-  Feresin Elena  -  30/05/2012

PRIMA ESPERIENZA - Elena FERESIN

La mia vita di bimba prima, di adolescente poi e di donna ora è

stata scandita dal mal di testa.

Una clessidra di dolore.

Non certo quelli da pubblicità: una pillola che ti fa recuperare il

sorriso appena la inghiotti.

No!

Era il mal di testa a inghiottire me.

Prima però si divertiva alle (sulle) mie spalle.

Mi scavava nel cervello e poi non pago della materia grigia che gli

offrivo s"insinuava nello stomaco per farmi vomitare fino all"ultima goccia

di bile.

Mi dominava costringendomi - quando c"era lui - a stare in una

stanza buia, distesa, priva di forze, un essenza larvale, incapace persino

di proferire verbo, con la mano pressata - quasi un contro peso - sulla

parte pulsante, tanto da pensare (sperare) che se avessi continuato a

premere prima o poi sarebbe sprofondata dentro la mia testa.

Come avrei voluto ciò.

Finalmente!

Come Alice nel Paese delle Meraviglie avrei guardato dentro a quel

buco nero per estirpare con la manualità contadina che circola nei miei

geni quel seme malsano.

Quel Male mi risucchiava la voglia di vivere.

Quando "passava" mi omaggiava di uno stordimento per giorni e

giorni.

Talvolta senza tregua quello stato di confusione mentale mi

riconduceva, attraverso un ponte invisibile di dolore, al mal di testa

successivo.

Da impazzire!

Dopo giorni e giorni di questo dolore c"era da sbattere la testa contro

un armadio, un muro o qualsiasi altra cosa sembrasse più resistente di

lui.

Lo feci - contro un armadio - con la speranza di esorcizzare il male,

di vincerlo.

Vana speranza.

Rimaneva.

Per fortuna le parentesi dello starbene erano una sorta di post-parto

felice: dopo si dimentica tutto!

Però come se ciò non bastasse la vita ti carica di altri pesi

esistenziali che, ovviamente, sanno dove ricadere.

Dolore chiama dolore.

Infatti, anziché colpire altre parti del fisico (braccia, gambe)

infieriscono su quella già debole: per me la testa.

Arrivai a 47 anni.

Quell"estate anziché trascorrerla in spiaggia godendomi mia figlia, le

nuotate, le chiacchiere, il futile del futile, la trascorsi a letto tra

ipertensione, emicranie, alterazioni visive, nervosismo, depressione e

dolori che quotidianamente si spostavano dentro il mio corpo.

Mi consigliarono di rivolgermi a B.

Da quel momento la mia risalita.

Entrai nel suo studio.

Identico a tanti altri, con un medico identico a tanti altri e io

descrissi i miei sintomi in modo identico a mille altre volte prima.

Nulla mi avrebbe fatto presagire che in quel momento era già iniziata

la mia guarigione.

Sì, perché ritengo che sia stato il contatto

umano/mentale/energetico a farmi risalire la china prima ancora della

cura, della terapia o delle solite cose da medici.

Sentire le vibrazioni del paziente.

Ecco quel che fece il medico.

Questo determina la prima vera cura.

Entrare in un cerchio d"intesa magica con chi soffre.

Non certo soffrire con lui o per lui, ma comprendere la radice di quel

soffrire.

Se il medico ascolta il paziente quest"ultimo a propria volta inizia ad

ascoltare più attentamente se stesso.

Essenziale comprendere che se il pensiero si trasforma in male, lo

stesso pensiero, commutato, lo guarisce.

Il pensiero del paziente va condotto verso la guarigione mentale e

fisica.

Si guarisce insieme.

A me è capitato!

A colui che ha saputo entrare nel cerchio magico non posso che dire

Mandi (che Dio sia con te).




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