Il mio pezzullo "Per fatto personale" è stato criticato sotto vari aspetti. Al fine di incrementare le critiche, sempre salutari, ho scritto al Presidente di ANM la seguente mail, inviata all'indirizzo della Segreteria generale e dell'Ufficio stampa ANM:
Illustre Presidente, sulla base dei Suoi interventi televisivi ritengo che Lei sia persona garbata ed educata. A conferma, la Sua risposta alla domanda rivoltaLe dal giornalista del Fatto quotidiano con riguardo a quanto da me scritto alla p. 51 del mio Manuale di diritto privato mi è parsa il minimo che Lei potesse dire nella Sua veste di Presidente di ANM. Mi è però dispiaciuto che detta pagina sia stata pubblicata su Instagram con l'intestazione "giudici psicolabili e donne giudici instabili", che occulta le fonti e il discorso più articolato.
Faccio affidamento sulla Sua onestà intellettuale, di cui non dubito, per pregarLa di inserire in Instagram la mia replica pubblicata in Persona e danno, di cui accludo un PDF nonché il link per accedere direttamente all'articolo nella rivista.
Spero che questa mia mail Le pervenga e non sia censurata.
Restando in attesa di un riscontro Le invio i miei migliori saluti.
Sono ancora in attesa...
Ciò premesso, tralasciando le critiche palesemente inconsistenti, che potrebbero figurare in uno sciocchezzaio, rispondo alle altre, confermando tutto quel che ho scritto.
1. Al mio richiamo allo scritto del giudice Mario Garavelli, fonte del giudizio sui giudici non di rado "psicolabili", si è obiettato che costui non sarebbe stato in grado di giudicare i colleghi magistrati.
E' facile osservare che chi pretende statistiche al termine di accertamenti diagnostici oggettivi sull'intero corpo della magistratura, ignora evidentemente il significato della ricerca "a campione", che ha una sua base scientifica, quando il "campione" è indicativo.
Ciò premesso, chi era costui? Ma don Abbondio non aveva sottomano un testo da compulsare per sapere chi era Carneade, mentre io avevo indicato il sito dell'Università di Basilea per sapere chi era Garavelli. Trascrivo dunque il suo curriculum, ad uso dei lettori pigri:
"Pretore e magistrato di tribunale a Casale Monferrato e ad Alessandria, vice capo dell'ufficio istruzione del Tribunale di Torino, consigliere e presidente di sezione della Corte d'Appello di Torino, consigliere della Corte di Cassazione a Roma, presidente del Tribunale di Torino, presidente della Corte d'Appello di Genova".
Avrà o non avrà acquisito il magistrato Garavelli conoscenza del mondo della magistratura, al termine di una lunga carriera, dopo aver esercitato le funzioni in diverse sedi importanti, anche con responsabilità dirigenziali, onde la sussistenza di "campioni" formativi di un valido giudizio? Potrebbe pretendere di paragonarsi a lui un qualsivoglia giudice presuntuosetto alle prime armi in un tribunale di una piccola sede, quale, prendendo un possibile esempio a caso, quella di Tivoli, una piccola cittadina, nota solo per le sue Terme?
2. Ho scritto che si diventa magistrati superando un mero concorso per laureati in giurisprudenza. Un giudice narcisista potrebbe rimirarsi sostenendo che, viceversa, si tratterebbe di uno dei concorsi più difficili, che presupporrebbe, per il superamento, la preparazione necessaria per scrivere non un tema, ma un saggio scientifico, a base di studio di trattati, monografie, articoli di dottrina, note a sentenza ed altre mirabilie. I candidati sarebbero piccoli, potenziali Windsheid.
Peccato che io sia stato, guarda caso, Commissario di un concorso in magistratura e sia quindi in grado di smentire, questa volta per mia scienza diretta, questo fantasioso racconto favolistico. L'imperativo categorico è quello di coprire i posti messi a concorso, raschiando, se necessario, il fondo del barile e il barile è davvero di qualità modesta, come modesti sono, in media, i laureati in giurisprudenza.
Il Presidente della mia Commissione teneva un suo quaderno dove annotava i nomi degli "stampellati", neologismo che equivale al più volgare "calcio nel sedere", di coloro cioè la cui preparazione si sarebbe dovuta poi verificare all'orale, sperando in un miglioramento. Gli "stampellati" erano divisi in due categorie, a seconda che la stampella fosse unica o duplice.
Al termine della correzione degli scritti si accertò che circa il 35% degli ammessi erano "stampellati" e quindi si decise di limitarsi alla verifica degli "stampellati" per così dire doppi. Avendo però ammesso all'orale un numero appena superiore ai posti a concorso, il risultato fu quello di essere estremamente indulgenti anche con costoro.
La magistratura italiana è dunque piena di ex "stampellati", i quali magari avranno migliorato la preparazione con il tempo e l'esperienza. Il mio Maestro Rosario Nicolò, di un giurista con un cognome non proprio allegro, diceva che aveva prima segnato il goal vincendo la cattedra e poi se lo era meritato, scrivendo una buona monografia.
La verità è che il concorso si decide allo scritto e l'orale ruota in primis intorno alle stesse materie, mentre le altre, salvo la rilevanza di quelle processualistiche, sono di contorno e valgono ai fini di stabilire la graduatoria, con esclusione della bocciatura. Quel che si pretende sono comunque risposte che, in sede di esame universitario, meriterebbero almeno il fatidico 18. Solo silenzi o strafalcioni sono sanzionati.
E questo sarebbe un concorso tra i più difficili da superare? "Ma mi faccia il piacere!", esclamerebbe Totò.
Il medesimo ipotetico giudice narcisista Incautamente potrebbe ammonirmi a guardare in casa mia, cioè ai concorsi a cattedra universitaria. Oltre che narcisista costui dimostrerebbe la propria disinformazione, perchè una piccola ricerca l'avrebbe condotto a leggere il mio articolo "Concorsi a cattedra e arbitrium merum" pubblicato nella Rassegna di diritto civile del 1995. O magari avrebbe potuto consultare le Introduzioni al famigerato Manuale , ove alla p. XLIII mi pronunciavo per "l'abolizione di tutti i concorsi notoriamente truccati" e alla p. LXIX scrivevo quanto segue: "La droga dei professori sono infatti i concorsi e la spartizione di posti e ruoli, con conseguente godimento orgiastico, alquanto tribale e cavernicolo. La sparuta categoria dei professori allergici (alla quale io appartenevo) prova un senso di nausea al solo sentire il fetore del c.d. potere accademico, simile a quello dei rifiuti marci in decomposizione".
Mi permetto di sottolineare che i miei colleghi mi considerano uno stravagante, ma non hanno mai preteso censure, perché, grazie a Dio, ancora credono tutti indistintamente nella libertà di pensiero, a differenza dei magistrati e dei loro reggicoda.
3. La terza obiezione è la meno insensata e si risolve in ciò, che non può essere materia di insegnamento, trattata quindi in un Manuale, l'equilibrio dei giudici, a proposito dell'interpretazione della legge. Si sottovaluta però il fatto che oggigiorno viviamo in balia del c.d. "diritto vivente", di cui non si può non parlare, onde è necessario chiarire non solo in che cosa esso consista, ma anche di quali pericoli sia fonte. In questo contesto si situa il colloquio psico-attitudinale di cui al Decreto Legislativo 24/44 che, in quanto legge dello Stato, si presume conosciuto da tutti i cittadini, sicchè, essendo tale presunzione una fictio iuris, è compito del docente illustrarne ai discenti il contenuto e la ratio legis, che è quella di verificare, in chiave prognostica, l'equilibrio mentale dei futuri magistrati, come auspicava la proposta di legge Cossiga, da me richiamata.
Comunque sia, voglio andare incontro ai miei critici e ricordare che i giudici infiocchettano le loro sentenze con gli obiter dicta, irrilevanti ai fini del decidere, con appesantimento inutile della motivazione. Ammesso e non concesso che io sia uscito dal seminato, perchè un Manuale non potrebbe contenerne, tanto più in quanto strettamente strumentali al discorso di fondo?
4. Approfitto per una nota di colore. Io amo gli scritti ironici ed ancor più quelli sarcastici, ma chi li scrive corre il serio pericolo, se non ha uno stile adeguato, di apparire, il meschino, davvero patetico.
5. Terminerò con i giornali, segnalando la solita bugia in un articolo, peraltro sostanzialmente neutrale. La giornalista quando si trova a parlare della mia critica alla Prima Presidente, avendo, come il proverbiale lupo, anzi lupa, perso il pelo, ma non il vizio, riporta l'amarezza di costei, pensando che "studenti universitari possano formarsi in materia emotiva e non razionale". Parole "secondo Gazzoni infedeli e peggiorative del mio testo". Qualcosa non quadra ed infatti le parole infedeli, come ho chiarito nel pezzullo, erano altre e cioè che quel che ho scritto "sottintende l'idea che le donne non siano dotate del necessario raziocinio ed equilibrio per amministrare la giurisdizione, soprattutto in materia di famiglia e figli".
Ma tant'è...come suol dirsi, siamo nati per soffrire.
FRANCESCO GAZZONI