Cultura, società  -  Redazione P&D  -  01/09/2024

Replica alla replica del professor Francesco Gazzoni - Francesco Lupia

Replica alla replica del professor Francesco Gazzoni

Sulla rivista Persona & Danno del mese di agosto appare improvvisamente la replica del professor Francesco Gazzoni a quella che a suo avviso è “una bagarre giornalistica e politica” che lo ha travolto semplicemente per aver “esposto nel mio Manuale di diritto privato i pericoli che derivano da taluni aspetti critici della magistratura”.

Il professore si difende con uno scritto articolato, composto da una miscellanea di argomentazioni, di cui alcune di sapore vagamente retorico ed altre di natura asseritamente scientifica.

Personalmente ho trovato piuttosto divertente il tentativo di difendere l’indifendibile.

Tuttavia, in qualità di giurista prima che di magistrato, mi è sembrato opportuno fornire una controreplica.

Sinora i miei colleghi si sono infatti limitati a brevi commenti.

In questo intervento vorrei invece spingermi oltre, analizzando punto per punto le motivazioni esplicitate dal professor Francesco Gazzoni, al fine di vagliarne la tenuta epistemologica (nell’accezione etimologica del termine, da ἐπιστήμη, composto dalla preposizione epì-, cioè «su», + il verbo ἵστημι, histemi, che significa «stare»).

Tenterò dunque di verificare se il discorso del professore “sta su” o se invece è destinato a franare innanzi ad un vaglio critico effettuato tramite principi di logica e mediante l’applicazione del metodo scientifico.

So che quest’ultimo è molto caro a Francesco Gazzoni, pertanto mi auguro che non me ne vorrà se anch’io ne farò utilizzo.

L’approccio più corretto mi pare quello di esaminare ogni singola argomentazione espressa dal professore, passandola poi sotto la lente di ingrandimento.

Riporterò dunque spesso i passaggi del suo intervento (in virgolettato), per commentarli successivamente.

1) “Nell'Introduzione al Manuale di diritto privato del 2007 avevo rappresentato un quadro critico  della magistratura, da più punti di vista. Quando ho poi curato l'edizione del 2024 (a distanza quindi di ben diciassette anni) nel contesto della parte sull'interpretazione della legge, in cui mi sono dovuto necessariamente occupare dei giudici, del c.d. "diritto vivente", del loro potere discrezionale, a mio avviso estremamente pericoloso, per motivi che ho esposto con numerosi richiami, ho ritenuto opportuno riproporre nel testo, alla p. 51, alcune delle criticità già rese note pubblicamente nella predetta Introduzione… Trattandosi di una riproposizione, tutto mi sarei aspettato meno che essa sarebbe stata considerata dai magistrati non solo una novità, ma del tutto sorprendente, dopo diciassette anni.

Senza dubbio la lettura dell'Introduzione di un testo è facoltativa, ma è irreale l'ipotesi che nessuno, ma proprio nessuno dei candidati al concorso in magistratura che aveva studiato sul mio testo a far tempo dal 2007 e nelle successive sette edizioni, ove essa era riportata, l'avesse letta e non ne avesse parlato con i colleghi… In Terzultima fermata un commentatore informato ha scritto che "la magistratura ha “scoperto” Gazzoni solo ora e questo aspetto meriterebbe di essere approfondito. Sembrerebbe che Gazzoni non abbia certo aspettato la ventunesima edizione del suo manuale per criticare la magistratura. Perché si è aspettato l’agosto 2024 per reagire?”.

Volendo riassumere al massimo la prima difesa del professore, sembra che egli voglia sottolineare la strumentalità delle contestazioni che gli sono state rivolte, in quanto emerse molti anni dopo il momento in cui ha reso pubblico il proprio pensiero sulla magistratura all’interno del suo manuale.

L’argomentazione è suggestiva. Vediamo se è anche valida.

La prima obiezione che mi viene da sollevare è questa: esattamente a cosa sarebbero strumentali le contestazioni sollevate contro i passaggi del manuale “incriminati” da diversi magistrati, accademici, giornalisti e politici?

Qual è cioè il fine effettivamente perseguito da questa moltitudine di intellettuali nel palesare il proprio sdegno solo nel 2024 e solo all’alba della pubblicazione dell’ultima edizione del manuale?

Il professore non ce lo dice. 

Lo scopo, il fine, li lascia lì, all’immaginazione del lettore.

Forse un complotto contro il buon accademico? Forse un sottile stratagemma per far spazio tra i banchi delle università a nuovi testi? Forse un intervento dei poteri forti? Sono tornati i Catilinari? 

Ed in effetti sembra alludere a questi scenari il professore quando, poche righe dopo, scrive “È evidente il non detto del desiderio di bruciare il vituperato, odioso testo, usando magari il lanciafiamme come per i libri in Fahrenheit 451”.

La tesi del complotto contro Gazzoni è affascinante, non lo nego.

Resta però che l’autore ha 82 anni, è in pensione ed il suo testo non è esattamente quello più adoperato dai professori universitari nei propri corsi di diritto privato.

Tanto per restare nell’ambito della stessa università in cui insegnò (La Sapienza), è possibile rilevare come il prof. Vincenzo Barba adotti il P. Perlingieri, Manuale di diritto civile, la professoressa Giuseppina  Capaldo il A. Torrente – P. Schlesinger, Manuale di diritto privato e il prof. Massimo Zaccheo il Nivarra, Ricciuto, Scognamiglio, Diritto privato o il Torrente, Schlesinger, Manuale di diritto privato.

Anche spostandoci presso l’università di Tor Vergata le cose non vanno meglio.

Il prof. Vincenzo Ricciuto suggerisce agli studenti il L. Nivarra – V. Ricciuto – C. Scognamiglio, Diritto privato, mentre a Roma Tre primeggia il Mazzamuto, Manuale del diritto privato.

Uhm, il mistero si infittisce.

Sembra che la tesi del complotto trasversale per eliminare dal mercato il testo di Gazzoni non regga molto, visto che di fatto è già poco utilizzato.

Ma forse il professore intendeva riferirsi al mercato dei corsi post universitari, finalizzati alla preparazione del concorso in  magistratura o dell’esame di abilitazione alla professione forense.

Vediamo.

In verità una rapida occhiata ai primi (per lo più tenuti da Consiglieri di Stato) rivela come ogni Consigliere suggerisca come testi di preparazione quelli a sua firma. Nessuna menzione del Gazzoni.

La musica non cambia per i secondi.

Addio alla tesi del complotto.

C’è poi una piccola tirata di orecchie che Francesco Gazzoni muove ai magistrati. 

Rileva l’autore infatti come una parte delle opinioni oggetto di accusa fossero già inserite “Nell'Introduzione al Manuale di diritto privato del 2007…Senza dubbio la lettura dell'Introduzione di un testo è facoltativa, ma è irreale l'ipotesi che nessuno, ma proprio nessuno dei candidati al concorso in magistratura che aveva studiato sul mio testo a far tempo dal 2007 e nelle successive sette edizioni, ove essa era riportata, l'avesse letta e non ne avesse parlato con i colleghi…”.

Ammetto che è qui che ho iniziato a trovare la cosa davvero divertente.

Il primo scenario che mi viene in mente è quello dello studente universitario che, dovendo affrontare l’esame di diritto privato, si soffermi sull’introduzione di un manuale (per giunta piuttosto voluminoso come quello di Gazzoni).

Siamo già nel campo dello statisticamente improbabile.

E anche laddove ciò accadesse, difficilmente avrebbe la maturità culturale, la volontà e lo spirito critico per  avvertire e segnalare la distorsione presente nei passaggi oggetto di contestazioni.

Ma forse Gazzoni voleva riferirsi solo agli aspiranti magistrati, che riprendano in mano il testo universitario per affrontare il concorso.

Al di là della circostanza, già evidenziata, che per preparare il concorso in magistratura il manuale del professore non è esattamente quello più in uso, posso aggiungere che, in quella particolare fase della propria vita, ci si focalizza pienamente sul raggiungimento del risultato. La propria concentrazione è totalmente attratta dall’apprendimento del diritto in una dimensione nuova e diversa da quella acquisita durante gli studi universitari: lettura di sentenze, di note a sentenza, di articoli, di monografie e di trattati.

Insomma, non ce ne voglia il professore se, mentre siamo completamente assorbiti dall’impegno richiesto per superare uno dei concorsi più difficili per un laureato in giurisprudenza, non indulgiamo sulle prefazioni del suo manuale.

Ma ipotizziamo, anche se è poco probabile, che qualcuno di noi dovesse averlo fatto.

Dopo la vittoria del concorso, dopo lo sforzo immane richiesto per sostenere lo scritto e l’orale, stremato e felice, il nostro neo-magistrato esattamente cosa avrebbe dovuto fare secondo Gazzoni?

Correre all’ANM sventolando la prefazione del manuale per segnalare l’inappropriatezza di alcuni contenuti?

Ora, io posso comprendere che nell’immaginazione di Gazzoni questi scenari, totalmente irreali, possano aver assunto la consistenza del possibile, anzi, del probabile.

D’altronde lui un concorso che prevede tre prove scritte aventi ad oggetto le tre le più vaste aree del diritto ed una prova orale che impegna il candidato in ben 17 materie non lo ha mai dovuto sostenere.

Quindi non ha idea di cosa si possa provare, né del tipo di studio richiesto.

2) Giungiamo così ad un altro passaggio del nostro caro manuale “I magistrati entrano in ruolo in base ad un mero concorso per laureati in giurisprudenza”.

Eh?

Un mero concorso per laureati in giurisprudenza?

Forse è il caso di rammentare al professore come fino a poco tempo fa il reclutamento del corpo docente universitario avveniva per mezzo di un concorso pubblico per titoli e prove (una scritta ed una orale, se non erro), vertenti su un numero di materie giuridiche così ristretto da rendere il confronto con quello proprio del concorso in magistratura imbarazzante.

Anche oggi la situazione non risulta molto diversa, trattandosi pur sempre di un’abilitazione (ottenuta tramite una valutazione di idoneità per titoli), seguita da un bando universitario che normalmente prevede una prova solo per titoli.

Per non parlare delle voci non esattamente lusinghiere che circolavano (e circolano) sulla trasparenza di tali selezioni ( a titolo esemplificativo si veda Storia della cooptazione universitaria, di Giulio Palermo, o  Processo all'università, così parlano i baroni: "Ci scegliamo i vincitori e poi scriviamo i bandi" , articolo del 29 Maggio 2022, reperibile su Processo all'università, così parlano i baroni: "Ci scegliamo i vincitori e poi scriviamo i bandi" - la Repubblica).

Ma lasciamo andare i casi particolari e le opinioni altrui, che non appartengono al metodo scientifico.

Sono certo che su questo il professore concorderà.

O forse no.

Scopriamolo passando al punto successivo.

3) Torniamo alle parole di Gazzoni “Accertato quindi che a tutti i livelli coloro i quali si sono scagliati contro di me hanno omesso sistematicamente di consultare o almeno di riferire le fonti da me citate, vediamo come stanno davvero le cose.

Quanto ai giudici "non di rado" psicolabili ho espressamente scritto, indicando la fonte, che l'espressione non è mia, ma è in un libro del giudice Mario Garavelli, non uno qualunque, ma un giudice dalla carriera importante, anche di alta dirigenza, riferita nel sito dell'Università di Basilea…. Modestamente mi considero un uomo di scienza e quindi parlo in prima persona solo di quel che conosco o che ho studiato personalmente, altrimenti mi affido agli scritti di terzi, se particolarmente qualificati e il giudice Garavelli senza alcun dubbio lo era. Io, dunque, non ho detto, ma ho riferito che i giudici sono "non di rado psicolabili", cioè a dire "squilibrati in numero impressionante", come scrive Garavelli.”

Comincio a nutrire il sospetto che io e Gazzoni abbiamo due concezioni diverse della definizione di “uomo di scienza”.

A mio avviso l’uomo di scienza è quello che fa utilizzo del metodo scientifico.

Facciamo così, io mi attengo alla definizione della Treccani: “Il metodo scientifico, quindi, si basa sull’osservazione e sulla sperimentazione, sulla misura, sulla produzione di risultati per generalizzazione (induzione) e sulla conferma di tali risultati attraverso un certo numero di verifiche”.

Dunque, semplificando, il metodo scientifico esige in primo luogo l’osservazione di una moltitudine di casi concreti, la formulazione di un’ipotesi per induzione e la verifica della stessa tramite una serie esperimenti che ne confermino o meno la validità.

Ritengo allora che sostenere una tesi (i giudici "non di rado" psicolabili) sul presupposto che essa è stata formulata da un altro soggetto, seppure ritenuto autorevole (almeno secondo Gazzoni), non sia sufficiente a validarla.

Ma magari sbaglio io, eh?

A me pare più una sorta di ipse dixit, classico argomento retorico, unanimemente riconosciuto come una fallacia logica.

Se almeno la fonte citata da Gazzoni avesse riportato delle statistiche o dei riscontri oggettivi, forse l’operazione intellettuale sarebbe stata anche ammissibile.

Ma non mi pare che l’ex collega Garavelli nel suo testo si sia fatto carico di documentare le proprie asserzioni.

Pertanto la validità delle stesse si fonda esclusivamente su una  circostanza fattuale  dalla quale Gazzoni  trae una falsa deduzione.

 La prima è rappresentata dall’essere stato Garavelli un magistrato ordinario (circostanza non contestata).

La seconda  è che pertanto (deduzione) egli conosca perfettamente sotto il profilo psicologico la gran parte dei magistrati, tanto da poter scrivere “Gli squilibrati sono in numero preoccupante, se come tali intendiamo non i pazzi dichiarati, ma quelli che, passando per i vari gradi dell’alterazione psichica, vedono compromesso il loro equilibrio nel giudicare e nell’agire, che in questo lavoro è la cosa più preziosa”.

Ebbene non vi è alcun sillogismo tra l’essere parte di un gruppo (per giunta assai numeroso, come quello dei magistrati) e conoscere la psiche dei singoli componenti di quel gruppo.

Dunque, riassumendo, per Gazzoni se un appartenente ad una categoria esprime una tesi sulla propria categoria (o su un’ampia parte di questa), essa può ben dirsi scientificamente dimostrata.

Uhm.

Non so perché, ma non sono convinto.

Quindi se io, che sono un magistrato, oggi affermo che i miei colleghi sono tutti mentalmente stabili ed eccellenti, questa affermazione vale come prova scientifica della sanità mentale e della professionalità di ogni singolo magistrato?

Dunque mi troverò citato come fonte nella prossima edizione del manuale di Gazzoni?

Temo di no.

Perché Gazzoni scrive in effetti “se particolarmente qualificati e il giudice Garavelli senza alcun dubbio lo era”.

E forse io per Gazzoni non sono (“senza alcun dubbio”,si badi bene) particolarmente qualificato.

Peccato. Ci tenevo a comparire nel manuale.

Però magari il Primo Presidente della Corte di Cassazione Margherita Cassano lo è.

Anche perché, se non lo è lei, non so immaginare chi altri lo sia.

Ed il Primo Presidente ha espresso chiaramente la sua opinione ““Siamo di fronte a una delegittimazione dell’intera magistratura, perché in quelle pagine si afferma che i giudici appartengono alla categoria degli psicolabili. Per me questo è un grande profilo di allarme, perché si abituano gli studenti a non rispettare gli organi previsti dalla Costituzione, utilizzando generalizzazioni prive di ogni fondamento” (estratto da La giudice Cassano sul nuovo manuale di diritto privato Gazzoni: "Studenti non possono formarsi su quel testo" - la Repubblica).

Demolita anche questa argomentazione del professore, passiamo a quelle successive.

4) Ritorniamo alle parole di Gazzoni “Io, dunque, non ho detto, ma ho riferito che i giudici sono "non di rado psicolabili", cioè a dire "squilibrati in numero impressionante", come scrive Garavelli. Perchè non se ne deve scrivere, nella parte di un Manuale dedicata al ruolo del giudice nell'interpretazione della legge, con una censura volta ad ingannare il lettore, tacendo che per i magistrati esiste il problema di assicurare il loro equilibrio mentale, mediante test psicoattitudinali?”.

Qui Gazzoni pone ai suoi lettori una domanda.

Azzardo una risposta.

Anzi due.

Perché non è vero e perché non c’entra assolutamente nulla con la tematica dell’interpretazione giurisprudenziale della legge.

E’ un’informazione che, oltre a non essere veritiera, non è strumentale a fornire allo studente alcuna nozione utile per comprendere i criteri di interpretazione della legge.

E se non è strumentale a tale scopo, allora è strumentale ad un altro scopo: delegittimare la magistratura davanti agli studenti.

Un’ipotesi confermata indirettamente dalla contraddittorietà del pensiero del professore (inferibile da un passaggio in parte già richiamato) “Senza dubbio la lettura dell'Introduzione di un testo è facoltativa, ma è irreale l'ipotesi che nessuno, ma proprio nessuno dei candidati al concorso in magistratura che aveva studiato sul mio testo a far tempo dal 2007 e nelle successive sette edizioni, ove essa era riportata, l'avesse letta e non ne avesse parlato con i colleghi. Il mio quadro  critico della magistratura era del resto, in un certo ambiente (avvocati, oltre che magistrati), un fatto notorio, anche per le mie Note a sentenza molto polemiche. Quando ho poi curato l'edizione del 2024 (a distanza quindi di ben diciassette anni) nel contesto della parte sull'interpretazione della legge, in cui mi sono dovuto necessariamente occupare dei giudici, del c.d. "diritto vivente", del loro potere discrezionale, a mio avviso estremamente pericoloso, per motivi che ho esposto con numerosi richiami, ho ritenuto opportuno riproporre nel testo, alla p. 51, alcune delle criticità già rese note pubblicamente nella predetta Introduzione”.

Mi sfugge qualcosa.

Al di là delle osservazioni già formulate, non comprendo perché trasferire il contenuto della prefazione proprio ora nella parte del manuale ove si trattano i singoli istituti.

Mi spiego meglio: a) il professore questo convincimento sulla tendenziale psicolabilità dei magistrati l’aveva già nel 2007,tanto da inserirlo nella prefazione della relativa edizione del manuale; b) il professore l’ha tratto dalla lettura di molte sentenze (immagino effettuata nel corso di anni),oltre che da quella del libro di Garavelli ( pubblicato nel 2003) ;c) tale opinione di Gazzoni era notoria già da tempo in un certo ambiente.

Siamo arrivati alla XXI edizione.

Perché non effettuare questa opera di traslazione dei contenuti  nella prima edizione, o nella settima o nella XIX?

No.

Ora.

Perché? 

Vediamo cosa ci risponde “Quando ho poi curato l'edizione del 2024 (a distanza quindi di ben diciassette anni) nel contesto della parte sull'interpretazione della legge, in cui mi sono dovuto necessariamente occupare dei giudici, del c.d. "diritto vivente".

Beh, ma quello anche prima.

Anche nelle precedenti edizioni si è occupato dell’interpretazione giurisprudenziale. Quindi poteva farlo prima.

Uhm, non mi ha convinto.

Vediamo se aggiunge altro “ho ritenuto opportuno riproporre nel testo, alla p. 51, alcune delle criticità già rese note pubblicamente nella predetta Introduzione”.

Ah, beh.

Se lo ha ritenuto opportuno.

Come ci insegna la giurisprudenza amministrativa, la valutazione di opportunità della P.A. è insindacabile, salvi i casi di giurisdizione di merito.

Tuttavia  non siamo in un giudizio davanti al T.A.R. e il manuale non è un provvedimento amministrativo.

Quindi l’opportunità la si può sindacare.

E francamente, non essendo motivata in alcun modo, a me pare priva di fondamento razionale, priva di un fine, che non sia quello di imporre allo studente la lettura di quei passaggi, di farne parte integrante del programma di studio.

Perché finché quelle asserzioni sono contenute nell’introduzione è molto probabile che nessuno studente le legga.

Ma nel momento in cui sono inserite nella parte dedicata agli istituti di diritto privato, diventano oggetto di apprendimento, diventano una nozione, da apprendere e riferire in sede di esame.

E così lo studente di giurisprudenza si siederà davanti al professore e, interrogato sull’interpretazione della legge, riferirà (come da manuale) che i magistrati sono per la quasi totalità psicolabili.

Bravo. Complimenti. Trenta e lode.

Passiamo al punto successivo.

5) Gazzoni e le donne magistrato.

Vediamo cosa scrive “I magistrati entrano in ruolo in base ad un mero concorso per laureati in giurisprudenza e appartengono in maggioranza al genere femminile, che giudica non di rado in modo eccellente, ma è in equilibrio molto instabile nei giudizi di merito in materia di famiglia e figli [emblematico Trib. Roma 19.9.07, DFa 08, 1380 con nota di Gazzoni e DFa 08, 1719]… Per provare la fondatezza della mia riserva sui giudizi di merito, avrei potuto portare quale esempio una molteplicità di sentenze, ma mi sono dovuto limitare, per ovvii motivi di spazio, ad indicarne una sola,  peraltro assolutamente emblematica, con una mia Nota che chiariva quel che era accaduto e i miei argomenti critici sono stati alla fine della storia ripresi dalla Cassazione, con riforma della  sentenza, che la Corte d'Appello, con un collegio formato da tre donne, aveva inopinatamente confermato. ".

Eh,sì.

Forse avrebbe potuto, professore.

Ma soprattutto avrebbe dovuto.

Non che non ci si fidi del suo giudizio, eh? 

Per carità.

Però lei si definisce un uomo di scienza e qui mi pare che le prove scarseggino.

Una singola pronunzia per dimostrare una tesi su un così vasto gruppo di professionisti: la magistratura femminile.

Galileo Galilei si starà rivoltando nella tomba.

Ma Gazzoni continua.

E' nota la metafora di Arturo Carlo Jemolo, secondo cui la famiglia è un'isola che il mare del diritto può soltanto lambire [La famiglia e il diritto, in Pagine sparse di diritto e storiografia, 1957, 241]. Pertanto  per le controversie  che riguardano i rapporti personali  il fatto domina pressochè sovrano ed è come una prateria che il giudice attraversa con la sua valutazione ampiamente discrezionale.

      Ebbene le donne che vincono il concorso in magistratura, scelgono di attraversare questa prateria e quindi  di andare a occupare i ruoli della sezione Famiglia dei tribunali ordinari o di quelli dei tribunali per i minorenni, ovviamente nei limiti dell'organico.

       Ecco il risultato di una mia ricerca su Internet per le città più importanti, dove esiste la sezione Famiglia:

Tribunale sezione famiglia

Milano : Presidente donna e 9 donne su 10

Roma : Presidente donna e 12 donne su 13.   

Napoli : Presidente uomo e 9 donne su 10. 

Torino: Presidente uomo e 9 donne su 9. 

Tribunale per i minorenni

Milano: Presidente donna e 13 donne su 15. 

Roma : Presidente non indicato, 10 donne su 12.

Napoli: Presidente non indicato e 12 donne su 15.

Torino: Presidente uomo e 7 donne su 8.

Attesa l'evidenza dei numeri è lecito dedurne che per le donne andare a occuparsi di famiglia e figli non è casuale, onde la scelta può ben ritenersi frutto di una precisa volontà di incidere con le decisioni in quella specifica materia e non in altre, alla stregua di una "missione di genere".

E’ lecito dedurre (semmai indurre, ma lasciamo correre) che le colleghe ne facciano una “missione di genere”?

Non direi.

Ci sono molte spiegazioni alternative, di cui l’autore avrebbe dovuto dimostrare l’infondatezza prima di presentare la propria tesi (metodo scientifico).

Ne elenco giusto tre:

a) i magistrati uomini non ci vogliono andare alle sezioni famiglia, perché non ritengono la materia stimolante;

b) le donne hanno una maggiore intelligenza intuitiva e sentimentale rispetto agli uomini (Galimberti), due qualità estremamente utili  in materia di famiglia, che consentono loro di comprendere meglio le dinamiche familiari e di comunicare con i soggetti coinvolti in modo più efficace, anche in una prospettiva conciliativa,pertanto scelgono questa materia perché la sua gestione gli riesce semplice e naturale;

c)le donne semplicemente gradiscono questa branca della giurisdizione, senza che questo implichi che la concepiscano come una missione di genere (la missione di condizionare un settore della giustizia).

Passo all’ultimo punto.

6) Dice Gazzoni “La terza era stata già espressa  nel testo della precedente XX edizione, che aveva  ripreso quanto scritto nell'Introduzione del 2007 a proposito del giudice che giudica legibus solutus in nome dell'aequitas, la quale "finisce per essere quella canonica, per l' identificazione di sè con il Creatore (nihil aliud est aequitas quam Deus), identificazione operata con estrema facilità reputandosi come si suol dire un padreterno". Pertanto, oltre che nella XX, anche nella XXI edizione si sottolinea che "Alcune sentenze parlano di giurisprudenza-normativa, quale autonoma fonte del diritto», cioè creativa («che spesso abbaglia, ma non illumina» [Nazzicone, FI 20, V, 293]), quasi che la sentenza valesse erga omnes sul modello di common law [C. 09/10741, NGCC 09, I, 1258. Contra Castronovo, EDP 16, 981; CSU 11/15144, CG 11, 1392]. Ormai la Υβρις della magistratura italiana (che dà anche luogo a overrulings imprevedibili, inopinati e repentini [CSU 11/15144, cit.] e, sentendosi superiore alla legge, a livello di padreterni, ignora l’obbligo dell’umiltà, su cui v. la Relazione del Primo Presidente all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2013 [FI 13, V, 67]), è incontenibile".

Il professore si riferisce, mi pare, tanto al margine di discrezionalità nell’interpretazione della legge proprio dei giudici nel decidere (e più in generale di qualsiasi giurista nell’assegnare un significato ad una disposizione normativa), quanto ai revirement a cui talvolta si assiste da parte della Suprema Corte.

E da questi due fenomeni, collegati, Gazzoni ne ritrae la Υβρις, cioè la superbia, l’assenza di umiltà dei magistrati, che a suo avviso tramite tali decisioni si elevano al livello di divinità, sopra la legge e sopra l’uomo.

Leggendo queste righe, quasi mi sono quasi commosso.

Non vi nego che per un attimo sono stato tentato dal dargli ragione.

Poi sono tornato in me.

Trovo surreale che simili parole possano provenire dalla penna di un accademico ed avvocato.

Due categorie che nella storia della giustizia italiana hanno sostenuto a più riprese tesi, interpretazioni, in totale contrasto con quelle elaborate dalla Suprema Corte.

Talvolta per giunta facendo in essa breccia e contribuendo all’evoluzione del diritto, che è l’antitesi della sua certezza e della prevedibilità del giudizio.

Ancora oggi il mondo accademico è diviso in orientamenti contrapposti sulle questioni di diritto più disparate.

Vi sono una, due, dieci ricostruzioni possibili sulla transazione novativa, sulle obbligazioni naturali, sulla presupposizione, sul collegamento negoziale.

Ancora oggi molti avvocati propongono in giudizio cause sostenendo interpretazioni che sanno bene essere in contrasto con orientamenti monolitici della Cassazione (probabilmente nella speranza che quest’ultima cambi avviso).

Dov’è la Υβρις di queste due categorie?

E come contribuiscono a creare la certezza del diritto?

Lascio però alle parole del professor Paolo Grossi la replica su questo punto ai rilievi mossi da Gazzoni “Si impongono almeno tre domande inquietanti. La prima: se così è, allora il giudice crea il diritto? Cui segue una seconda: se le sue sentenze sono creative, e la divisione dei poteri? E una terza: E l’articolo 101, secondo comma, della Costituzione? Rispondo dapprima alla seconda domanda. Oggi, se non ci sentiamo di fare nostro il titolo spicciativamente liquidatorio di un brillante saggio del notevole filosofo, politologo, giurista statunitense Bruce Ackerman, “Good-bye, Montesquieu”, è certo che quell’assillo separativo, segnato a tinte indelebili e ritenuto qualcosa di sacro e intoccabile, deve essere riletto criticamente alla luce dell’evolversi delle forme politiche e soprattutto dell’esperienza; oggi, come – del resto – lo stesso Ackerman suggerisce, bisogna “to rethink Montesquieu’s holy trinity” alla luce di una “reflection on the evolving lessons of experience”. Tanto più che quella separazione, da squisitamente garantistica com’era nell’enunciato montesquieuviano, si era pian piano risolta durante il corso della modernità in una smodata preminenza del potere legislativo, se non in un monopolio di questo nella produzione del diritto. Vengo alla terza domanda, concernente il secondo comma dell’articolo 101 della Costituzione: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Io lo leggerei così: la soggezione del giudice soltanto alla legge intende salvaguardare la sua autonomia e indipendenza, non esprimere una relazione di tipo gerarchico. E farei una ulteriore considerazione a conferma di una siffatta lettura: se la formula fosse presa alla lettera, essa non sarebbe compatibile con il sistema della giustizia costituzionale incidentale. Rimane il primo dubbio sul giudice creatore di diritto, su sentenze creative. Uso, di mala voglia, un sostantivo e un aggettivo che suona spesso sulla bocca di giuristi imperterriti nelle proprie credenze legolatriche. Di mala voglia sì, perché, nella mia visione, il diritto non lo crea, a rigore, nemmeno il legislatore; ovviamente, tanto meno il giudice. Ripetiàmolo a costo di esser monotono: l’operazione intellettiva tipicamente giudiziale è la inventio, il reperimento. E non si creda che io voglia risolvere tutto in un gioco di parole. Si deve semplicemente dare una lettura adeguatrice all’articolo 113 del vigente ‘Codice di procedura civile’, dove, sotto la rubrica ‘Pronuncia secondo diritto’, si dà cittadinanza al vecchio brocardo iura novit curia, insegnando: “Nel pronunciare sulla causa il giudice deve seguire le norme del diritto”. Credo che si possa tutti convenire su una prima conclusione: che il diritto cui pensava il legislatore italiano del 1940 si identificava sicuramente nel Codice e nelle leggi speciali, in altre parole nella legge dello Stato, così come fanno le coeve ‘Disposizioni preliminari’ al Codice Civile. Credo, però, che si dovrebbe tutti convenire anche su una seconda conclusione: che non possiamo trasferire all’oggi quello statalismo asfittico, congeniale all’allora dominante regime autoritario. E questo, perché oggi, nell’odierno Stato costituzionale autenticamente democratico, il diritto ha un contenuto plurale, riacquistando tutta la sua complessità. Ha perduto i riduttivismi anchilosanti della modernità e ha recuperato il suo vόlto plurimo. Alla frase del Codice “seguire le norme del diritto” non si può assegnare che questo significato: avere – da parte del giudice – la capacità di trovare la disciplina più efficace nel contesto della questione controversa” (Paolo Grossi, La invenzione del diritto: a proposito della funzione dei giudici, reperibile su Grossi_Scandicci.pdf (cortecostituzionale.it)

Concludo citando uno dei passaggi della risposta di Gazzoni, che mi ha particolarmente divertito.

Solo l'assenza di umiltà non è stata contestata, non a caso”.

Rimediamo subito, professore.  La contesto io. E mi auguro che non me ne vorrà se le faccio notare che è una qualità che invece proprio a lei fa difetto.

Dott. Francesco Lupia

Magistrato Ordinario




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