Sentenza della Corte Edu (Terza Sezione), 11 aprile 2023, ric. n. 30782/16, Simonova c. Bulgaria
Oggetto: Articolo 8 della Convenzione (vita privata e familiare) – Interferenza con il diritto al rispetto della propria abitazione – Mancanza di proporzionalità dell’ordine di demolizione.
La ricorrente, madre single di sette figli, cinque dei quali minorenni all’epoca dei fatti, nel 2009 aveva ottenuto il permesso di costruire, e successivamente realizzato, un immobile che, nel 2017, era stato abbattuto a seguito di corrispondente provvedimento dell’autorità amministrativa scaturito dalle denunce del proprietario di un lotto confinante.
All’esito del procedimento giudiziario originato dall’opposizione della ricorrente, il Tribunale amministrativo di Plovdiv aveva confermato l’ordinanza di demolizione, rilevando che l’immobile in questione, difformemente da quanto statuito nel permesso di costruire, sorgeva quasi interamente sul terreno adiacente, come in effetti contestato dal confinante.
Dopo aver inutilmente richiesto la riapertura del procedimento, la ricorrente si rivolgeva alla Corte di Strasburgo, lamentando di aver subito una violazione dell’art. 8 in quanto l’ordine di demolizione aveva interferito in modo sproporzionato con il suo diritto al rispetto della vita privata e familiare.
A suo avviso, nell’emettere e poi confermare il provvedimento in parola, le autorità amministrative e giurisdizionali non avevano adeguatamente considerato la sua condizione, né offerto a lei e ai figli minori un alloggio pubblico o comunque verificato la percorribilità di altre soluzioni alternative.
Peraltro, la demolizione, inizialmente prevista durante l’estate, era stata eseguita nel tardo autunno, lasciando lei e i suoi figli senza riparo durante l’inverno.
In primo luogo, la Corte EDU rigetta l’eccezione governativa concernente l’inapplicabilità dell’art. 8 al caso di specie, sottolineando come, sia pure in assenza di informazioni certe circa la data dell’effettivo trasferimento della ricorrente e dei figli all’interno dell’immobile in questione, il periodo di quasi un anno trascorso tra la data a cui risalivano le prime prove dell’abitazione dell’edificio da parte della famiglia (marzo 2014) e l’emissione dell’ordine di demolizione (marzo 2015) – senza contare il tempo ulteriormente trascorso prima della effettiva demolizione (avvenuta nel marzo 2017) – fosse stato sufficientemente lungo, sì da poter affermare che l’immobile fosse qualificabile come la sua “casa”.
La Corte rigetta altresì l’eccezione governativa relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne (§§35-37), sottolineando come la mancata opposizione della ricorrente al provvedimento di esecuzione dell’ordine di demolizione ai sensi dell’articolo 294 del codice di procedura amministrativa, che prevede un controllo giurisdizionale, non impugnabile, delle misure adottate per eseguire le decisioni amministrative, risultava giustificata da un duplice ordine di considerazioni.
Difatti, il Tribunale di Plovdiv, che sarebbe stato investito dalla questione, aveva già in altra sede concluso che la demolizione non pregiudicava il diritto all’abitazione della ricorrente e, d’altronde, la medesima autorità giudiziaria aveva iniziato a valutare la proporzionalità di siffatte misure alla luce delle circostanze individuali delle persone interessate, nei procedimenti ex art. 294, soltanto a partire dal 2018: successivamente, quindi, alla demolizione dell’immobile in questione.
Nel merito, i giudici di Strasburgo sottolineano come la questione dirimente sia stabilire se la misura, prevista dalla legge per uno scopo legittimo, sia anche «necessaria in una società democratica».
Vengono richiamati i consolidati principi espressi nella pronuncia Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria, in base ai quali: (a) le persone che, come la ricorrente, rischiano di perdere la loro «unica abitazione» a causa di un procedimento teso alla demolizione dell’immobile devono, in tale contesto, poter richiedere e ottenere un esame adeguato della proporzionalità del provvedimento, alla luce delle circostanze del caso; per quanto
(b) la sproporzione dell’ordine di demolizione possa essere riconosciuto solo in casi eccezionali.
Nella vicenda di cui trattasi la Corte osserva che né l’autorità amministrativa nel procedimento di adozione dell’ordine di demolizione, né quella giurisdizionale nell’esame del provvedimento opposto dalla ricorrente, abbiano valutato la sua specifica condizione familiare e abitativa.
Invero, il Tribunale amministrativo di Plovdiv si è limitato a rilevare che i servizi sociali erano stati informati della situazione, senza, però, tenere in adeguata considerazione i fattori in grado di incidere sul giudizio di proporzionalità dell’ingerenza – quali quelli indicati, a titolo soltanto esemplificativo nella citata Ivanova e Cherkezov (spec. § 53, es.: la natura dell’interesse che si intende tutelare con la demolizione ovvero la disponibilità di un’adeguata sistemazione alternativa per le persone colpite dalla demolizione) – né tentare di bilanciare l’interesse della ricorrente di continuare ad abitare l’immobile con i figli con le esigenze sottese all’abbattimento dello stesso. Invero, la Corte sottolinea come il Tribunale non abbia ricevuto né cercato di chiarire informazioni complete al riguardo.
Inoltre, secondo la Corte, l’assenza di un adeguato ed esauriente esame delle circostanze del caso da parte dell’autorità amministrativa, prima, e di quella giurisdizionale, poi, non sarebbe comunque stata compensata dalle modalità con cui l’autorità medesima aveva condotto l’esecuzione dell’ordine di demolizione. In disparte del fatto che i tentativi di trovare una soluzione al problema abitativo della ricorrente non avevano avuto luogo nell’ambito di una «procedura formale che comportasse un esame completo della proporzionalità dell’ingerenza alla luce delle sue circostanze individuali».
L’unica soluzione effettivamente proposta alla era stata quella – del tutto inappropriata – di collocare temporaneamente i figli della ricorrente in un alloggio gestito dai servizi sociali, separandoli dalla madre.
Per di più, il ritardo nell’esecuzione del provvedimento, pur avendo offerto alla ricorrente una certa tregua, non aveva portato di per sé ad alcuna soluzione adeguata al problema che si trovava ad affrontare.
La Corte conclude, quindi, affermando che vi è stata una violazione dell’art. 8 Cedu.