Con il presente articolo si analizzeranno i c.d. PATTI PREMATRIMONIALI.
Questi patti, ad oggi, nel nostro ordinamento sono considerati dalla prevalente giurisprudenza nulli per illiceità della causa, tuttavia procedere ad una loro analisi è di fondamentale importanza per due ragioni:
Il disegno di legge è attualmente in esame in Commissione di Giustizia.
Se la nuova disciplina trovasse luce anche nel nostro ordinamento (come già in quelli di common law) si aprirebbe la possibilità di disciplinare convenzionalmente i rapporti patrimoniali in caso di crisi familiare (la nuova disciplina dovrà necessariamente confrontarsi anche con le unioni civili e i contratti di convivenza);
Nell’articolo, dunque, si daranno alcuni consigli pratici per concludere VALIDI ACCORDI PATRIMONIALI in vista della crisi coniugale.
In particolare si evidenzierà la differenza tra accordo prematrimoniale NULLO in quanto la crisi coniugale viene assunta come causa giustificativa dell’accordo , e, invece, accordo prematrimoniale (o stipulato in costanza di matrimonio) VALIDO in quanto la crisi coniugale viene configurata esclusivamente quale CONDIZIONE PER L’OPERATIVITA’ ED EFFICACIA delle obbligazioni assunte dai futuri sposi o dai coniugi.
Di seguito l’articolo.
COSA SONO GLI ACCORDI PREMATRIMONIALI
UN PO’ DI STORIA…
Già nel diritto romano si ammetteva l’esistenza del c.d. “pactum conventum ante nuptias” (Digesto 23,4,17), con il quale si riconosceva che i futuri sposi potessero stipulare un accordo per regolare i rapporti economici nell’ipotesi in cui il matrimonio si fosse sciolto. In particolare era uso disciplinare per mezzo di questo accordo la restituzione della dote prevedendo, ad esempio, che fosse incamerata dall’ex suocero anziché dalla moglie.
Il modello di questi “patti nuziali” è poi transitato nei paesi di common law, laddove per “PRENUPTIAL AGREEMENT” (accordi prematrimoniali) si indicano tutti quegli accordi volti a regolamentare, anteriormente al matrimonio, i diritti e le responsabilità dei futuri coniugi nell’ipotesi di crisi matrimoniale, in un’ottica di deflazione del contenzioso in materia familiare (questi accordi possono essere usati ad es. per individuare le modalità di divisione dei beni o del denaro in caso di fine del matrimonio) .
• QUALE POTREBBE ESSERE IL CONTENUTO DEI PATTI PREMATRIMONIALI SE VENISSERO INTRODOTTI NEL NOSTRO ORDINAMENTO?
Stando alla proposta di legge presentata alla Camera il 15 ottobre del 2015, che disciplina l’introduzione dell’art. 162 bis nel codice civile italiano, i patti prematrimoniali dovrebbero definirsi come quegli accordi per mezzo dei quali i futuri coniugi “DISCIPLINANO I LORO RAPPORTI DIPENDENTI DALL’EVENTUALE SEPARAZIONE O DIVORZIO”.
Nello specifico il succitato disegno di legge prevede che per mezzo dei patti prematrimoniali i futuri coniugi potrebbero, in caso di fallimento matrimoniale:
In ogni caso è espressamente previsto che un coniuge non possa attribuire all’altro più di metà del patrimonio.
Come si legge nella relazione che accompagna il disegno di legge queste convenzioni NON POTRANNO COMPRIMERE I DIRITTI DEI FIGLI MINORI.
La disciplina dovrà coordinarsi anche con le unioni civili e i contratti di convivenza introdotti dalla legge 76/16, per cui il legislatore dovrà rispondere dell’eventuale estensione/applicabilità dei suddetti patti a queste formazioni sociali non fondate sul matrimonio.
∞∞∞
LA GIURISPRUDENZA ATTUALE SUI C.D. PATTI PREMATRIMONIALI: AD OGGI NULLI PER ILLICEITA’ DELLA CAUSA, PER QUALE RAGIONE?
In attesa di una possibile introduzione dei “patti prematrimoniali”, e dell’individuazione - qualora introdotti – di cosa specificamente sarà possibile disciplinare con essi, detti accordi ad oggi vengono considerati NULLI PER ILLICEITA’ DELLA CAUSA dalla giurisprudenza prevalente (tra le tante Cass. civ. n. 18066/2014; Cass. civ. n. 1084/2012; Cass. civ. 1810/2000; Cass. civ. 2224/2017)
• L’ESAME DEL RAGIONAMENTO SEGUITO DALLA GIURISPRUDENZA CHE SI PRONUNCIA SULLA NULLITA’ DEI PATTI PREMATRIMONIALI
Si riportano di seguito alcuni esempi di patti NON ammessi dal “diritto vivente”: i futuri coniugi in forza di convenzione anteriore al matrimonio convengono che nell’ipotesi di separazione o divorzio NESSUNO di loro potrà AVANZARE RICHIESTA per l’assegno di mantenimento o divorzile, o, in un altro caso, fissano con la convenzione prematrimoniale la MISURA di questi assegni con la seguente formula: “in caso di futura separazione personale, l’assegno di mantenimento non potrà essere superiore a € x mensili”, o, infine, uno dei futuri coniugi SI OBBLIGA, IN CASO DI FALLIMENTO MATRIMONIALE, a corrispondere all’altro la metà di tutti gli avere che accumulerà durante il matrimonio.
Per la Cassazione civile questi accordi si rivelano in astratto idonei a produrre affetti dissuasivi diretti a condizionare la libertà di scelta in ordine allo scioglimento del vincolo coniugale.
In altre parole si ritiene che i futuri coniugi disponendo dei loro diritti patrimoniali in caso di crisi coniugale vizino la scelta di porre fine al matrimonio, scelta che non sarebbe più libera e incondizionata, ma che potrebbe essere orientata da valutazioni patrimoniali – economiche.
Questi accordi che trovano la loro causa genetica nel fallimento matrimoniale - sostiene inoltre la giurisprudenza – circoscrivono, altresì, la libertà di difendersi adeguatamente nel giudizio di divorzio o di separazione, certamente condizionando e limitando il comportamento processuale del coniuge economicamente più debole.
Di conseguenza lo status matrimoniale (e le garanzie connesse ad esso) non sarebbe più indisponibile, ma verrebbe “commercializzato”, ciò è evidente - prosegue la giurisprudenza - laddove con l’accordo si escludesse ad esempio l’assegno divorzile, o lo si quantificasse in misura penalizzante per uno dei coniugi, assegno che, invece, nella sua funzione assistenziale viene considerato indisponibile e irrinunciabile, e che deve essere rapportato, nella misura, alle condizioni economiche esistenti nello specifico momento della crisi matrimoniale.
L’idea che è alla base di queste argomentazione si fonda sulla valorizzazione del rilievo pubblicistico della famiglia da cui derivano situazioni indisponibili per coloro che ne fanno parte.
Deve, tuttavia, tenersi in debita considerazione anche un filone giurisprudenziale il quale non ritiene i patti prematrimoniali, di cui sopra si è fatto esempio, nulli in assoluto e contrari di per sé all’ordine pubblico, affermando, invece, che la non negoziabilità preventiva dell’assegno divorzile o di mantenimento dovrebbe rinvenirsi esclusivamente nella tutela del coniuge economicamente più debole il quale solo potrebbe far valere detta nullità, perciò relativa e non assoluta: Cass. Civ. 2012/23713 (sembrerebbe così configurarsi un’ipotesi di nullità di protezione, come quella prevista all’interno del Codice del Consumo, che è indirizzata a correggere un assetto tra le parti non equilibrato, in cui una di esse si trova in posizione di particolare debolezza e vulnerabilità).
QUALI ACCORDI PREMATRIMONIALI SONO AD OGGI AMMESSI A LIVELLO GIURISPRUDENZIALE?
Eppure attualmente la giurisprudenza ammette, e ritiene pienamente validi, determinati accordi con cui i futuri sposi o i coniugi disciplinano i loro rapporti patrimoniali proprio nel caso di fine del matrimonio.
Come possono questi accordi superare il vaglio di liceità?
La ragione è semplice: si tratta di tutte ipotesi in cui le obbligazioni che assumono i coniugi non trovano la loro fonte nella crisi matrimoniale (come ad es. l’assegno divorzile che costituisce un’obbligazione che nasce nel momento dello scioglimento del matrimonio) ma hanno una fonte esterna e lo scioglimento del vincolo coniugale viene degradato a mera “condizione sospensiva” che rende efficace e attuale l’obbligazione, determinandone la sua operatività
Facciamo un esempio concreto.
Il primo viene offerto dalla sentenza della Cassazione n. 23713 del 21 dicembre 2012.
Nel caso esaminato dalla Cassazione i coniugi avevano convenuto, prima di sposarsi, che uno di loro avrebbe pagato i lavori di ristrutturazione della casa destinata a futura residenza familiare e di esclusiva proprietà dell’altro, e quest’ultimo, quale corrispettivo, si obbligava a propria volta a trasferire al coniuge, fattosi carico dell’esborso patrimoniale, un immobile di sua proprietà.
Mentre si pattuiva che l’obbligazione di pagamento dei lavori avesse immediata efficacia, quella di trasferimento dell’immobile veniva invece sospensivamente condizionata all’evento, futuro e incerto, del fallimento matrimoniale.
Questo patto, con il quale viene previsto un trasferimento patrimoniale (di un immobile) in vista del divorzio, viene ritenuto lecito dai Giudici per questa semplice ragione: l’obbligazione di trasferimento dell’immobile è un debito che uno dei coniugi vede nascere a suo carico in ragione della prestazione patrimoniale effettuata dall’altro per il pagamento dei lavori di ristrutturazione. L’unione coniugale rende “quiescente” la controprestazione di trasferimento dell’immobile, determinando l’impossibilità di esigerla finché il rapporto coniugale persiste.
Si legge in sentenza:
“l’impegno negoziale viene collegato esclusivamente alle spese affrontate per la sistemazione dell’immobile adibito a casa coniugale, e il fallimento del matrimonio non viene considerato come causa genetica dell’accordo, ma è degradato a mero evento condizionale”
Dunque non è la fine del matrimonio la causa genetica del trasferimento immobiliare, che trova invece la sua ragione d’essere nel funzionare da controprestazione rispetto all’esborso patrimoniale affrontato da un coniuge. Il patto prematrimoniale, allora, esclude che il pagamento dei lavori ristrutturativi costituisca una liberalità di un coniuge in favore dell’altro, riconoscendo l’esistenza del debito che incombe sul coniuge che ha beneficiato dei lavori.
Per la Cassazione rendere quiescenti i rapporti obbligatori nati prima del matrimonio o occasionati da esso non incide in alcun modo, viziandola, sulla libertà di scelta di scioglimento del vincolo.
Questo almeno stando a quanto afferma la Cassazione nella succitata pronuncia che non è rimasta isolata, ad essa ne sono seguite altre due che hanno pienamente confermato l’orientamento: si tratta di Cass. civ. n. 19304 del 2013 e 4210 del 2014.
Nella prima sentenza con scrittura privata, coeva al matrimonio, il marito riconosce di essere debitore della moglie di una determinata somma, la cui restituzione viene subordinata alla crisi coniugale per separazione personale.
Per la Cassazione questa convenzione è valida e l’eventuale pressione psicologica che potrebbe esercitare sul coniuge debitore viene ritenuta non capace di determinare alcuna nullità dell’accordo.
Con la sentenza del 2014, per la terza volta, si riconosce valido un accordo patrimoniale fra coniugi in vista della crisi familiare. Qui l’accordo riguardava la vendita della prima casa coniugale, la divisione del ricavato e il pagamento del mutuo acceso per la nuova casa coniugale.
Ciò che viene alla luce in tutte queste sentenze è che gli accordi sono volti a regolare i rapporti dare/avere tra coniugi (prevedendo trasferimenti immobiliari/pagamenti, ecc…) nell’ipotesi di crisi familiare senza mai riferirsi all’esigenza di quantificare gli assegni di separazione o divorzio, o, magari, rinunciare ad essi in ragione delle pretese creditorie.
∞
Ora non rimane che aspettare l’esame del disegno di legge sui patti prematrimoniali per vedere se sarà possibile, in futuro, riconoscere maggiore valore all’autonomia privata anche in un campo delicato come quello familiare dove gli interessi economici devono confrontarsi necessariamente con l’esigenza di tutela dei diritti fondamentali della persona. In ogni caso consentire tali patti ponendo dei limiti inderogabili, anche se più elastici di quelli attuali (ad esempio in materia di tutela dei figli o di tutela del coniuge in stato di bisogno), potrebbe essere una scelta diretta a valorizzare, e non limitare, la libertà, e anche la tutela, dei futuri sposi. Si pensi all’ipotesi di un possibile accordo prematrimoniale volto a determinare un assegno divorzile che vada oltre la soglia dell’autosufficienza economica, ossia quel nuovo parametro che la giurisprudenza ha elaborato per il riconoscimento dell’assegno in sede di divorzio.