbene nella fattispecie in esame i giudici del gravame in sintonia con gli enunciati principi hanno correttamente esaminato e valutato le emergenze processuali alla stregua dei rilievi e delle censure formulate nell'atto di appello e sono pervenuti alla conferma del giudizio di colpevolezza con puntuale e adeguato apparato argomentativo, ritenendo anzitutto estraneo al giudizio sulla condotta dell'imputata la circostanza che il paziente fosse poi deceduto in circostanze diverse da quelle per le quali era stato richiesto l'intervento specialistico dell'imputata, e valorizzando poi la cartella clinica redatta dal Dott. R. , la relazione di servizio della Dott. F. , e le concordi deposizioni del Dott. F. e della Dott.ssa B. , che dimostravano in maniera inconfutabile che la Dott.ssa L.P. , pur essendo stata più volte sollecitata a visitare il paziente V.A. , e anche dopo essere stata informata dal Dott. F. dell'aggravarsi delle condizioni cliniche del paziente, che rendevano ancora più urgente il suo intervento, continuò a rifiutarsi di espletare quanto le veniva richiesto. Né a scagionare l'imputata può valere l'argomento difensivo della discrezionalità della consulenza cardiologica, dal momento che la relativa richiesta le pervenne per via telefonica e l'unico modo per decidere sulla convenienza di essa era la visita diretta del paziente. Le altre censure, nonché la censura di cui al terzo motivo mirano solo a sollecitare un nuovo e diverso apprezzamento di merito in ordine alla credibilità dei testi escussi e al diniego della attenuanti generiche, cha la corte territoriale ha ampiamente giustificato con argomenti immuni da vizi logici o interne contraddizioni e come tali non censurabili in sede di scrutinio di legittimità.

Segue al rigetto del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.




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